Nel corso della sua travagliata storia la Ducati, oggi conosciuta a livello internazionale come costruttore di motociclette di prestigio e di elevate prestazioni, è stata incidentalmente coinvolta anche nel mondo delle 4 ruote nella realizzazione di prototipi o come costruttore per conto terzi o come “fornitore” di propulsori.
Nel raccontarvi di queste “escursioni” nel mondo delle 4 ruote, ho diviso il tema in due paragrafi relativi ai due diversi ruoli che la casa di Borgo Panigale ha ricoperto in questo ambito.
1) LE REALIZZAZIONI A 4 RUOTE DELLA DUCATI
La minicar DU4
Un primo approccio all’ambito automobilistico risale ai primissimi anni della Ducati Meccanica quando cioè, nel 1946, la casa aveva da poco intrapreso il difficile cammino della ripresa dell’attività produttiva dopo che i bombardamenti americani del 1944 avevano distrutto lo stabilimento.
A Borgo Panigale si diede vita al progetto di un autoveicolo spinto da un motore 250cc a quattro tempi; con una osservazione a posteriori ci sorprende notare che con largo anticipo sulla nascita delle poderose bicilindriche degli anni ‘70, il progetto contemplava un motore bicilindrico a V di 90° ed un telaio in traliccio di tubi.
Ovviamente il progetto definiva anche la configurazione generale del veicolo: una berlina a due posti con motore e trazione anteriori e sospensioni indipendenti a barre di torsione. Nell’estate del 1946 venne realizzato il primo e unico prototipo.
Il motivo per il quale i fratelli Ducati decisero di non procedere alla produzione del veicolo è riconducibile al fatto che ormai la produzione del Cucciolo era a pieno regime assorbendo tutte le capacità produttive della casa quindi il progetto venne accantonato.
Della “DU4”, così venne denominato il progetto, esistono ancora alcuni disegni mentre il prototipo è ora proprietà di un collezionista privato.
Il motore da Formula 1 per l’OSCA
Nel 1960 Fabio Taglioni progetta e realizza per l’OSCA dei fratelli Maserati un motore dotato di sistema desmodromico (non è ben chiaro se la OSCA si rivolse alla Ducati o direttamente a Taglioni che avrebbe operato in proprio ma probabilmente con il placet della Ducati).
La casa di San Lazzaro di Savena, chiese a Taglioni di realizzare un propulsore destinato alla Formula 1 il cui regolamento, a partire dal 1961, avrebbe ammesso una cilindrata massima di 1500cc.
Taglioni diede vita ad un propulsore con una configurazione a otto cilindri a “V“. Nelle testate erano alloggiati due alberi a camme sovrapposti; superiormente era collocato l’albero di apertura e quello di chiusura subito sotto; su ogni valvola agivano due bilancieri a due bracci. Questo schema si è successivamente evoluto in quello che poi è stato impiegato di serie piazzando i due eccentrici di chiusura assieme a quelli di apertura, su di un unico albero a camme.
Il progetto però non ebbe un seguito ma il motore esiste ancora, ed è proprietà di Giorgio Monetti, che insieme a Leopoldo Tartarini, come abbiamo ricordato in altre occasioni, fece il giro del mondo in sella a una Ducati 175 TS.
Le Triumph di Borgo Panigale
Nel 1964, quando l’azienda era sotto il controllo delle partecipazioni statali, l’amministratore delegato Giuseppe Montano decise di diversificare la produzione. Fu perciò concordata una collaborazione con la British Leyland per la produzione di una vettura molto apprezzata all’epoca, la Triumph Herald nelle sue diverse versioni berlina, coupè e cabriolet, mossa da un 4 cilindri di circa 1200cc, e nella sua versione di classe superiore, la Vitesse, che condivideva gran parte della carrozzeria e della meccanica mentre il motore era un 6 cilindri in linea da 1600cc, in seguito passato a 2000cc.
A tal fine la Ducati avrebbe dovuto aprire uno stabilimento a Bari con il contributo della Cassa del Mezzogiorno ma il progetto fallì sul nascere e quindi la Ducati si limitò alla sola importazione delle vetture fino agli inizi degli anni ’70 quando l’attività fu rilevata da Bepi Koelliker.
Eppure l’operazione era partita con i giusti presupposti tanto che furono inviati a Coventry per addestramento una trentina di operai; tra questi anche Oscar Folesani che era già stato in Inghilterra per assistere le bicilindriche che la Ducati aveva approntato espressamente per Mike Hailwood.
In definitiva l’intervento della Ducati si ridusse, oltre alla importazione delle Herald cui si aggiunse la spider Spitfire, all’adeguamento delle vetture alle norme del codice della strada vigente all’epoca in Italia sostituendo le luci posteriori con quelle a doppio bulbo associate a 2 catadiottri rossi su supporti troncoconici in alluminio, montando i lampeggiatori laterali, sostituendo le gemme delle frecce anteriori ambra, con quelle di colore bianco. Sul baule veniva infine veniva apposta la mitica targhetta metallica “Meccanica DUCATI Bologna”.
I motori Diesel
Tra il 1979 e il 1984 la Ducati Meccanica, sempre in orbita di partecipazioni statali, era legata da un rapporto di collaborazione con l’azienda VM di Cento, in provincia di Ferrara. Nonostante le vittorie nei circuiti e la nascita del progetto Pantah, la dirigenza non credeva più nel prodotto motociclistico, fortemente danneggiato dalla fallimentare realizzazione dei bicilindrici paralleli 350 e 500 realizzati in collaborazione con l’inglese Ricardo.
La Ducati divenne una azienda produttrice di motori marini e motori diesel per autotrazione, mentre il prodotto motociclistico fu relegato ad un ruolo da comparsa, con produzioni annue che non superavano le 1700 unità. La Ducati produsse, su licenza VM, il motore turbo diesel 4 cilindri che equipaggiava alcune famiglie Alfa Romeo, e la produzione di questo motore continuò almeno fino al 1988, quando subentrarono i fratelli Castiglioni che salvarono lo stabilimento dalla chiusura.
Il motore Ferrari per la Lancia Thema 8.32
L’ultimo capitolo delle produzioni nel campo automobilistico in Ducati è storia più recente; in virtù del rapporto d’amicizia e collaborazione che esisteva, ed esiste tutt’ora, con la Ferrari, la Ducati ha prodotto dal 1990 al 1992 propulsori otto cilindri realizzati a Maranello, ma destinati per la serie esclusiva della Lancia Thema, la 8.32, che montava appunto appunto un motore Ferrari, costruito a Borgo Panigale, in Ducati.
2) LE QUATTRORUOTE CON MOTORISTICA DUCATI.
La microcar della Motomeccanica Piemontese
Cronache degli anni ’50 riportano che la MOTOMECCANICA PIEMONTESE (credo che all’epoca fosse un produttore di trattori agricoli) si cimentò nella costruzione di una vetturetta con motore Ducati 48.
Nel 1964 venne lanciata una nuova formula di monoposto propedeutiche che aveva l’obiettivo di fare da ponte tra il kart e la monoposto, la Formula K, così chiamata perché la struttura del telaio era di ispirazione kartistica, ma le sembianze del veicolo la rendevano molto più simile a una vettura di Formula in scala ridotta.
La prima ad interessarsi a questa nuova categoria fu la Tecno, casa costruttrice di kart che poi diventerà famosa negli anni ’60 e ’70 per le sue vincenti monoposto di Formula 3 e Formula 2 che avevano rappresentato il punto di partenza per piloti famosi come Ronnie Peterson, Francois Cevert e Clay Regazzoni, arrivando fino alla costruzione di una Formula 1 che però non ebbe la stessa fortuna delle sorelle minori.
La squadra “Corse Tecno”, fondata dai fratelli Pederzani all’inizio degli anni ‘60, era una realtà appena nata proprio nelle vicinanze della Ducati, a Borgo Panigale, e alla quale si era unito un ex meccanico del reparto Corse Ducati, Renato Armaroli che faceva parte della grande scuola dei meccanici motoristi specializzati Ducati.
Nel depliant dell’epoca, la Tecno K250 veniva descritta come una vetturetta monoposto equipaggiata con motori da motocicletta da 250 cc ci cui venivano citate diverse marche potenziali fornitrici potenziali, fra le quali: Benelli, Aermacchi, Morini e Ducati.
Di fatto fu proprio quest’ultima a diventare la fornitrice unica dei propulsori della piccola monoposto, al punto che ancora adesso, alcuni collezionisti che posseggono gli ormai rari esemplari, l’hanno ribattezzata “Formula Ducati“.
La monoposto Formula SAE
Nei primi anni 2000 la Facoltà di Ingegneria Meccanica dell’Università di Firenze ha realizzato una monoposto sperimentale dotata di un motore Ducati per partecipare alle gare del campionato Formula SAE.
Questa formula, nata nel 1981 negli Stati Uniti, prende il nome dall’ente organizzatore, la Society Automotive Engineer; da allora si è diffusa in tutto il mondo. Nel 1998 è arrivata in Europa, e più precisamente in Inghilterra, mentre nel 2005 ha fatto la sua prima apparizione in Italia.
Lo scopo di queste gare non è quello di dar luogo ad una competizione in senso classico ma piuttosto di proporre un confronto a livello universitario con l’obiettivo di stimolare gli studenti a mettere in campo le loro capacità progettuali e realizzative mettendo in pratica le conoscenze e le competenze acquisite a livello accademico.
Nel 2000 la Facoltà di Ingegneria di Firenze, venuta a conoscenza di questa iniziativa, decide di partecipare con un proprio progetto.
Partendo dal presupposto che il regolamento tecnico prevedeva una cilindrata massima di 610 cc, si pensò al propulsore del Monster 600, soluzione avallata e sostenuta dalla Ducati.
Il sistema di alimentazione venne completamente rivisto perché il regolamento della Formula SAE imponeva la presenza di un solo corpo farfallato e una strozzatura (air-restrictor) sul condotto di aspirazione del diametro di 20 mm, pertanto il motore, originariamente alimentato a carburatori, venne convertito all’alimentazione a iniezione elettronica.
Il propulsore è stato inoltre dotato di doppia accensione ed è stato sottoposto ad un’opera di alleggerimento delle masse volaniche.
La fase di messa a punto è stata portata avanti in collaborazione con Magneti Marelli, che ha anche fornito il software di gestione della centralina.
I risultati al banco hanno espresso una potenza di circa 60 cavalli alla ruota.
In seguito, nel 2004, la Ducati ha fornito il più evoluto propulsore del Monster 620, già dotato di iniezione elettronica, ma dalla cilindrata effettiva di 618 cc, superiore a quella consentita dai regolamenti. Pertanto la cilindrata è stata ridotta intervenendo sull’alesaggio.
Il regolamento SAE limita le emissioni acustiche del sistema di scarico a non superare i 110 decibel a un regime identificato da una velocità media del pistone pari a 916 metri al minuto. L’impianto di scarico 2 in 1 con silenziatore in fibra di carbonio è stato realizzato dalla Termignoni su specifiche degli studenti.
Passando al telaio, questo conta su un traliccio in tubi d’acciaio ad alta resistenza. Nel 2005 è stato approntato lo studio delle quattro ruote sterzanti.