Era il 12 ottobre del 1936. La Coppa Vanderbilt era una competizione automobilistica voluta dal magnate americano William Kissam Vanderbilt II°; la gara inaugurale fu disputata a Long Island, nella contea di Nassau su un circuito che si snodava lungo un percorso di 6,4 Km da percorrere 75 volte per un totale di 480Km.
75 lunghi giri su terra battuta, una gara massacrante, sia per i piloti che per la meccanica, che metteva a confronto la scuola europea e quella americana.
Alcune edizioni successive vennero disputate su diversi circuiti.
William Kissam Vanderbilt II° (26 ottobre 1878 – 8 gennaio 1944), un grande appassionato di gare automobilistiche, era un membro della importante famiglia Vanderbilt.
A quei tempi i Vanderbilt erano la famiglia più ricca d’America. Le loro ricchezze derivavano dagli imperi marittimi e ferroviari creati da Cornelius Vanderbilt, nonno di William Kissam; la famiglia poi allargò il campo delle proprie attività nell’industria e nell’immobiliare, ma si impegnò anche in attività filantropiche. La potenza economica dei Vanderbilt durò fino alla metà del 20° secolo.
Per incentivare la partecipazione alla corsa di piloti stranieri, in particolare europei, Vanderbilt stanziò una cifra cospicua come premio per il vincitore. All’edizione inaugurale parteciparono 70 vetture.
Il trofeo era in argento massiccio; disegnato dalla Maison Cartier raffigurava Vanderbilt alla guida di una Mercedes-Benz al Daytona Beach e Road Course nel 1904; era alto poco meno di 80cm e pesava circa 70 kg; probabilmente il trofeo più grande realizzato nella storia. Oggi il trofeo è conservato presso il Museo Nicolis di Verona.
Negli anni seguenti la competizione crebbe di rilevanza fino a raggiungere l’importanza delle corse disputate in Europa.
Le prime tre edizioni furono vinte da auto di costruttori francesi, Panhard e Darracq; si dovette attendere il 1908 per la prima vittoria di una casa automobilistica americana, la Locomobile pilotata dallo statunitense George Robertson.
Dopo l’edizione del 1916 disputata a Santa Monica, vinta dall’inglese Dario Resta su Peugeot, la gara fu sospesa per l’ingresso in guerra degli Stati Uniti.
Alla fine delle ostiltà la competizione non fu più organizzata fino al 1936, quando il nipote di William Vanderbilt, George Washington Vanderbilt III°, sponsorizzò una corsa di 480 km che si sarebbe disputata su un nuovo impianto realizzato a Long Island, dedicato a Theodore Roosevelt, il Roosevelt Raceway.
Ancora una volta furono gli europei, uomini e macchine, ad aggiudicarsi la gara ed il ricco premio spettante al vincitore. Nel 1936 la vittoria arrise a Tazio Nuvolari su Alfa Romeo mentre l’anno successivo spettò al tedesco Bernd Rosemeyer aggiudicarsi la gara alla guida di una Auto Union.
Dopo queste due edizioni la Coppa Vanderbilt venne organizzata nuovamente nel 1960 a cura di Cornelius Vanderbilt IV°; la corsa, a cui erano ammesse monoposto di Formula Junior venne disputata nello stesso impianto che aveva ospitato le ultime due edizioni. Il vincitore fu l’americano Harry Carter su Stanguellini.
Nel 1936 Tazio Nuvolari ed Enzo Ferrari, titolare della Scuderia omonima che gestiva le vetture da competizione dell’Alfa Romeo, decisero di partecipare alla prestigiosa gara americana consapevoli di disporre di una vettura altamente competitiva, la leggendaria Alfa Romeo “GP Tipo 12 C”.
Oltre alla sfida tecnica e sportiva le scuderie di tutto il mondo vennero allettate con il monte premi stratosferico di 85.000 dollari di cui 32.000 destinati al vincitore.
Le 3 monoposto 12C-36 destinate a Tazio Nuvolari, Nino Farina e Tonino Brivio furono spedite in America con il transatlantico Rex, una scelta che aumentò ulteriormente l’impatto mediatico dell’avvenimento.
La corsa del 1936 ebbe un unico, indiscusso protagonista: l’italiano Tazio Nuvolari che alla guida dell’Alfa sbaragliò non solo gli americani, ma gli altri piloti internazionali, grandi assenti i tedeschi, una ragione in più per dare alla vittoria dell’Italia del ventennio una risonanza incredibile.
Già nelle prove Nuvolari fu più veloce dei piloti americani che accusarono un gap di 10 secondi al giro.
Il 12 ottobre 1936 veniva dato il “via” alla prestigiosa competizione.
Grazie ad una fulminea partenza Nuvolari si portò immediatamente in testa conducendo la gara per tutti i 75 giri fino alla bandiera a scacchi imponendo un’andatura impossibile anche per i suoi compagni di squadra e ad un terzo della corsa già aveva doppiato tutti gli avversari nonostante due soste ai box per un rifornimento di carburante e un cambio delle candele della sua Alfa Romeo che dopo il rifornimento di metà corsa andava a undici cilindri.
Alle spalle del “mantovano volante”, che vince percorrendo i 482 chilometri in 4 ore e 32 minuti ad una media di 106 km orari, finirono Jean Pierre Wimille (Bugatti T59), staccato di 12 minuti, e Tonino Brivio, anche lui alla guida di una Alfa Romeo 12C della Scuderia.
I primi piloti statunitensi, Bill Cummings ed il più famoso Mauri Rose, si piazzarono tra la settima e l’ottava posizione con circa 25 minuti di distacco.
Una dimostrazione di classe e di superiorità che aumentò la fama di Nuvolari e dell’Alfa Romeo nel mondo.
E, dopo il soprannome di “Campionissimo”, di “Mantovano Volante”, gli americani gli attribuirono un altro appellativo: “il diavolo della velocità”. Ma quel giorno Nuvolari si meritò anche l’appellativo di “Eroe dei due mondi”.
Al termine della gara gli organizzatori offrirono il trofeo a Nuvolari che festeggiò sedendosi letteralmente all’interno della enorme coppa (Nuvolari era alto un metro e sessantacinque).
Il giorno seguente la vittoria di Nuvolari era sulle prime pagine della stampa; la Gazzetta dello Sport titolava:
– Tazio Nuvolari vince di prepotenza in terra d’America sbaragliando tutti gli avversari del vecchio e del nuovo mondo e riaffermando la supremazia assoluta dell’automobilismo italiano;
– Nuvolari, il mantovano della Scuderia Ferrari, diventa lo sportivo italiano più acclamato al mondo: Un trionfo italiano nell’anniversario dell’imperitura gloria di Cristoforo Colombo;
– Da Tazio Nuvolari anche i più celebri guidatori americani hanno imparato come si guidi nelle curve, come si superi un concorrente in velocità e come si lotti gomito a gomito nei momenti più difficili e più rischiosi della corsa.
Lo stesso Nuvolari scriveva un proprio commento sulla Coppa Vanderbilt: “La corsa di Roosevelt Field è stata tutt’altro che facile. La pista (quasi tutta non asfaltata) dopo pochi giri era piena di buche: bisognava scansarle e passare sul terriccio smosso per evitare di scassare la macchina. I miei avversari, parlo degli americani, sono ottimi guidatori e soprattutto temerari. Come sistema di corsa rischiano sempre: questa è la loro abitudine. Parecchi di loro hanno sul viso le cicatrici di paurose cadute. – Tazio Nuvolari – “.
Nuvolari era un professionista del volante perciò, oltre che per passione, correva per soldi (a lui spettava una cifra oscillante tra il 40 ed il 50 per cento delle somme vinte) ma ai soldi sapeva anche rinunciare, come quando, proprio dopo la vittoria alla Vanderbilt del 1936, rinunciò a 5 mila dollari che gli avevano offerto per un’intervista radiofonica di cinque minuti per andare a correre gratis su una pista sconosciuta in una corsa sconosciuta organizzata da un italiano sconosciuto.
Un cenno alla monoposto che rese possibile quella trionfale vittoria.
L’Alfa Romeo Monoposto 12C era una monoposto della Formula Gran Prix prodotta dall’Alfa Romeo tra il 1936 ed il 1937 in dieci esemplari, ci cui sei in versione ‘36 e quattro in versione ‘37; il progetto era del grande Vittorio Jano (Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Ferrari).
La 12C-36 derivava direttamente dalla monoposto 8C 35 dalla quale si differenziava principalmente per il tipo e la cilindrata del motore; montava infatti un 12 cilindri sovralimentato da 4.064cc e 360 CV in luogo dell’8 cilindri in linea biblocco da 3822cc.
La 12C-37 aveva un telaio di nuova progettazione e il motore era stato portato a 4.495cc per 430CV. Purtroppo questa nuova versione non ebbe molto successo, tanto che lo stesso Jano decise di ritirarla dalle corse.