Dopo la doppia delusione del 1964 e del 1965, la “vendetta” di Henry Ford II° si concretizzò quando la GT40 dominò la 24 Ore di Le Mans del 1966 conquistando tutti e tre i gradini del podio e superando per la prima volta la media dei 200 km/h nell’arco delle 24 ore.
Le grandi sconfitte furono le Ferrari 330 P3.
Per la prima volta la più famosa e più prestigiosa gara automobilistica di durata veniva vinta da un costruttore extra europeo.
La Ford mostrò il proprio potenziale già dalle qualifiche conquistando le prime quattro posizioni con Gurney/Grant in pole.
La casa americana si era presentata a Le Mans con otto GT40 Mk II spinte da un possente V8 da 7.000cc che erogava oltre 480 CV. Tre dei prototipi USA, gestiti da Shelby, vennero affidati agli equipaggi McLaren/Amon, Miles/Hulme e Gurney/Grant; altri tre, della Holman&Moody, per i piloti Bucknum/Hutcherson, Andretti/Lucien Bianchi e Donohue/Hawkinsed infine due della scuderia inglese di Alan Mann guidate dalle coppie Graham Hill/Muir e Whitmore/Gradner.
La Ferrari schierò due berlinette 330 P3 dotate di un motore V12 4000cc a iniezione da 426 CV, una affidata all’equipaggio Guichet/Bandini e una seconda per Parkes/Scarfiotti/Surtees; una terza P3 in versione spyder venne affidata alla scuderia N.A.R.T. per l’equipaggio Rodriguez/Ginther.
Il via viene dato da Henry Ford II° in persona.
Dopo la prima ora tre GT40 sono al comando. Alla quarta ora la GT40 di Miles/Hulme è in testa e precede quella di Gurney e la Ferrari di Rodríguez, ma alla sesta ora inizia a piovere e la Ferrari di Ginther passa al comando davanti alle Ford ma durante la notte le P3 accusano problemi di surriscaldamento, poi quella di Scarfiotti/Parkes abbandona in seguito a un incidente seguita all’11° ora dalla P3 della N.A.R.T. che si ritira per problemi al cambio.
Da metà gara la Ford prende il sopravvento e domina la gara con quattro Mk II nelle prime quattro posizioni e con altri tre esemplari in quinta, sesta e ottava piazza. Dal muretto chiedono di andare più piano per preservare i motori ma Miles e Gurney continuano a tirare come degli ossessi.
Alla 17° ora si ritira anche la terza Ferrari di Bandini/Guichet per noie al motore mentre un’ora dopo è la GT40 di Gurney/Grant che abbandona per un problema al radiatore mentre si trova al primo posto.
A questo punto, prospettandosi il trionfo, ai box della Ford si incominciano a dare ordini di scuderia e viene deciso di assegnare la vittoria alla vettura che si troverà al comando dopo l’ultimo pit-stop; in quella fase della gara troviamo in testa Ken Miles e Denny Hulme seguiti dall’altra Ford di Bruce McLaren e Chris Amon e dalla vettura della Holman&Moody dell’equipaggio Bucknum/Hutcherson, staccata di alcuni giri; per suggellare ancor di più il trionfo McLaren suggerisce ad Henry Ford II° di ordinare un arrivo in parata delle tre GT40.
A quel punto si verifica un episodio che rimarrà nella storia della 24 ore.
Dall’ultima curva esce per primo Miles che, ligio agli ordini di squadra, si fa raggiungere da McLaren seguito da presso dalla terza Ford GT40 staccata però di 12 giri. Miles, che taglia per primo il traguardo per pochi centimetri, è convinto di essere il vincitore ma viene beffato dalla decisione della direzione gara che assegna la vittoria all’equipaggio Bruce McLaren/Chris Amon in quanto partiti più indietro dalla griglia di partenza, in quarta posizione, e quindi hanno percorso più strada nell’arco delle 24 ore.
Facile immaginare la delusione di Miles che tra l’altro aveva attivamente partecipato allo sviluppo e ai collaudi della GT40 e che pertanto si sentiva di essere uno degli artefici di quella vittoria; due mesi dopo, nell’agosto del 1966, perderà la vita sul circuito di Riverside mentre testava l’erede della GT40 Mk II.
A prescindere dal buon progetto di base della vettura e dal valore dei piloti, il successo arrivò anche per altri fattori.
Un primo fattore positivo va accreditato all’ingegner Phil Remington che ideò un sistema frenante che permetteva ai meccanici la sostituzione di pastiglie e dischi rapidamente durante il cambio pilota.
Ma ancor prima, per garantire che i possenti V8 da quasi 1000 cc di cilindrata unitaria potessero sopravvivere alla 24 ore di Le Mans, i tecnici della Ford li avevano sviluppati utilizzando un dinamometro gestito da un programma che simulava prestazioni e durata. Nel programma vennero infatti memorizzati il numero di giri, le sequenze dei cambi di marcia lungo un giro del circuito ed i pit stop; il motore veniva così sottoposto ad uno stress simile, o forse superiore, a quello che avrebbe subito in gara fino ad arrivare al giusto livello di affidabilità e prestazioni. In pratica un simulatore ante litteram. Se aggiungiamo a questo altre diavolerie come i tergicristalli adottati sui Jet ed una organizzazione faraonica che arrivava all’affitto di un castello come sede operativa del team, si capisce come quella vittoria non potesse più sfuggire al colosso dell’ovale blù.
La vendetta di Henry Ford era stata consumata ed Enzo Ferrari con l’editoriale pubblicato nell’annuario della Scuderia ammetteva così sportivamente: “Quest’anno finalmente siamo stati sconfitti”, non accadeva dal 1959!