Probabilmente molti si chiedono ancora oggi perché le due Biondetti del circuito del Mugello si chiamano così.
Biondetti è un pilota dimenticato o quantomeno non viene ricordato come meriterebbe per i suoi risultati nello sport automobilistico, forse perché appartenente ad un’epoca ormai remota o forse perché, come viene ricordato nel titolo, non è stato un campione in pista ma si è distinto “solo” nelle impegnative gare stradali di Gran Fondo a cavallo della seconda guerra mondiale, tra gli anni ‘30 e e gli anni ‘40. E infatti vanta una sola, sporadica e sfortunata presenza in Formula 1.
Comunque, a sua memoria nel 1956 venne fondata a Firenze la Scuderia Biondetti (successivamente rinominata Firenze Corse – Biondetti) e a lui sono state appunto intitolate le curve 13 e 14 dell’Autodromo Internazionale del Mugello, chiamate appunto Biondetti 1 e Biondetti 2.
Anche in vita dovette spesso battersi per ottenere il riconoscimento del suo valore e un ingaggio per un’auto competitiva. Ci si mise anche lo scoppio della seconda guerra mondiale ad attenuare il ricordo delle sue prestazioni. Ma seppe ritornare alla ribalta delle “classiche” su strada.
Ricordiamo che ai suoi tempi le più prestigiose competizioni mondiali su strada erano la Mille Miglia, la Targa Florio e la Carrera Panamericana.
Biondetti ha partecipato a nove Mille Miglia vincendone quattro, un record ineguagliato:
– 1938 – Alfa Romeo 8C 2900A
– 1947 – Alfa Romeo 8C 2900B
– 1948 – Ferrari 166S
– 1949 – Ferrari 166M
e ha realizzato una prestigiosa doppietta vincendo anche la Targa Florio nel 1948 e nel 1949 alla guida della Ferrari diventando così uno dei pochi piloti capaci di vincere almeno una volta entrambe le classiche stradali italiane, un’impresa in cui riuscirono solo Brivio, Moss, Nuvolari, Taruffi (che può vantare di aver vinto anche la Panamericana nel 1951) e Varzi. Vinse anche un Giro di Sicilia ed una Coppa Acerbo nel 1939.
Sfortunate invece le sue uniche tre partecipazioni alla 24 ore di Le Mans (1938 Alfa Romeo – 1951 Jaguar – 1953 Lancia) dove fu costretto al ritiro in tutte e tre le occasioni.
Amante della meccanica lo ricordiamo estemporaneamente impegnato come costruttore/assemblatore: nel 1931 si schierò al via del Gran Premio d’Italia alla guida di un ibrido da lui realizzato montando un motore Maserati su un telaio Bugatti denominato M.B. dalle iniziali delle due principali componenti meccaniche. A questo primo esperimento ne seguirono altri come il tentativo di realizzare un 8 cilindri dall’unione di 8 motori motociclistici Norton o un secondo ibrido, anglo-italiano, ottenuto dalla commistione di un telaio Ferrari 166 con un motore Jaguar con il quale si schierò al Gran Premio d’Italia nel 1950, risultando così l’unico pilota schieratosi in Formula 1 alla guida di una Ferrari priva di un motore “made in Maranello” e anche l’unico a portare un motore Jaguar in F1.
Clemente Biondetti, detto il “Biondo”, nasce a Buddusò, in provincia di Sassari, ma toscano d’adozione e per discendenza familiare, il 18 novembre 1898 (lo stesso anno di Enzo Ferrari).
Era dotato di un carattere rude, non semplice, sicuramente poco accomodante, impulsivo e sanguigno ma al contempo sincero e leale; dava tutto di sé nelle corse, anche le proprie risorse finanziarie, ed era dotato di una eccellente intelligenza tattica, caratteristica indispensabile nelle gare di Gran Fondo.
Morirà di cancro a Firenze il 24 febbraio 1955, a 57 anni non ancora compiuti.
Si era appassionato agli sport motoristici negli anni del primo dopoguerra frequentando l’officina di riparazioni di automobili di Roberto Barsanti e un bar di via Tornabuoni a Firenze dove ebbe modo di conoscere alcuni giovani fiorentini di famiglie altolocate, anch’essi appassionati di automobilismo, come i conti Carlo e Giulio Masetti, il marchese Niccolini, il conte Gastone Brilli Peri ed Emilio Materassi, autista della SITA sul tratto Pontassieve – Firenze, che diventeranno poi famosi come “quelli del bar di via Tornabuoni”; purtroppo alcuni furono vittime della loro stessa passione.
Debutta in moto con una Galloni 500, acquistata con i risparmi faticosamente accumulati, alla Sassi – Superga nel 1923 e coglie la prima vittoria, seppur di categoria, alla Vermicino – Rocca di Papa. Continua a gareggiare in moto con Norton, Excelsior e A.J.S ma purtroppo nel 1926 è vittima di un drammatico incidente al circuito motociclistico di Ostia: si doveva affrontare il passaggio di un ponte che consentiva a malapena il passaggio di due piloti ma purtroppo provarono a passarvi in tre, Biondetti, Bassi e Boris, e l’esito fu drammatico con Bassi morto sul colpo, Boris moribondo e Biondetti fermo un anno a causa di ben ventiquattro fratture.
Sicuramente questo fu uno dei motivi che lo spinsero a passare alle 4 ruote; nel 1927 lo troviamo infatti al volante della Salmson 1100 con cui nel 1929 si laureò Campione Italiano 1100; dopo una ventina di gare con la Salmson e una parentesi con la Talbot passò alla Bugatti e ottenne la sua prima vittoria assoluta alla cronoscalata delle Colline Pistoiesi del 1929 su una Type 40 e vinse la Coppa della Consuma del 1930, anno in cui conquistò il titolo di Campione Italiano 1500, ad oltre 85 km/h di media.
Grazie a questi risultati nel 1931 venne ingaggiato dalla Maserati con cui ottenne due terzi posti a Roma e Montlhery nonostante la scarsa competitività del mezzo; fu allora che decise di realizzare la MB (di cui vi abbiamo parlato all’inizio di queste note) con la quale si iscrisse il 24 maggio al Gran Premio d’Italia.
Finalmente nel 1936 i suoi meriti agonistici vengono riconosciuti con l’ingaggio della Scuderia Ferrari che all’epoca fungeva di fatto da Reparto Corse Alfa Romeo da quando la casa milanese si era ufficialmente ritirata dalle competizioni; debuttò vittoriosamente alla corsa in salita francese Develiers-Les Rangers, giunse quarto alla Mille Miglia, terzo alla salita dello Stelvio. Nel 1937 mostra le sue eccezionali doti di guida quando, al Gran Premio di Tripoli, tiene testa allo squadrone Mercedes prima di essere costretto al ritiro per rottura del motore.
Ma è il 1938 l’anno del suo trionfo con la indimenticabile vittoria alla Mille Miglia, la prima delle quattro, alla guida dell’Alfa Romeo 8C 2900A, in coppia con Aldo Stefani, ottenuta stabilendo la media di 135,391 km/h che resisterà fino all’edizione del 1953.
In virtù di quella strepitosa vittoria Enzo Ferrari decise di iscriverlo alla 24 ore di Le Mans in coppia con Raymond Sommer affidando alla coppia l’unica Alfa Romeo iscritta alla gara, un esemplare unico di 8C 2900B dotato di una carrozzeria berlinetta realizzata dalla Touring che ricordiamo come “Alfa Romeo 8C 2900B berlinetta Speciale Le Mans Touring”; purtroppo, dopo aver guidato la corsa con largo margine fino a 4 ore dal termine, la coppia fu costretta al ritiro per un guasto al motore ed anche in questa occasione Biondetti mostrò la sua generosità agonistica spingendo la vettura ai box per ben 4 km nel tentativo estremo di riprendere la vittoriosa marcia.
Nel dopoguerra Biondetti era ormai sulla soglia dei 50 anni, ma questo non aveva intaccato la sua voglia di gareggiare e, possibilmente, vincere; nel 1947, 1948 e 1949 arrivarono tre vittorie consecutive alla Mille Miglia ma la strada per arrivare a questi successi non fu tutta in discesa.
Infatti alla ripresa delle attività il pilota toscano si trovò nuovamente senza un volante perciò, pur nutrendo poche speranze, prese l’iniziativa di recarsi a Brescia in treno per cercare di ottenere un ingaggio e lì ebbe un incontro fortunato con il pilota/preparatore Emilio Romano che aveva approntato un’Alfa Romeo 8C 2900B berlinetta Touring con il motore privato dei compressori: si arrivò rapidamente ad un accordo e per Biondetti fu la seconda vittoria alla Mille Miglia, dopo quella del 1938, quella che fu definita la “Mille Miglia della rinascita”.
Questa fu l’ultima vittoria di un’Alfa Romeo alla Mille Miglia, l’undicesima della serie; a partire dal 1948 incominciò l’era della neonata Ferrari con una serie di vittorie, inaugurata proprio da Biondetti, interrotta solo nel biennio 1954-55 dalle vittorie di Lancia e Mercedes per poi chiudersi con il trionfo di Taruffi all’ultima Mille Miglia della storia, fine decretata dal tragico incidente di Guidizzolo causato dall’uscita di strada della Ferrari di de Portago.
La vittoria arrivò dopo una dura battaglia con Tazio Nuvolari che, alla guida della piccola Cisitalia 202 SMM di soli 1100cc da lui preferita alla versione coupé perché, avendo problemi ai polmoni, riteneva che gli avrebbe consentito una migliore respirazione, era stato in testa per quasi tutta la durata della gara fino a che sul tratto autostradale Torino-Brescia fu costretto a rallentare a causa di un improvviso temporale finendo secondo.
Ma l’epica impresa dell’anziano e malato Nuvolari, ritenuto il vincitore morale della massacrante maratona automobilistica, offuscò la vittoria di Biondetti, tanto più che all’arrivo, a causa del maltempo, Biondetti non trovò ad accoglierlo né fotografi né giornalisti, e neanche tanto pubblico.
Ancora un mancato riconoscimento, ma Biondetti non si demoralizzò; la sua impresa non passò inosservata agli occhi di colui che già una volta gli aveva accordato la propria fiducia: Enzo Ferrari.
E gli anni 1948 e 1949, durante i quali gareggiò come pilota Ferrari alla guida di una 166, segnarono l’apice della carriera sportiva di Biondetti: vinse due volte la Targa Florio facendo doppietta in entrambi i casi con la Mille Miglia, portando così a Maranello le prime vittorie a due delle più prestigiose gare italiane di risonanza internazionale.
In quel biennio fu sicuramente uno dei più fertili piloti Ferrari aggiudicandosi anche il Gran Premio di Svezia e cogliendo ottimi risultati in altre 17 competizioni.
Il trionfale biennio con la Ferrari gli valse una chiamata della Jaguar, intenzionata ad offrirgli la guida di una XK120 per il 1950. Per Biondetti era l’occasione per una rivalsa nei confronti delle case italiane che, a dispetto del suo palmarès lo consideravano un pilota di secondo piano o quantomeno non un top rider ed infatti accettò l’offerta degli inglesi.
Il 2 aprile del 1950 lo troviamo al via della Targa Florio. Biondetti offrì una buona ma sfortunata prova: era secondo, alle spalle del leader Alberto ascari con due minuti su Bracco, tre su Marzotto e quattro su Villoresi quando la rottura di una biella lo costrinse al ritiro.
Un risultato comunque soddisfacente considerato che era la gara del debutto, tanto che Biondetti si rese disponibile anche per Le Mans e a Spa.
Ma prima c’era la Mille Miglia, a cui si la Jaguar iscrisse quattro XK120, di cui una per Biondetti su cui erano riposte speranze di vittoria ma purtroppo il pilota italiano subì una serie di problemi, come il battito in testa del motore e la rottura di una sospensione, che lo avevano fatto pensare anche al ritiro ma la sua tenacia lo indusse a continuare e finì ottavo.
Nonostante questa mancanza di affidabilità dei motori inglesi, Biondetti chiese alla Jaguar di fornigli dei propulsori per realizzare una sua personale special: allo scopo si procurò un telaio Ferrari 166 su cui montò il motore inglese ottenendo così una vettura di circa 250 Kg più leggera della Jaguar originale;
Con questo ibrido, la Jaguar Biondetti Special, il 3 settembre 1950 si schierò al via del Gran Premio d’Italia; il risultato fu alquanto deludente, dopo 15 giri non velocissimi fu costretto al ritiro. La sua “Jaguar Special” gli diede maggior soddisfazione alla Firenze – Fiesole dell’anno successivo, dove arrivò primo e stabilì il record di velocità; questo risultato lo incoraggiò ad iscriversi alla “sua” gara, la Mille Miglia ma purtroppo dopo soli 140 Km arrivò il ritiro per problemi al telaio; le uniche, magre, soddisfazioni arrivarono con il terzo posto di classe alla Susa Moncenisio e un secondo alla Aosta – Gran San Bernardo.
Tornato a Maranello nel 1952, alla Mille Miglia Biondetti riuscì ad essere presente come pilota e costruttore; inizialmente pensava di partecipare con una Jaguar C type ma poi arrivò la chiamata da Maranello che gli offrì il volante Ferrari 225S in coppia con Ercoli, ma iscrisse anche la sua Jaguar Special, guidata dalla coppia Pezzoli – Cazzulani. Fu una Mille Miglia tra le più sfortunate per il pilota toscano che fu costretto al ritiro e dovette assistere al ritiro anche della sua Special.
Lo troviamo alla guida di una Ferrari 212 Export alla 10 ore Notturna di Messina in coppia con Cornacchia, una gara dal finale drammatico: erano in testa alla gara, alla guida era Cornacchia, quando la vettura rimase praticamente priva di una sospensione; gli ultimi giri furono una sofferenza sia per Cornacchia che per Biondetti che assisteva trepidante al box, ma riuscirono comunque a tagliare per primi il traguardo.
Nel 1953 passò alla Lancia e lui ripagò la fiducia riposta in lui, che era sulla soglia dei 55 anni, portando la berlinetta D20 all’8º posto, un piazzamento che sarebbe potuto essere se in prossimità del traguardo non si fosse rotto l’albero di trasmissione e lui e il copilota, Barovero, avessero dovuto spingere la macchina fino al traguardo per 6 km. Nello stesso anno, alla guida di una Lancia Aurelia ottenne una delle sue ultime vittorie alla Coppa della Toscana.
E quando iniziò la stagione 1954, la sua ultima stagione di gare, aveva 55 anni e già da un anno sapeva di essere stato colpito da un cancro alla gola che lo avrebbe portato alla morte; lo ricordiamo in alcune foto che lo ritraggono con una pesante sciarpa intorno al collo e .. la sigaretta tra le dita.
Ciò nonostante alla guida di diverse Ferrari conquistò l’ultima vittoria in carriera alla 6 ore di Bari, arrivò 2° al Giro delle Calabrie, 4° alla Mille Miglia, al Giro d’Italia e alla 12 Ore di Reims e 5° alla Targa Florio ma alla fine dell’anno appese il casco al chiodo.
Quando morì, il 24 febbraio 1955 a Firenze, Franco degli Uberti su Auto Italiana scrisse: “Con Clemente Biondetti è una gran parte della storia del nostro automobilismo che perde l’ultimo addentellato con quell’epoca in cui ancora lo sport sapeva di romanticismo più che non di speculazione, di interesse commerciale e di ambizioni, con quell’epoca in cui chi aveva la passione si arrangiava a sfogarla come poteva anche ritirandosi sempre, anche “tappezzando la casa di cambiali” come diceva ad un collega il pilota scomparso”.
Biondetti riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Trespiano, nel quartiere Campo di Marte a Firenze.