Chi ha vissuto gli anni ’80 non può non ricordare una Gran Turismo italiana un po’ fuori dagli schemi: la Maserati Biturbo voluta da Alejandro de Tomaso che aveva acquisito la proprietà della casa del Tridente nel 1976 dalla Citroën; doveva essere la prima Gran Turismo all’italiana dei grandi numeri infatti, grazie ad un prezzo competitivo stabilito in poco più di 22 milioni di lire, era stata prevista una produzione di almeno 5.000 esemplari all’anno.
Purtroppo l’obiettivo non fu mai raggiunto perché, a dispetto di un ottimo progetto di base, ben presto emersero problemi di affidabilità dovuti ad uno sviluppo affrettato per accelerare i tempi di commercializzazione della vettura e anche perché le finiture interne dei primi esemplari messi in vendita non erano di qualità eccelsa, contrariamente alla tradizione della casa del Tridente.
Ma, nonostante queste difficoltà iniziali, la Biturbo, prodotta tra il 1982 ed il 1992, viene ricordata per la sua unicità di una emozionante GT offerta ad un prezzo relativamente contenuto, un fatto decisamente inedito nel variegato panorama delle auto sportive dell’epoca.
Era, infatti, un coupé 2+2 caratterizzato da un buon equilibrio tra i tre volumi della carrozzeria (frontale, abitacolo, coda), interni dal design raffinato, il tutto spinto da un potente V6 2000cc sovralimentato che garantiva eccellenti prestazioni.
La carrozzeria della Biturbo era una classica ed elegante coupé a 3 volumi caratterizzata da linee tese tipiche di quegli anni partorita dalla matita di Pierangelo Andreani, Capo Stile Maserati, ma palesemente influenzata nel frontale dalla Quattroporte del 1979 disegnata da Giugiaro.
Gli interni erano di gran lusso ma con qualche caduta di stile, almeno nei primi esemplari, come la similpelle ed il finto legno, ma al contempo impreziositi dal volante con la corona in legno presente su molti modelli e da un elegante orologio Maserati; il condizionatore era disponibile di serie non solo per adeguarsi alla classe della vettura ma anche perché ritenuto indispensabile a causa della elevata temperatura sviluppata dalle due turbine che si propagava fin nell’abitacolo. La posizione di guida era sportiva, un po’ infossata.
L’impostazione tecnica generale era molto classica con il motore in posizione anteriore longitudinale, la trazione posteriore, sospensioni anteriori a ruote indipendenti a schema McPherson, retrotreno a bracci oscillanti e impianto frenante con 4 dischi, ma con la raffinatezza del motore V6 da 2.000 cc sovralimentato per la prima volta su un’auto stradale con due turbocompressori (di qui il nome Biturbo), abbinato ad un cambio ZF di derivazione corsaiola che eccelleva per gli innesti secchi e precisi. A partire dalla seconda serie la innovativa GT modenese offriva le sospensioni livellanti a comando elettrico.
Il motore, un 6 cilindri a V90°monoalbero derivato da quello della Citroen SM e della Merak da cui differiva per il numero delle valvole (3 per cilindro anziché 2) e per l’innovativo sistema di sovralimentazione composto da 2 turbocompressori IHI, uno per bancata, era alimentato tramite un carburatore “soffiato”, cioè a valle dell’impianto di sovralimentazione quindi a tenuta stagna.
Purtroppo proprio queste esclusività tecniche, scarsamente collaudate, furono la fonte del malcontento dei primi acquirenti che accusarono il disagio di grosse difficoltà di avviamento e di una laboriosa procedura di raffreddamento del motore prima di spegnere il motore dovuta alle altissime temperature che si sviluppavano per cui era opportuno far circolare l’olio nelle turbine prima di spegnere del tutto il motore.
Su questi due problemi si interverrà nelle serie successive con l’introduzione di un intercooler e della alimentazione ad iniezione in sostituzione del carburatore; anche l’impianto elettrico non era esente da difetti.
La cilindrata era di 1.996cc per l’Italia ove vigeva un regime di Iva al 38% estremamente penalizzante per le cilindrate oltre i due litri; nel 1983 venne introdotta la versione da 2.491cc per i mercati esteri. Le potenze erogate erano abbastanza simili: 180 CV per le 2.000 e 185 CV per le 2.500.
Motore e sospensioni venivano assemblate alla Maserati di Modena mentre il resto della vettura veniva prodotto alla Innocenti di Milano Lambrate che faceva anch’essa parte del gruppo De Tomaso.
La Biturbo, nonostante queste iniziali difficoltà, generò un’ampia varietà di modelli; oltre alla classica coupé 2 porte 2+2 vennero prodotte versioni a 4 porte e cabriolet con motori di diverse cilindrate e potenze.
Poi il progetto prese una deriva che lo portò all’adozione di un V8 di nuova progettazione che nella prima specifica da 326 CV andò ad equipaggiare la Shamal, che conservava ancora un certo legame stilistico con la progenitrice Biturbo, la Quattroporte del 1994 con 335CV per arrivare ai 370 della 3200 GT del 1998, vettura che segna l’ultimo capitolo della saga della famiglia Biturbo quando ormai la Maserati era passata già da qualche tempo nell’orbita del Gruppo Fiat.
Nonostante tutti i difetti riscontrati la vettura entusiasmò i suoi acquirenti perché il potente V6 turbocompresso non faceva mancare la classica “botta” nella schiena intorno ai 3.500 giri quando si incominciava a sentire d’improvviso l’effetto della sovralimentazione (fenomeno noto come effetto turbo-lag) che faceva letteralmente decollare l’auto dando una sensazione di potenza esaltata dal fischio delle turbine che invadeva l’abitacolo e portava in pochi secondi la vettura fino alla velocità massima di 220 km, non particolarmente elevata perché leggermente penalizzata da una non ottimale penetrazione aerodinamica.
Naturalmente, essendo una trazione posteriore con un motore potente ed una erogazione brutale dovuta al turbo-lag era necessaria molta attenzione specialmente in caso di guida col bagnato o con la neve o anche su fondi stradali non perfettamente levigati perchè a quei tempi non erano ancora diffusi i controlli elettronici della trazione. Per agevolare il guidatore nel controllo dell’auto, specialmente nelle fasi di accelerazione a ruote non perfettamente allineate, venne adottato l’innovativo differenziale TorSen (contrazione delle parole Torque Sensing cioè sensibile alla coppia), all’epoca un’altra esclusiva della berlinetta Maserati. Questo differenziale viene di norma impiegato sulle vetture a trazione posteriore e consente di ripartire la coppia motrice tra le due ruote senza mai bloccare del tutto i due semiassi oppure come differenziale centrale su vetture a trazione integrale.
Le uniche Biturbo dotate di ABS furono le berline 4 porte 4.18V e le ultime 430 sia 18 che 24V di cui parleremo nel seguito.
Altra nota dolente erano i consumi, degni di una granturismo d’altri tempi: con una guida attenta, controllando attraverso il manometro di ridurre al massimo l’entrata in funzione dei compressori, si riuscivano a fare non più di 9 chilometri al litro in autostrada mentre in città i consumi salivano in maniera vertiginosa.
In definitiva un’auto dal fascino unico e particolare che ha segnato una generazione e che nonostante i difetti iniziali è riuscita a conquistarsi una propria fetta di mercato e un posto nella storia dell’automobile, tanto è vero che, nelle sue varie versioni e derivate, è stata presente nel listino della Maserati per quasi un ventennio.
Ma ripercorriamo l’evoluzione dell’ampia gamma di Maserati GT che hanno nella Biturbo la loro progenie, una gamma tanto ampia ed articolata per cui non escludo quale lieve inesattezza od omissione.
La Biturbo fu annunciata al Salone di Torino del 1980, presentata a dicembre del 1981 e immessa sul mercato nel 1982.
Nel 1983 venne introdotta la Biturbo E (Export), versione da 2.491cc da 185CV per i mercati esteri ottenuta mediante maggiorazione dell’alesaggio.
Nel 1984 venne presentata la Biturbo S (e la corrispondente versione per i mercati esteri Biturbo SE) con motore potenziato a 205 CV grazie all’adozione di un intercooler e interni con diverse finiture con tessuto Missoni per i sedili, diversa strumentazione; esternamente presentava la mascherina a nido d’ape nera, cornici dei vetri brunite, prese d’aria di tipo NACA sul cofano motore, alettone posteriore, paraurti e fascioni laterali neri con minigonne. Su tutte le versioni veniva introdotto il M.A.B.C. (Maserati Automatic Boost Control), un dispositivo di gestione delle turbine che serviva a limitare gli eccessi di pressione nel sistema di sovralimentazione.
Nel 1985 vennero presentate la Biturbo 425, una berlina a 4 porte basata sul pianale della coupé allungato e la Biturbo Spyder, una cabriolet 2 porte su disegno di Zagato basato sul pianale accorciato della Biturbo, entrambe mosse da un V6 biturbo di 2,5 litri da 192 CV. Pochi mesi dopo vennero rese disponibili, solo per l’Italia, le Biturbo 420 e Biturbo Spyder 2.0, mosse dal V6 da 1.996cc e potenza di 180 CV.
Nel 1986 nasce la Biturbo 420 S, con varianti estetiche simili alla coupé S e motore da 205 CV.
Nel 1987 tutti i motori adottarono l’alimentazione a iniezione elettronica Multipoint, ottenendo un leggero incremento di potenza e contemporaneamente una erogazione più fluida; le potenze si attestarono sui 187 CV per le Biturbo 2.0i (coupé e Spyder) e Biturbo 420i, 220 CV per le Biturbo 2.0 Si e Biturbo 420 Si e 196 CV per le Biturbo 2.5i (coupé e Spyder) e Biturbo 425i.
Nel 1988 arrivò un restyling ad opera del designer Marcello Gandini che rivoluzionò la gamma. Tutte le versioni adottarono un diverso frontale, nuovi paraurti, nuovi interni con finiture notevolmente migliorate. Anche la gamma motori venne profondamente rinnovata. Le nuove Biturbo 222, la berlina Biturbo 422 e la Spyder 2.0i adottavano l’ormai classico V6 biturbo di 1996cc tre valvole per cilindro a iniezione con la potenza elevata a 223 CV; veniva introdotta la versione bialbero 4 valvole da 245CV montato sulle Biturbo 2.24v e Biturbo 4.24v che andavano a
sostituire le versioni S; al vertice della gamma si ponevano la 430i, la 228 e la Spyder 2.8i che montavano un nuovo V6 quattro valvole di 2.790cc da 250 CV ad alimentazione atmosferica.
Il 1988 fu anche l’anno di presentazione della Karif, una coupè basata sul pianale corto ereditato dalla Spyder su cui veniva montato il V6 da 2.790cc da 285CV. Le linee generali non si discostavano molto da quelle della Biturbo se non per il padiglione molto più compatto.
Nel 1989 la Maserati passò dal gruppo De Tomaso al gruppo FIAT sotto la gestione diretta della Ferrari.
E’ anche l’anno della Shamal derivata dalla Karif da cui si distingueva per numerosi aggiornamenti estetici che portano la firma di Marcello Gandini; l’impostazione generale degli interni era quella classica della famiglia Biturbo ma con sedili molto avvolgenti e nuove finiture in cui materiali tecnici presero il posto della radica; ma la vera novità era costituita dal nuovo motore 8 cilindri 32 valvole, capace di erogare la potenza di 322CV. Esteticamente la Shamal era caratterizzata da un robusto rollbar centrale color antracite, una maggiore inclinazione del lunotto, una coda più alta e massiccia, nuovi paracolpi, passaruota allargati e un frontale caratterizzato da doppi proiettori e una diversa calandra.
Nel 1991 con la Racing arriva una ulteriore evoluzione della originaria Biturbo che sfoggiava una versione del V6 24 valvole portato a 285 CV di potenza. Pesanti i ritocchi estetici a partire dalle linee più arrotondate, passaruota bombati ed una coda più alta e massiccia ispirata a quella della Shamal; all’interno le più sportive modanature in carbonio sostituivano quelle classiche in radica. La Racing anticipò nelle linee la Biturbo 2.24v restyling che infatti adottava un frontale modificato con mascherina più bassa e fari poliellissoidali. Tra il 1991 ed il 1992 vennero prodotti anche 77 esemplari della 4 porte 4.18V che era in pratica una 422 con frontale e posteriore della 4.24V distinguibile dall’unico doppio scarico a destra.
Infine nel 1992 arriva la Ghibli, ultima evoluzione della Biturbo, che riprendeva numerosi componenti della Racing con finiture interne ancora migliorate, spinta dalla massima evoluzione del glorioso 2000cc V6 sovralimentato portato fino alla incredibile soglia dei 306CV; la versione per i mercati esteri era invece spinta dal più capiente 2.8 litri biturbo. Entrambi i motori erano accoppiati ad un cambio Gertrag.
Ma la saga delle Biturbo non si esaurisce con la Ghibli perché nel 1994 viene immessa nel listino la Quattroporte IV, evoluzione della Biturbo 430 ma con il passo portato a 2.65m, aggiornamenti alle sospensioni e alla scocca ed una nuova, più moderna carrozzeria a firma di Gandini che manteneva il classico frontale Maserati. La Quattroporte di ultima generazione era disponibile in Italia nelle cilindrate 2.000cc (287CV) e 2.800cc (284CV) a cui si aggiunse nel 1995 la 3.200cc da 335CV. Il 2000 era accoppiato ad un cambio manuale a 6 rapporti mentre per il 2800 erano disponibili un automatico sequenziale a 4 rapporti della ZF oppure un manuale a 5 rapporti.; in pratica la 2000 era caratterizzata da una maggiore sportività rispetto alla 2880 che però aveva un comportamento più consono ad una berlina di lusso, per quanto di rango sportivo. All’estero la Quattroporte IV era commercializzata solo nelle versioni 2.8 e 3.2.
Nel 1998, prima di passare alla nuova generazione di Maserati, la Ferrari metterà a punto la nuova coupé 3200 GT, prima Maserati “made by Ferrari” spinta dal vecchio biturbo 3.200cc.
Poi, con la Quattroporte Evoluzione, che rimarrà in produzione fino al 2001, l’epopea della Biturbo si estinse.