Wilbur Shaw nacque il 31 ottobre 1902 a Shelbyville nello stato dell’Indiana; morì in un incidente aereo vicino a Decatur (Indiana) il 30 ottobre 1954, un giorno prima del suo cinquantaduesimo compleanno.
Nella storia della 500 miglia di Indianapolis è stato il secondo pilota in ordine di tempo capace di realizzare una tripletta, preceduto in questa impresa da Louis Meyer (Indianapolis, 21 luglio 1904 – Indianapolis, 7 ottobre 1995) che vinse la gara del catino americano nel 1928, 1933 e 1936 ma a Shaw, vincitore nel 1937, 1939 e 1940, è andato il primato di primo pilota ad ottenere due vittorie consecutive al volante della stessa vettura.
Il loro primato verrà battuto solo nel 1977 quando il mitico A.J.Foyt (Houston, 16 gennaio 1935) vincerà la sua quarta Indy 500 dopo averla già vinta in precedenza nel 1961, 1964 e 1967; in seguito anche Al Unser, Rick Mears ed Hélio Castroneves arriveranno al prestigioso risultato di 4 vittorie alla mitica Indy 500.
In Italia Shaw viene ricordato principalmente per le due vittorie ottenute nel 1939 e nel 1940 perché era alla guida di una italianissima Maserati 8CTF (8 Cilindri Testa Fissa), iscritta con il nome dello sponsor Boyle Special, com’era consuetudine negli USA. La monoposto italiana era spinta da un 3 litri sovralimentato con due compressori Roots, che erogava fra 350 e 366 cavalli a 6.300 giri al minuto, per un peso di 780 chilogrammi; la velocità massima era di 290 chilometri orari.
In verità Shaw nel 1941 avrebbe potuto guadagnare una storica tripletta con la Maserati ma una foratura gli impedì di imporsi per la terza volta consecutiva. Nel corso degli anni a seguire la vettura prese parte ad altre edizioni della corsa, salendo più volte sul podio ma mai più sul gradino più alto. Queste rimangono tuttora le uniche vittorie di una vettura italiana alla 500 Miglia.
Wilbur Shaw ha partecipato 13 volte alla 500 miglia; debuttò sul catino nel 1927 all’età di 24 anni giungendo quarto, l’ultima volta nel 1941; oltre alle tre vittorie, è arrivato secondo tre volte, nel 1933, 1935 e 1938.
Durante la seconda guerra mondiale Shaw venne assunto dalla Firestone per eseguire una serie di test sullo Spedway dell’Indiana che era stato chiuso a causa della guerra; Shaw, rimasto negativamente sorpreso dallo stato di abbandono dell’impianto, contattò il proprietario Edward Rickenbacker che gli confermò l’intenzione di chiuderlo definitivamente.
Shaw legatissimo a quel mitico tempio della velocità riuscì a trovare un finanziatore nella persona dell’uomo d’affari Tony Hulman disposto a salvare la pista. Nel 1945 Hulman rilevò la proprietà della pista e nominò Shaw presidente dello Speedway, incarico che ricoprì fino alla sua morte.
Shaw è stato anche un ottimo valutatore di test automobilistici per la rivista Popular Science. La sua autobiografia, “Gentlemen, Start your Engines” che copre gli eventi fino al 1953, fu pubblicata nel 1955. Nel 1991 è stato accettato postumo come membro della International Motorsport Hall of Fame.
Ma come e perché quella Maserati, che gli annali della Indy500 riportano come “Boyle Special”, era arrivata ad Indianapolis?
E’ opportuno ricordare che in quegli anni la Maserati era un costruttore di auto da competizione che partecipava con successo alle maggiori competizioni internazionali.
Ad una di queste che si disputava in territorio americano, la Coppa Vanderbilt del 1938, vennero notate da Mike Boyle, un appassionato americano che decise di acquistare una Maserati 6CM. L’anno successivo, nel 1939, Boyle comprò un’altra Maserati, la 8CTF utilizzata al Gran Premio di Monza che poi affidò alla guida di Wilbur Shaw che, come abbiamo visto, la portò al trionfo di Indianapolis.
La 8CTF era stata progettata da Ernesto Maserati nel 1937, poco dopo che i fratelli Maserati avevano ceduto l’azienda all’industriale modenese Adolfo Orsi.
Ma anche la figura Boyle “merita” un minimo di approfondimento. Michael Joseph Boyle, detto “Umbrella Mike”, ufficialmente era un rappresentante del sindacato degli elettricisti, ma in realtà era uno dei gangster più in vista della mafia irlandese. Sembra che il suo soprannome derivasse dall’ombrello che lo accompagnava quando andava a ritirare le mazzette nelle ricevitorie e nelle sale da gioco.