La Ducati si è sempre distinta per l’originalità di alcune soluzioni adottate per i suoi propulsori; prima il monocilindrico monoalbero comandato con alberello verticale e coppie coniche, poi la famosa distribuzione desmodromica; a seguire il bicilindrico ad L, prima con lo stesso comando della distribuzione successivamente sostituito dalle cinghie dentate.
Alla fine degli anni ’70 però i vertici aziendali facevano pressione sui progettisti, in particolare su Taglioni, per la messa in produzione di un canonico bicilindrico parallelo sia per uniformarsi alle proposte delle altre case, europee e giapponesi, che per rispondere all’esito di una indagine di mercato dalla quale sarebbe emersa una preferenza dei potenziali acquirenti per una struttura “simmetrica” della moto, caratteristica che il bicilindrico longitudinale ad L per sua stessa natura ovviamente non poteva offrire.
Taglioni, che a quel tempo era già impegnato nella progettazione del Pantah, si rifiutò di impegnarsi nel nuovo progetto che venne allora affidato all’ing. Tumidei che si avvalse della consulenza della Ricardo Engineering; il progetto venne impostato nelle due cilindrate canoniche per l’epoca: 350 (71,8 x 43,2) e 500 (78 x 52).
La cilindrata minore era una scelta dettata dalla legislazione vigente: in Italia i minori di 21 anni non potevano guidare moto oltre i 350 cc ed inoltre le moto di cilindrata superiore erano soggette ad un’imposta del 38%, mentre la 500 evocava esplicitamente la classe regina del motomondiale.
La distribuzione era monoalbero a molle comandata da catena centrale, albero motore con manovelle a 180°; l’inclinazione delle valvole era di 60°come quelle del 750 SS Imola ’73.
La nuova motorizzazione debutta nel 1976 con la serie GTL caratterizzata da un’estetica simile a quella disegnata da Giugiaro per la 860 GT. Questa impostazione estetica poco tradizionale, unita ad una serie di notevoli difetti di questa prima serie tali da far affibbiare alla moto il nomignolo di “Demonio” o “Frantoio”, frenò la diffusione di questa moto.
Molti i difetti cronici che fecero guadagnare alla moto quel famigerato appellativo, in verità eliminati quasi del tutto nelle ultime serie, derivanti dalla scarsa qualità dei materiali, dovuta alla crisi economica di quel periodo, e da un assemblaggio poco accurato che spesso inducevano alla sostituzione integrale del motore in garanzia:
– perdite di olio tra testa e cilindro;
– fragilità del tendicatena della distribuzione;
– schiavettamento del pignone;
– ruttori di accensione difettosi e di difficile accesso;
– scarsa longevità del motore.
Per cercare di rendere più appetibile le nuove moto, un anno dopo, nel 1977, la Ducati lanciò sul mercato la versione SD (Sport Desmo) qui illustrata nella foto di copertina.
Questa seconda versione era dotata, come si evince dalla denominazione, della esclusiva distribuzione desmodromica e di un telaio a doppia culla aperta; l’estetica venne profondamente rivista da Leopoldo Tartarini, il titolare della Italjet che in precedenza aveva collaborato con Ducati e di cui ricordiamo in particolare il giro del mondo con la Ducati 175 in coppia con Monetti. Le ruote a raggi vennero sostituite da più moderni cerchi in lega della FPS.
Nel 1978 poi arriveranno le versioni GTV in sostituzione delle mai apprezzate GTL.
Nel 1976 la Mototrans, l’emanazione spagnola della Ducati, al salone di Barcellona presentò la Mototrans 500 bicilindrica, che non era altro che la versione spagnola della GTL cui farà seguito in breve tempo la versione Desmo, unico modello a testata desmodromica prodotto dalla Mototrans; purtroppo entrambe seguiranno la sorte delle sorelle italiane innescando forse il declino della Mototrans.
Il bicilindrico parallelo non entrerà mai nel cuore dei ducatisti perché si differenziava troppo dalla tradizione della casa ma soprattutto perché non furono mai risolti alcuni difetti cronici; comunque poi arriverà il Pantah e sarà la fine del bicilindrico parallelo in Ducati.
Verrà esperito un estremo tentativo di sostenere l’immagine sportiva della moto con la produzione di una 500 SS dotata di semicarena e radiatore dell’olio, ma anche questo tentativo non sortì l’effetto sperato.
Stranamente nel 1983, quando ormai il Pantah aveva totalmente soppiantato il bicilindrico parallelo, venne prodotta una piccola serie di 500 SD per il mercato australiano caratterizzate da cerchi in lega OSCAM, sospensioni, strumentazione e blocchetti elettrici più moderni; saranno praticamente invendute.
Nel 1977 si cercò anche di rafforzare l’immagine sportiva della bicilindrica realizzando il prototipo di una 500 derivata dalla 500 Sport preparata per le gare della categoria Juniores, con carburatori da 40mm e scarichi a megafono per una potenza di circa 58 CV, che però non gareggiò mai.
Ma la storia del bicilindrico parallelo non si esaurisce con la serie GTL, GTV, SD perché più volte in precedenza la Ducati aveva tentato la via di questa soluzione tecnica, ma nessuno dei prototipi realizzati entrò mai in produzione:- nel 1965, alla Mostra di Daytona che si tenne a marzo di quell’anno, venne presentata una 500 il cui motore apparentemente sembrava derivato da quello della Apollo; il motore era un aste e bilancieri con manovelle a 360°; alesaggio x corsa 72 x 58,8.
Le linee del serbatoio richiamavano esplicitamente quelle della Diana 250. Di questo prototipo verrà allestita anche una versione militare;
– nel 1967 venne realizzato il prototipo di una 700 bicilindrica in due versioni: una ad aste e bilancieri che erogava 70 CV a 6500 giri, nelle intenzioni della azienda deputata a sostituire il Guzzi Falcone in dotazione alla Polizia, ed una versione sportiva bialbero comandato a catena, che erogava 80 CV a 7500 giri;
– infine nel 1968 si videro in giro i collaudatori di Borgo Panigale alla guida del prototipo di una 500 (74 x 57,8 come il monocilindrico 250) ad aste e bilancieri montato sul telaio e sovrastrutture di un Mark 3; anche questo prototipo non ebbe alcun seguito.