Alfonso Morini (Bologna, 22 gennaio 1898 – Bologna, 30 giugno 1969) dopo una breve carriera da pilota, nel 1924 in società con Mario Mazzetti è co-fondatore della MM, casa motociclistica bolognese; nel 1937 esce dalla MM per fondare il marchio motociclistico che ancora oggi porta il suo nome.
Negli anni in cui gestì la sua azienda nacquero moto rimaste nella memoria dei giovani e di molti piloti di allora: Sbarazzino, Rebello, Tresette, Settebello, Corsaro, Corsarino e – avvalendosi delle capacità tecniche di Dante Lambertini e Nerio Biavati – la 250 GP, “la monocilindrica più veloce del mondo” (si dice che siano stati gli inglesi, notoriamente poco propensi ad elogiare prodotti stranieri ma anche sostenitori ad oltranza del monocilindrico, ad averla definita così, una denominazione adottata poi dalla stampa mondiale), con la quale nel 1963 Agostini approdò alla scena mondiale e Provini contese il titolo alla Honda 4 cilindri di Redman (moto già Campione del Mondo nel 1961 con Hailwood e nel 1962 con lo stesso Redman).
Alla sua improvvisa e prematura scomparsa spettò alla figlia Gabriella succedergli alla guida dell’azienda di famiglia; poco dopo, per rilanciare l’azienda che in quegli anni subiva gli effetti della crisi del settore, arriva il progettista Franco Lambertini (nessuna parentela con il tecnico Dante), proveniente dalla Ferrari, che riuscirà a dare nuova linfa alla casa bolognese con la realizzazione del ben noto bicilindrico a V da 72° che adottava alcune soluzioni forse non originali ma probabilmente mai viste tutte insieme su un propulsore motociclistico; ricordiamo, infatti, le camere di combustione Heron ricavate nel cielo dei pistoni, l’albero a camme comandato da una cinghia dentata in gomma e la frizione multidisco a secco, una soluzione peculiare delle moto da competizione come anche il cambio a 6 rapporti, senza dimenticare l’accensione elettronica ed il rubinetto benzina ad azionamento elettromagnetico.
Inizialmente la configurazione del motore, insolita non solo per la Morini, lasciò perplessi i morinisti più radicali legati al mito della monocilindrica da Gran Premio, ma poi tutte le perplessità caddero quando alla prova pratica vennero confermate le caratteristiche che avevano sempre contraddistinto le Morini: affidabilità, consumi bassi, piacere di guida.
Da questo motore, concepito secondo il principio della “modularità“, inizialmente nato nella cilindrata 350 nascerà una famiglia di bicilindrici (250, 350 e 500) e monocilindrici (125 e 250) che equipaggeranno diversi modelli della casa bolognese; ma il vero capolavoro a cui si deve la salvezza dell’azienda fu sicuramente la 3 ½ (nota anche come “GT” o “Strada” per l’esportazione) a cui, nel 1974, venne affiancata la versione Sport.
Purtroppo anche la Moto Morini, come gli altri prestigiosi marchi italiani, fu vittima della crisi indotta dall’avvento del “ciclone” giapponese finché nel 1987 Gabriella Morini si arrese e cedette l’azienda ai fratelli Castiglioni, i titolari del gruppo CAGIVA, che la inserirono nell’orbita della Ducati, già di loro proprietà da un paio di anni.
Per circa un decennio il marchio Morini è rimasto di proprietà della Ducati ma questa unione non ha mai dato frutti se non un timido tentativo datato 1987 con la protagonista di queste note, la DART (freccia) 350 che può essere considerata l’ultima Morini della fase storica (da cui eredita il motore) e contemporaneamente la prima e purtroppo anche l’ultima Morini della gestione Castiglioni.
Probabilmente nelle intenzioni dei Castiglioni sarebbe dovuta essere una sorta di sorella minore della Ducati PASO (da cui ereditava l’impostazione estetica) e probabilmente per questo acquistarono la Moto Morini attraverso il brand Ducati e non direttamente come gruppo CAGIVA.
Per ricostruire la genesi di questa moto dobbiamo fare un passo indietro di alcuni anni quando i Castiglioni, imprenditori nel campo della minuteria meccanica ma anche grandi appassionati di moto, prendono la decisione di costituire un grande polo industriale che possa realizzare la rinascita motociclismo italiano.
Perciò dopo avere acquistato l’Aermacchi, presto ribattezzata CA.GI.VA. (acronimo di CAstiglioni GIovanni VArese), nel 1984 acquistano la Ducati e successivamente l’Husqvarna. In seguito, sfumate le trattative per l’acquisto della Moto Guzzi, nel marzo del 1987 definiscono l’acquisizione della Moto Morini. Per completezza della ricostruzione storica vogliamo ricordare che in seguito anche il glorioso marchio MV Agusta entrerà a far parte del gruppo.
Fra i modelli più innovativi proposti nel 1986 dal gruppo spicca , almeno nell’estetica, la Ducati PASO 750 caratterizzata dalla carenatura integrale completamente chiusa a nascondere totalmente le parti meccaniche, da un parafango avvolgente che copre buona parte della ruota anteriore e dal cupolino privo dell’elemento trasparente in plexiglas.
Circa un anno dopo, quasi a voler delineare un family feeling del gruppo, viene messa in vendita la CAGIVA Freccia C9, una 125 2 tempi con telaio doppio trave che riprende abbastanza fedelmente l’estetica della PASO; a riempire i “buco” tra la piccola 125 e la più corposa 750 bolognese, poco dopo l’acquisizione della Moto Morini viene presentata, al Salone di Milano nel novembre del 1987, la Moto Morini DART 350.
La moto è una miscellanea di parti provenienti da aziende del gruppo: motore della Morini 3 ½, telaio derivato dalla Cagiva 125 Freccia C9 leggermente modificato per adattarlo al motore Morini più ingombrante, estetica ispirata alla Ducati PASO, sostanzialmente identica a quella della ottavo di litro varesina.
Per inciso, l’adozione di un motore più potente, voluminoso e pesante dimostrava la bontà del telaio CAGIVA.
Esteticamente la DART, assemblata negli stabilimenti CAGIVA, si distingue dalla Freccia C9 per lo scarico, con i terminali sottosella sulla Cagiva e in posizione tradizionale sulla Morini, e per le prese d’aria ai lati della carena necessarie per raffreddare il motore più grosso e potente.
Infatti il motore, dotato di un avviamento elettrico più efficiente tanto che venne definitivamente eliminata a pedivella di avviamento, nonostante l’adozione di un radiatore per l’olio soffriva di problemi di carburazione e raffreddamento dovuti alla carenatura chiusa.
Nei programmi dei Castiglioni la Morini avrebbe dovuto coprire il mercato nella fascia 250/500 tanto che vennero approntati anche un prototipo 250 ed un 500 con distribuzione a 4 valvole.
Ma purtroppo la DART, prodotta fino al 1990 nella sola colorazione “bianco perlato” con inserti blu e azzurri in circa 1000 esemplari, di cui alcuni nella cilindrata 400 per il mercato giapponese, non avrà il successo sperato; diversi i motivi di questo insuccesso.
Prima di tutto perché il mercato delle cilindrate medio-basse era diventato praticamente inesistente, in particolare proprio quello della cilindrata 350 perché in quegli anni venne abrogata la legge che limitava per i 18enni la guida a moto di cilindrata massima di 350cc.
Ma, se anche la legge fosse rimasta in vigore, il mercato avrebbe offerto ai nostri giovani moto della concorrenza meno costose e più performanti; valga come esempio il raffronto con una moto giapponese: la moto italiana erogava una potenza di circa 30 CV, raggiungeva i 164 km/h e aveva un prezzo di listino di 6.783.000 lire ovvero di circa 600.000 lire superiore a quello della Yamaha RD 350 LC due tempi che offriva una potenza di ben 50 CV e raggiungeva i 190 km/h. E forse il confronto si rendeva ancor più impietoso rispetto alla stessa 125 di famiglia che erogava all’incirca la stessa potenza con un peso minore ed un prezzo di listino di molto inferiore (Pochi anni dopo la Cagiva Mito 125, anch’essa caratterizzata da un design ispirato ad una Ducati, la mitica 916, raggiungerà la stratosferica potenza di 35 CV!!!)
A questo punto la CAGIVA, per evitare sovrapposizioni e conflittualità di prodotto con Ducati, decide di chiudere la Morini prima trasformandola in una Engineering, poi decretandone la chiusura definitiva trasferendo il personale in Ducati. Nel 2004 il marchio verrà ceduto ad un ramo della famiglia Morini ma questa, come si dice in questi casi, è un’altra storia che vedrà poi nel 2012 la sua terza fase.
Una curiosità legata al breve ed improduttivo connubio Ducati/Morini: la Ducati 900SS (telaio derivato dalla F1 e motore derivato dalla Paso 906) dal 1989 al 1990 veniva assemblata nello stabilimento della Morini.