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Anche per la sofisticata MotoGP vale l’antico detto “gallina vecchia fa buon brodo”?
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Anche per la sofisticata MotoGP vale l’antico detto “gallina vecchia fa buon brodo”?

Dicembre 2nd, 2020 Fabio Avossa BLOG di Fabio Avossa

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Nelle battute finali del Motomondiale 2020 uno degli argomenti più discussi è stato il rendimento di Morbidelli nettamente superiore a quello dei compagni di marca più accreditati, Vinales e Quartararo, nonostante egli disponesse di una moto 2019 aggiornata che sembrerebbe essere meglio equilibrata rispetto alla versione 2020.

Chiaramente ad un costruttore non fa piacere ammettere che la nuova versione della propria moto – frutto di pesanti investimenti e di mesi di duro lavoro – sia meno performante della vecchia, ma a volte accade anzi nella storia recente della MotoGP è accaduto più volte.

La stessa Yamaha non è nuova ad una “esperienza” di questo tipo.

Dopo aver dominato nel 2004 e nel 2005, la Yamaha approntò un nuovo telaio per Valentino Rossi con l’obbiettivo, ovvio, di riconfermarsi Campioni del Mondo.

Ma purtroppo (corsi e ricorsi storici) il nuovo telaio mal si sposò con la copertura che la Michelin aveva approntato per la nuova stagione. Yamaha intervenne pesantemente sul telaio per modificarne la flessibilità ma senza successo; Rossi ottenne una sola vittoria nelle prime quattro gare.

Prima dello svolgimento del Gran Premio di Francia, quinta tappa del mondiale 2006, la Yamaha si convinse a recuperare tutte le show-bike del 2005 e montò i motori 2006 sui telai 2005. Con questo ibrido Rossi conquistò subito la testa della gara fino a quando, a circa due terzi della distanza, si ruppe il motore. La Yamaha non ha mai ammesso che Rossi stava usando un telaio 2005 dichiarando invece che fosse un telaio nuovo; in realtà era semplicemente un telaio 2005 leggermente modificato per accogliere il propulsore 2006.

La storia si ripeterà nel 2017 quando, a Valencia, Rossi e Vinales tornarono al telaio 2016 dopo essere stati più volte surclassati dal debuttante Zarco con una M1 my 2016 gestita dal team satellite Tech3; inizialmente avevano programmato di mettere a confronto i due telai durante i test post-gara ma poi, visto il risultato delle qualifiche (settimo e dodicesimo con Zarco secondo) decisero di passare al telaio vecchio per la gara.

Ma il caso più clamoroso si verificò nel 1984 quando la Honda, nel corso della stagione del debutto della NSR500 4 cilindri (che solo in seguito, dopo aver apportato radicali modifiche, diventerà una delle moto da Gran Premio di maggior successo) su insistenza di Freddie Spencer fu costretta a ripiegare sulla “vecchia” NS500 3 cilindri.

La cosa fece scalpore prima di tutto perché la Honda ammetteva pubblicamente il fallimento del suo progetto (il secondo dopo la NR500 del 1979) ma anche perché non si tornava “semplicemente” ad una versione precedente della moto ma addirittura ad una moto strutturalmente diversa.

Quella prima NSR500 rappresentava una rivoluzione nel modo di concepire una moto da Gran Premio. D’altronde ricordiamo che a quei tempi Honda amava distinguersi: quando tutti gareggiavano con moto a due tempi la Honda realizzò la rivoluzionaria NR500 quattro tempi a pistoni ovali; quando infine si convinse di convertirsi al 2 tempi realizzò un motore a tre cilindri contro i 4 cilindri di Kawasaki, Suzuki e Yamaha; e quando realizzò il primo quattro cilindri NSR i suoi tecnici collocarono il serbatoio del carburante sotto il motore riposizionando gli scarichi al di sopra.

L’idea di abbassare il baricentro della NSR, ispirandosi alla tecnica automobilistica, si dimostrò fallimentare per la diversità di comportamento dinamico dei due mezzi.

Spencer riuscì anche a vincere la seconda di campionato a Misano ma arrivò al Nurburgring, quinta di campionato, molto indietro in classifica rispetto a Eddie Lawson. Il venerdì sera, dopo le prime prove in pista, d’accordo con il famoso capo tecnico Erv Kanemoto, convinse l’HRC a riportare in pista la NS500 3 cilindri; la fortuna volle che una NS500 ex-Marco Lucchinelli si trovasse presso i locali europei della HRC ad Aalst, in Belgio. La moto venne portata in Germania e durante la notte venne totalmente revisionata; il sabato mattina Spencer conquistò la pole position con la 3 cilindri e la domenica, in gara, riuscì a battere Lawson infliggendogli un distacco di 15 secondi. Nel prosieguo del campionato gareggiò a volte con la NS e altre con la NSR a seconda delle caratteristiche del circuito.

Rimanendo in ambito Honda ricordiamo che Marquez ha gareggiato nel primo, e per lui unico, Gran Premio del 2020 con un telaio della RC213V 2019 modificato; in questo caso è stata detta una mezza verità quando lo stesso Marquez ha dichiarato “La moto che sto guidando è una 2019 con evoluzioni. È un’evoluzione, quindi non è esattamente lo stesso telaio, forcellone e motore.”

Nenche la Suzuki si è sottratta a questa pratica. Nel 1994 Kevin Schwantz tornò ad utilizzare il telaio dell’anno precedente della sua Suzuki dopo che il suo capo tecnico Stuart Shenton (ex HRC) aveva rilevato una serie di errori progettuali nel telaio my 1994; con questa soluzione ibrida telaio/motore Schwantz conquisterà le sue ultime due vittorie nel Motomondiale.

Non è da escludere infine che un “pensierino” in tal senso sia stato fatto anche in Ducati nel 2004. Nonostante gli ottimi risultati della GP03 al debutto, la GP04 fu una totale rivoluzione ma venne commesso l’errore di impostare il progetto sull’uso dei cerchi da 17” contro le indicazioni della Michelin che propendeva per i 16,5” e che, anzi, non aveva più in produzione le gomme da 17”. Alla fine la Ducati dovette piegarsi e passare ai cerchi da 16,5” ma non ci fu mai compatibilità tra moto e gomme: la moto soffrì di un cronico sottosterzo (ancora una volta la storia si ripete) e la stagione 2004 della Ducati si rivelò un vero disastro.

Insomma: “niente di nuovo sotto il sole”! Ma se nei casi illustrati le case non hanno avuto reticenze ad ammettere in maniera più o meno esplicita gli errori di progettazione, forse ha ragione Wilco Zeelenberg, il team principal di Yamaha Petronas, quando si dice convinto che nel 2020 alla Yamaha sia mancata solo la possibilità di fare abbastanza test a causa della pandemia da coronavirus con conseguente mancanza di sviluppo (scagionando così da ogni responsabilità anche i piloti che disponevano della versione più aggiornata della M1).

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Fabio Avossa

Napoletano, perito metalmeccanico, pensionato, vive a Napoli. Appassionato di motori a 2 e 4 ruote in tutti i risvolti ma con particolare interesse per la storia delle corse. Motociclista da circa 60 anni, tifa Ducati e Ferrari (made in Italy), oggi sul suo profilo Facebook si diletta a parlare di moto e auto con particolare attenzione alle vicende del Motomondiale e della Superbike.

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