Da qualche tempo nel campo delle moto di serie si registra un ritorno al motore 3 cilindri, 4 tempi, in linea trasversale con le proposte della rinata Triumph del miliardario John Bloor, della Benelli con la splendida Tornado 900 (di cui mi auguro il ritorno, ovviamente in chiave moderna), della MV Agusta e, ultima in ordine di tempo, della Yamaha con la MT09.
Esiste la convinzione, tutta da verificare, che una tale configurazione, intermedia tra il 2 ed il 4 cilindri, possa mediare pregi e difetti dell’una e dell’altra soluzione in termini di erogazione, potenza, dimensioni trasversali, peso e costi di manutenzione.
E se fosse vero è ipotizzabile che altri costruttori (cinesi?) vogliano percorrere questa strada tecnica.
Rimanendo sull’argomento di questa inconsueta configurazione motoristica vogliamo ricordare che alla fine degli anni ’60 la Laverda fu una delle prime a pensare ad una tale configurazione per moto di serie.
Infatti, nel 1969 venne presentata la LAVERDA 1000 3 cilindri che poi, causa problematiche aziendali, fu messa in vendita solo nel 1972, anno in cui fu presentato il prototipo definitivo.
La Laverda 1000, dotata di un poderoso e robusto motore tricilindrico di 1000 cc. da ben 80 cavalli, era una motocicletta davvero stupenda per i suoi tempi; il suo fascino derivava dalla linea maschia e dal rombo possente.
La ciclistica, costituita da un telaio granitico unito a efficienti sospensioni Ceriani, garantiva una notevole stabilità, invero un po’ a discapito della maneggevolezza. La prima serie aveva i freni a tamburo ma le due successive furono dotate di freni a disco. Buona anche la dotazione in materia di accessori con la strumentazione della giapponese Nippon Denso e l’impianto elettrico della BOSCH.
In seguito vennero presentate altre versioni per arrivare fino a 1200cc.
La Laverda 1000 si distinse anche nelle gare di durata raccogliendo la difficile eredità della mitica 750 SF.
Il suo fascino era tale che la vollero anche alcune teste coronate come il Re di Spagna Juan Carlos di Borbone che ne volle una rossa mentre quella del Re del Belgio, Alberto di Liegi, era blu.
Sarebbe auspicabile che il Gruppo Piaggio pensasse ad una rinascita del glorioso marchio di Breganze ripartendo da una moderna erede della Laverda 1000/1200.
Motori motociclistici con questo tipo di configurazione li ritroviamo già agli albori del motociclismo; le prime notizie risalgono al 1907, ma noi ci limiteremo a parlare del secondo dopoguerra.
Negli anni ’70, sulla scia dei successi della MV Agusta affidata a Giacomo Agostini, alcune case tra le più importanti proposero moto di serie motorizzate da un 3 cilindri: la Kawasaki con le 500/750 2 tempi; la Suzuki con le 380/550 2 tempi e la 750 2 tempi raffreddata ad acqua; le inglesi Triumph/BSA fedeli alla cilindrata 750 con ciclo a 4 tempi; la Laverda con la sua possente 1000 proposta in seguito anche nella cilindrata 1200, la BMW con la “anomala” (motore in linea longitudinale coricato su un fianco) K75 ed infine la Yamaha con la XS 750/850, forse la meno conosciuta.
Anche la Honda propose una sua tre cilindri, la NS400R lontana parente della gloriosa NS500 di Freddie Spencer, ma in questo caso non si trattava di un motore in linea ma di un V di 90° con un cilindro verticale e due orizzontali, l’opposto della NS500 da cui derivava.
E non vogliamo dimenticare la esotica (in realtà italianissima) NEMBO32 di circa 2000cc caratterizzata dal singolare (ma non inedito) schema costruttivo con teste e cilindri rivolti verso il basso, una soluzione ampiamente diffusa in passato in campo aeronautico.
Nel campo delle competizioni la striscia vincente della MV Agusta di Agostini nelle classi 350 e 500 ispirò la nascita della artigianale CARDANI 500 (il nome è un acronimo ricavato dai nomi dei suoi ideatori, Carlo Savarè e Daniele Fontana, famoso per i suoi freni a tamburo).
Anche la DUCATI si fece influenzare dai successi della MV Agusta e perciò, parallelamente al progetto della 500 bicilindrica a V90° da GP, nel 1971 fu realizzato, in collaborazione con la famosa società di consulenza inglese RICARDO ENGINEERING, un motore 350 cc a tre cilindri, 4 valvole che però non ebbe seguito. Le cronache dell’epoca suggerivano che da questo motore sarebbe dovuta derivare una versione 500 4 cilindri, ma anche di questa non se ne seppe nulla, forse non fu mai realizzata.
Un’altra interessantissima moto da GP di soli 50cc (si, cinquanta) sarebbe stata quella che la Suzuki si preparava a far debuttare nel 1968: un vero mostro meccanico con un motore 3 cilindri 2 tempi, 28 x 26,5, 14 rapporti, circa 20 CV (intorno ai 400 CV/litro, come se una MotoGP odierna erogasse 400 CV) a 19.000 giri. Purtroppo i regolamenti tecnici introdotti dalla FIM (1 cilindro, 6 marce) costringeranno la Suzuki ad archiviare questo stupendo esercizio meccanico. All’epoca si vociferava che anche la Honda avesse pensato ad una 50GP 3 cilindri, ma 4 tempi, bialbero 4 valvole, come da tradizione della casa dell’Ala Dorata.
A tre cilindri, ma a 2 tempi e con i cilindri disposti a V, ricordiamo la Honda NS500 che conquistò poi il mondiale nel 1983 con Freddie Spencer. Anche la Yamaha si è cimentata nelle competizioni con un 3 cilindri, sia pure attraverso la filiale olandese, con la 350 2 tempi con cui Katayama conquistò il mondiale nel 1977.
In tempi più recenti, con l’avvento della MotoGP, è stato il turno dell’Aprilia che ha presentato nel 2002 la RS cube, una moto da GP avanzatissima tecnologicamente, forse troppo e questo ne ha determinato uno scarso rendimento in gara e quindi lo stop allo sviluppo. Il motore sulla carta era eccezionale, con distribuzione a valvole pneumatiche, frizione in fibra di carbonio, acceleratore elettronico e potenza stimata di quasi 220 CV.
Pur avendo voluto limitare i nostri ricordi alle moto del dopoguerra non possiamo esimerci dal ricordare che in realtà la MV Agusta aveva illustri precedenti nella MotoGuzzi 500 da GP del 1939, che gareggiò una sola volta a maggio del 1940 al circuito del Lido di Albaro a Genova guidata da Guglielmo Sandri. Con la Seconda Guerra Mondiale la carriera di questa promettente moto si interruppe drasticamente. La moto era caratterizzata dai cilindri inclinati in avanti di 45°, era dotata di compressore volumetrico Cozette e distribuzione bialbero comandata da una catena. Esteso l’utilizzo di electron per un peso di 175 kg. Potenza di 65 CV a 8.000 giri.
Altra moto da GP ante MV, ma a 2 tempi con i cilindri disposti a V di 75°, è stata la DKW 350 che debuttò nel 1952 al GP di Svizzera; aveva due cilindri verticali da 125cc inclinati in avanti di 15 gradi e il terzo orizzontale da 100 cc. La potenza, inizialmente di 35CV a 10.000 giri, crebbe fino a 45CV. Non ebbe una grandissima fortuna nelle competizioni per una serie di inconvenienti tecnici nonostante un’accelerazione che la rendeva imbattibile per i 4 tempi di allora.