Quella del 1986 fu la trentottesima edizione del Campionato del Mondo di motociclismo la cui prima edizione si era disputata nel 1949; rispetto all’anno precedente rimane immutato il numero di 12 prove in calendario ma viene però soppresso, come protesta contro la politica dell’apartheid, il Gran Premio del Sudafrica, unica tappa non europea, sostituito dalla prima ed unica edizione del Gran Premio del Baden-Württemberg disputato come ultima prova di campionato il 28 settembre sull’Hockenheimring dove furono ammesse solo le classi 80 e 125, oltre ai sidecar.
La Yamaha raddoppia il suo impegno affidando le moto ufficiali anche al team Roberts; i due vecchi rivali, Agostini e Roberts, si ritrovano così in lotta tra loro nella nuova veste di team manager.
Alla fine dell’anno, dopo 23 stagioni di corse e 90 vittorie in gare iridate, il 13 volte Campione del Mondo Angel Nieto annuncia il ritiro dalle competizioni.
Per quanto attiene i fatti dell’anno puramente sportivi registriamo il secondo titolo mondiale di Eddie Lawson nella classe 500 in parte favorito dai problemi che hanno afflitto Freddie Spencer. Ricordiamo infatti che il pilota di Shreveport nel Gran Premio di Spagna, il primo della stagione, dopo essere partito dalla pole era largamente in testa quando fu costretto a ritirarsi a pochi giri dal termine a causa della tendinite; da quel momento iniziò la sua fase discendente tanto che da allora non vincerà più un Gran Premio; il ruolo di prima guida Honda venne ereditato dall’australiano Wayne Gardner che in quella occasione vincerà il suo primo Gran Premio e finirà secondo in Campionato.
Nella 250 si affermò il venezuelano Carlos Lavado (Yamaha) al suo secondo titolo iridato; Luca Cadalora si laureò Campione del Mondo con la Garelli 125 mentre l’iride della classe 80 andò allo spagnolo Jorge “Aspar” Martinez con la Derbi.
Tra gli avvenimenti dell’anno da registrare la costituzione dell’IRTA (International Road Racing Teams Association), associazione nata per rappresentare gli interessi dei team ponendosi come interlocutrice nei confronti della Federazione internazionale e degli organizzatori dei Gran Premi.
Ma l’evento di rottura con la tradizione del motomondiale fu il comunicato del 22 ottobre con il quale la Federazione annunciava la fine della procedura di partenza a spinta.
La decisione era stata presa dalla commissione velocità nell’ambito del congresso della federazione motociclistica internazionale in svolgimento a Santa Flavia, in provincia di Palermo.
Scompariva così dalle scene dei circuiti del Motomondiale uno dei momenti più magici ed emozionanti.
Fino all’edizione del 1986 il via veniva dato con lo sventolio, da parte del Direttore di Gara, delle bandiere delle nazionali e la partenza avveniva a spinta con motore spento ed il pilota schierato in piedi affianco alla moto; servivano forza e abilità per avviare rapidamente il motore: il 29 marzo 1987, al Gran Premio motociclistico del Giappone, per la prima volta in un Gran Premio del Motomondiale la partenza avviene con il pilota in sella ed il motore acceso.
Ma vogliamo trasmettervi le particolari sensazioni di quella procedura di partenza con le parole di Nico Cereghini: “Partiti!” gridava lo speaker del circuito, e poi silenzio assoluto. Se eri vicino sentivi soltanto lo scalpiccìo disordinato delle suole degli stivaletti. Poi un motore sputazzava, un altro miagolava (erano quasi tutti a due tempi) e piano piano tutta la comitiva si avviava a manetta nel rettilineo. Fumo azzurro nell’aria. Ricordare quel tempo non significa anelare il ritorno alle partenze a spinta, anche si chi le ha vissute prova brividi ricordandole. Quel tempo è il passato, riproporlo non avrebbe più senso. In ogni caso con quel cambiamento non è stato realizzato l’obbiettivo primario che quella scelta si proponeva di centrare: aumentare la sicurezza “della prima curva”. Un obiettivo che resta affidato per larga parte ai comportamenti responsabili dei piloti. Ad onor del vero troppe volte deficitaria.”
Ma questa non era una novità assoluta per le gare su pista perché già in precedenza la partenza con motore in moto era stata introdotta a inizio anni ‘70 nel Mondiale della classe 750, figlio delle 200 Miglia importate dagli Usa.
Come abbiamo appreso dalle parole di Cereghini, il provvedimento venne preso per motivi legati alla sicurezza ma probabilmente per i piloti dell’era moderna, parzialmente impediti nei movimenti dall’ingombrante (ma molto più sicuro) abbigliamento tecnico, sarebbe impossibile mettere in moto a spinta una MotoGP con motori 4 tempi di cilindrata doppia (1000cc) peraltro supercompressi e dotati di frizioni antisaltellamento.