Nonostante le frequenti crisi economiche e finanziarie, specialmente nel periodo della gestione statale, nella storia della Ducati l’attività sportiva e le performance delle proprie moto stradali ha avuto sempre un ruolo importante tanto che spesso i modelli da competizione nascevano già con un occhio alla produzione in serie.
Già con il Cucciolo incominciava a manifestarsi l’anima sportiva della Ducati: dopo la prima vittoria di Mario Recchia nella prova di campionato emiliano-romagnolo svoltasi il 1° novembre 1946 sul tracciato ricavato all’interno dei Giardini Margherita di Bologna, tanti furono i successi conseguiti in gare in salita, circuiti cittadini, raid e gimkane; poi, con l’ingresso in azienda di Taglioni, venne il periodo della partecipazione alle classiche in linea (Milano/Taranto e Motogiro) con le Marianne 100 e 125 dalle quali verranno derivate le 125 GP che, con l’applicazione della distribuzione desmodromica, diventeranno la massima espressione motoristica dell’epoca tanto da sfiorare il titolo iridato con Gandossi nel 1958, anno in cui a Monza la Ducati piazzò 5 moto ai primi 5 posti!!! Degne di citazione le ottime prestazioni delle monocilindriche nelle gare di durata in terra spagnola, la partecipazione di Spaggiari alle gare della Mototemporada con le monocilindriche desmodromiche 250/350/450, i primi punti iridati nella classe regina conquistati dalla 500 bicilindrica da Gran Premio da cui nascerà la famiglia delle bicilindriche a coppie coniche plurivittoriose con la doppietta alla 200 miglia di Imola del 1972 con la coppia Smart-Spaggiari, i successi di Uncini nel 1975 in sella alle gialle 750SS derivate dalla moto trionfatrice nella 200 miglia di Imola gestite dalla Scuderia Spaggiari, i successi nelle gare di durata con le bicilindriche elaborate dalla NCR, la storica vittoria di Hailwood al TT del 1978. Poi, con la nascita del motore Pantah caratterizzato dal comando della distribuzione a cinghia dentata, arriveranno altre vittorie con le TT1 e le TT2, il prolungato dominio nel mondiale SBK, le vittorie alla Dakar con la Cagiva Elefant motorizzata Ducati, i successi nella Supersport con la 748SP e la 748R nella seconda metà degli anni ‘90. Perla di questa lunga collana di successi rimane, si spera solo per ora, il titolo iridato di Stoner.
Avendo qui ricordato le diverse specialità agonistiche cui si è dedicata la Ducati,
vogliamo ricordare anche la singolare Pantah Ice Trophy presentata al Salone di Milano del 1981. La moto fu realizzata con la collaborazione dell’Alfa Romeo a cui era intitolato il Trofeo Europeo a cui avrebbe dovuto partecipare. Era dotata di pneumatici chiodati da 18” (190 chiodi davanti e 235 dietro); il motore erogava circa 60 CV ed era priva di freni, come tutte le moto di questa specialità motociclistica. Ne furono realizzati 10 esemplari. Fu portata in gara senza molto successo nel 1982 dal pilota austriaco Hans Maier.
Ma, storia forse nota solo agli addetti ai lavori e a pochi appassionati, la Ducati non si è cimentata solo nelle sfide nelle gare in linea, nelle competizioni endurance e nelle battaglie in pista, infatti la casa di Borgo Panigale, al pari di altre case motociclistiche (ed automobilistiche) che tra la fine degli anni ’40 e la prima metà dei ’50 tentarono di conquistare alcuni primati mondiali come quello del chilometro lanciato, o quello dell’ora o ancora quelli sulle 6, 12, 24 e 48 ore, si è cimentata anche in questa tipologia di prove in gran voga in quegli anni, già da prima della guerra.
Le moto protagoniste di questi tentativi (ben riusciti) di record furono il Cucciolo e la Marianna 100 GS ovviamente adattate allo scopo.
Di questa attività della Ducati poco conosciuta qui ricordiamo la storia dei tre tentativi di record più importanti coronati dal successo.
Primo tentativo: nel 1948 il Cucciolo batte il record di durata sulla distanza delle 36 ore
Sulla pista F.C. Oeste di Buenos Aires i piloti Laterza, Allegretti e Lanza in sella al Cucciolo stabilirono il record mondiale di durata per motori fino a 50cc sbaragliando tutta la concorrenza diretta e riuscendo perdipiù a superare le prestazioni anche di moto di cilindrata superiore. Il Cucciolo conquistò il record in scioltezza senza subire guasti consumando appena 28 litri di benzina per tutta la durata della prova. Questa brillante performance mise in bella evidenza la facilità di guida, l’economicità di gestione e l’affidabilità del Cucciolo che sulla scia di quel successo divenne ben presto la moto di piccola cilindrata più venduta in Argentina tanto che l’importatore Franchini fu “costretto” ad incrementare gli ordini.
Secondo tentativo: il Cucciolo va tre volte all’attacco dei record a Monza nel 1950
Nel dopoguerra, constatato il notevole sviluppo del mercato di motocicli e motori ausiliari di piccolissima cilindrata, la F.I.M. istituì la classe 1 per mezzi dotati di motori fino a 50 cc.
Il pilota Ugo Tamarozzi era un convinto assertore del fatto che il Cucciolo della Ducati fosse il mezzo più appropriato per affrontare un tentativo di record di velocità e durata nella neonata classe; egli infatti era un profondo conoscitore del Cucciolo avendo maturato una notevole esperienza con questa motociclettina attraverso la partecipazione ad innumerevoli gare di regolarità, in pratica poteva essere considerato uno dei massimi specialisti del Cucciolo.
Per affrontare la prova Tamarozzi dovette sborsare di tasca propria circa 100mila lire (una cifra importante per quei tempi) per il noleggio della pista, l’acquisto, l’allestimento e la messa a punto del Cucciolo e le spese per la logistica e il cronometraggio ufficiale.
La base di partenza per realizzare il veicolo da record era un Cucciolo Nardi al quale vennero apportate alcune modifiche aerodinamiche come un primordiale cupolino ricavato da una lastra di lamiera piegata a V mentre la ruota posteriore era di tipo lenticolare; sul serbatoio, particolarmente capiente per ridurre la frequenza dei rifornimenti, venne apposto un cuscino su cui il pilota appoggiava il petto per ridurre al minimo l’impatto aerodinamico; anche il telaio subì delle modifiche per consentire al pilota di sdraiarsi sulla moto.
La preparazione del Cucciolo di Tamarozzi comprendeva una batteria supplementare per l’accensione mentre il classico monocilindrico quattro tempi opportunamente potenziato era alimentato da un carburante composto da una miscela di benzina e attivanti di varia estrazione realizzato dallo stesso Tamarozzi.
Il 5 marzo del 1950 sulla pista dell’autodromo di Monza Tamarozzi affrontava con successo la prima di tre sessioni di tentativo di record riuscendo a stabilire più di 40 record mondiali.
L’obiettivo iniziale era il record di durata delle 6 ore ma, durante lo svolgimento della prova, vennero stabiliti altri record sulle distanze intermedie a partire dai 10 chilometri a salire; pertanto la seduta da sola prova di durata divenne una prova di velocità e durata.
Prudenzialmente all’inizio la media si attestò sui 62 Km/h per innalzarsi ben presto sui 66 Km/h fissati sulla distanza delle 100 miglia. Tamarozzi girò per 6 ore con un solo rifornimento riuscendo a contenere il consumo in un litro per coprire 55 chilometri mettendo così in evidenza due dei pregi maggiori del Cucciolo, cioè il suo ridottissimo consumo e l’affidabilità che riduceva significativamente i costi di manutenzione.
La Federazione Motociclistica Italiana riconobbe ufficialmente il risultato e decise di premiare Tamarozzi con una cifra con la quale il pilota rientrò interamente delle spese sostenute.
L’esito positivo della prestazione sulle 6 ore indusse Tamarozzi ad affrontare l’attacco ai record su distanze maggiori; naturalmente una prova così impegnativa richiedeva la partecipazione di almeno due piloti visto che un solo non sarebbe potuto rimanere in sella per turni di guida troppo prolungati.
Così, per questa seconda sessione, a Tamarozzi si affiancò Glauco Zitelli, anche lui specialista delle piccole cilindrate. Anche questo secondo tentativo andò in porto brillantemente perché, nonostante un nubifragio che per due ore creò seri problemi di stabilità del mezzo e di resistenza dei piloti, furono polverizzati tutti i record già ottenuti da Tamarozzi nella precedente sessione: la media salì a 67,156 Km/h sulle 12 ore, addirittura più alta di quella ottenuta in precedenza sulle 6 ore.
Poiché, come recita un vecchio proverbio, l’appetito vien mangiando, Tamarozzi, “ingolosito” dalle precedenti sfide vittoriose, decise di affrontare la ben più impegnativa distanza delle 48 ore.
Per questa prova, che evidentemente sottoponeva il veicolo a notevole affaticamento, vennero coinvolti anche alcuni partner tecnici: Dell’Orto per i carburatori, Magneti Marelli per l’impianto elettrico, Pirelli per gli pneumatici e Regina per le catene.
Anche il numero dei piloti impegnati nel tentativo di record crebbe, coinvolgendo, oltre a Tamarozzi e Zitelli, Farnè e Miani, piloti ufficiali Ducati, Caroli, Pennati e Sozzani.
Alla fine di questa terza sessione, affrontata il 13 novembre 1950, il Cucciolo coprì 486 giri facendo registrare una velocità di punta di circa 76 Km/h mentre la media sulle 24 ore risultò superiore a quella stabilita in precedenza dal pilota francese Rapeau su una Prester di 100cc.
Globalmente, nelle tre sessioni di Monza, il Cucciolo riuscì a stabilire oltre 60 record del mondo; unendo a questi quelli stabiliti a Buenos Aires due anni prima si arriva ad oltre 80 record mondiali dando grande visibilità al piccolo motore ausiliario Ducati che arrivò così ad una diffusione a livello mondiale.
Terzo tentativo: nel 1956 a Monza scende in campo il “Siluro”
Come ben sanno gli appassionati sostenitori della Ducati, nel 1955 nasceva la famosa 100 Gran Sport (Marianna), moto nata per le competizioni, in particolare per le gare di gran fondo, come la Milano/Taranto ed il Motogiro d’Italia, che in effetti dominerà.
Di qui nascerà la leggenda Ducati.
Nel 1956, constatata la competitività di questo motore, la Ducati decide di affrontare un’altra tipologia di competizione: viene approntato un siluro da record motorizzato 100 GS con il quale conquisterà 46 record di velocità sul circuito ovale di Monza, una giusta mossa di marketing perché in quel periodo il pubblico era totalmente affascinato dai primati di velocità.
Le modifiche tecniche apportate alla 100GS erano molto limitate mentre furono apportate modifiche sostanziali alle sovrastrutture, sviluppate avvalendosi della consulenza di un ingegnere aeronautico e realizzate dalla carrozzeria Tibaldi, specializzata nella lavorazione dell’alluminio. Ne scaturì una carenatura “a sogliola” che, ovviamente, favoriva la penetrazione.
La carenatura, battuta interamente a mano, era montata con l’interposizione di numerosi silent block per ridurre al minimo l’effetto delle vibrazioni; in caso di pioggia era previsto un telo elastico impermeabile che sigillava lo spazio tra il pilota e la carenatura per impedire infiltrazioni d’acqua; i pannelli laterali basculanti permettevano al pilota di poggiare i piedi a terra.
Nel corso di una seduta di prove si decise di saldare questi pannelli per evitare che svolazzarselo creando però delle situazioni molto pericolose in caso di caduta o guasti improvvisi o quando si doveva rientrare al box dove i meccanici dovevano intervenire con la massima rapidità per sorreggere la moto che altrimenti, in mancanza di appoggio, si sarebbe sdraiata a terra!
I problemi economici che attanagliavano continuamente la Ducati costrinsero la direzione rinunciare ad un impegno con i piloti ufficiali affidandosi alle prestazioni di due piloti privati, Mario Carini e Sante Ciceri, che si accollarono l’onere delle spese assicurando una quasi totale copertura grazie a sponsor personali.
Il 30 novembre 1956 lo staff tecnico si recò sul circuito di Monza per il tentativo; per comprendere l’importanza che a quei tempi veniva attribuita a queste performance, basti ricordare che presenziarono, oltre all’ing. Fabio Taglioni coordinatore del progetto tecnico, i vertici dell’Azienda nelle persone del Direttore Generale Montano e del suo vice, il dottor Calcagnile.
Fu una giornata trionfale: furono battuti 46 record mondiali delle classi 100, 125, 175 e addirittura della classe 250, pur avendo un motore di soli 100 cc; il “Siluro” completò il giro più veloce a una media di 171,910 Km/h, mentre i 1000 chilometri furono percorsi alla media di 154,550 Km/h.