(Le kit car sono autovetture vendute in scatole di montaggio; i kit possono contenere tutte le componenti necessarie per assemblare la vettura oppure solo le componenti estetiche da montare su meccaniche già nella disponibilità dell’acquirente. Spesso questi kit vengono realizzati per allestire repliche di GT prestigiose su meccaniche di serie per appagare in tal modo il sogno di appassionati con poche disponibilità finanziarie).
A cavallo tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 in Italia esplose la moda delle “dune buggy”, veicoli particolarmente indicati per muoversi su terreni sabbiosi. Nella maggior parte dei casi venivano realizzati sfruttando la meccanica della VolksWagen Maggiolino su cui venivano montate una carrozzeria minimale in vetroresina e ruote larghissime che consentivano di “galleggiare” sulla sabbia offrendo al contempo una buona trazione; in alcuni kit il telaio veniva accorciato per ottenere una migliore maneggevolezza.
La scelta della meccanica cadeva spesso su quella del Maggiolino perché la carrozzeria era imbullonata sul telaio pertanto era agevole asportarla lasciando a nudo il telaio con tutta la parte meccanica, caratteristica che rendeva la vettura tedesca ideale come base per la realizzazione dei kit.
Alla fine degli anni ‘60, quando le dune buggy circolanti negli Stati Uniti erano ormai più di 20.000, incominciarono a circolare alcuni esemplari anche in Europa dove guadagnarono un rapido consenso tanto che, in virtù della semplicità costruttiva e la facilità di reperire le meccaniche Volkswagen, i costruttori di queste vetture in scatola di montaggio si diffusero particolarmente in Inghilterra e in Italia.
Più che per la discutibile utilità di un veicolo così specialistico sui nostri territori (dove non esistono gli ampi deserti americani), al successo dei buggy contribuì la voglia di anticonformismo di quegli anni e il simpatico aspetto di questi veicoli caratterizzati da fiancate flessuose senza portiere, roll bar, fari non integrati nel corpo vettura, motore scoperto, gomme larghissime montate su cerchi con ampia campanatura; insomma un’aria sbarazzina e vacanziera.
In Italia, le prime dune buggy di produzione nazionale apparvero nel 1968 e divennero ben presto un fenomeno di moda che purtroppo si spense sul finire degli anni ’70, anche a causa della crisi petrolifera, per cui quasi tutte le case produttrici cessarono la produzione, ad eccezione della PUMA di Roma che seppe affrontare la crisi mettendo in produzione un coupè dalle linee ardite che sfruttava la stessa tecnica costruttiva delle dune buggy e che ottenne a sua volta un buon successo commerciale: la Puma GTV, una kit car coupè che ancora oggi vanta un grande seguito di appassionati estimatori.
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: la ditta PUMA di Roma non va confusa con la omonima PUMA brasiliana che allestiva la Puma GT basata sullo stesso criterio costruttivo ma si differenziava dalla Puma nostrana per un aspetto meno originale ed aggressivo anche se forse più elegante e neanche con la Puma della Ford che, come vedremo in seguito, rilevò i diritti sull’uso del nome.
L’idea di fondare la PUMA per costruire dune buggy venne ad Adriano Gatto, un appassionato ex pilota di autocross, dopo un viaggio negli USA; l’azienda romana è stata attiva dagli anni ’70 agli anni ‘90; ha ripreso le sue attività nel 2005 con la produzione di prototipi presso lo stabilimento di Poggio Fiorito sulla Nomentana; negli anni ’80 ha realizzato anche alcuni dragster e automobili elettriche.
Nei suoi 25 anni di vita, dal 1969 al 1994, la PUMA ha prodotto diversi modelli, progettati da Adriano Gatto e dal suo giovane collaboratore Domenico Lombardi, che si differenziavano dalla produzione nazionale per la maggiore cura costruttiva ed una linea personale ed accattivante: Gatto Spider Spiaggia (1968); Puma/Puma GT (1973); Puma GTV (1979); Puma Ranch; Puma GTV-033 (1984) e GTV-033.S (1985); Puma Gtv – Boxer 90 (1991); Puma 248 (1993).
I buggy potevano essere forniti in kit o assemblati direttamente in fabbrica.
Tra le buggy della PUMA, la più interessante è sicuramente la Puma GT caratterizzata da una linea ancora più personale ed aggressiva che si sdoganava dalle linee canoniche, essenziali, degli altri prodotti nazionali e che l’hard top, dotato di caratteristiche porte con apertura ad ala di gabbiano, ne agevolava l’uso anche nelle stagioni invernali facendola apparire quasi come una moderna cross-over. Era insomma un modello di transizione che anticipava l’idea della GTV.
La Puma GTV era una coupé dalle linee sportivissime, larga 1,80 m e alta solo 1,10 m, disegnata nel 1972 dal 23enne inglese Richard Oakes per la Kit Car Nova della inglese Sterling di cui la GTV era una versione costruita su licenza.
Anche la GTV utilizzava la meccanica del Maggiolino 1200 oppure, a richiesta, una versione maggiorata a 1385 cc. La caratteristica singolare di questa vettura era l’accesso all’abitacolo: il padiglione intero (tetto e parabrezza), incernierato alla base del vetro, si sollevava e ruotando in avanti permetteva un accesso all’abitacolo non proprio agevole ma di sicuro effetto. La vettura era penalizzata da prestazioni non all’altezza della linea e degli interni di impronta marcatamente sportiva. Apprezzabile la leggerezza grazie alla carrozzeria in vetroresina, molto meno la rigidità e la rumorosità.
Nel 1984 Adriano Gatto vuole sdoganarsi dalla licenza della Nova e realizza la GTV-033 con la quale si cercò di ovviare alle scarse prestazioni adottando il motore 4 cilindri boxer da 1186 cc dell’Alfa Romeo Alfasud raffreddato a liquido. Grazie alla maggiore potenza la vettura vantava prestazioni più brillanti in virtù di un miglior rapporto peso/potenza; la velocità massima era di circa 170 Km/h. Come optional venivano proposti i freni a disco.
Questa seconda serie della GTV era caratterizzata da una diversa carrozzeria; il frontale più corto rispetto alla prima serie, il posteriore più squadrato e le fiancate più squadrate, non più bombate nella parte inferiore, che si ispiravano alle minigonne delle vetture da competizione in gran voga in quel periodo. Ma questo nuovo design non fu accolto favorevolmente dal pubblico, pertanto vennero apportate alcune modifiche adoperando un muso più lungo e i fari rettangolari; questa versione rivisitata venne denominata GTV-033.S.
La serie 033/033.S rimase in produzione fino al 1991 anno in cui fu presentata la terza serie, la GTV – Boxer 90, la più prestazionale.
La carrozzeria della Boxer 90, che perdeva il complesso sistema di apertura dell’abitacolo sostituito da due porte ad ali di gabbiano, presentava una linea originale, molto vistosa, con una vaga rassomiglianza con la Ferrari Testarossa; gli interni erano più curati ed era disponibile anche una versione con interni in pelle e radica. Era dotata del motore dell’Alfa Romeo 33 da 1490cc che erogava una potenza di 105 cv, accoppiato al cambio VW a 4 rapporti.
Avendo un peso di soli 700 Kg, la Boxer 90 esprimeva ottime prestazioni in virtù di un favorevole rapporto peso/potenza pari a 6,7 Kg/CV; l’accelerazione consentiva di passare da 0 a 100 Km/h in 7,5 secondi mentre la velocità massima era nell’ordine degli oltre 200 Km/h.
Il 1993 è l’anno in cui nasce quella che sarebbe dovuta essere l’erede della Boxer 90, la Puma 248, con un design semplificato rispetto a quello della Boxer 90, allestita con il motore Alfa 1700 boxer . Forse Gatto si sentiva pronto per il passaggio da assemblatore a costruttore, infatti la 248 aveva un telaio di nuova concezione e interni in pelle migliorati.
Ma purtroppo con il progetto 248 si andò incontro a problemi di natura economica e burocratica. A quei tempi, infatti, la legislazione italiana era diventata particolarmente restrittiva verso le kit-car con conseguenti difficoltà di omologazione che ostacolarono l’attività dei piccoli costruttori i quali, non potendo sostenere i costi elevatissimi richiesti per adeguare i progetti alle stringenti procedure di omologazione, si convertirono in altri settori o chiusero i battenti.
Per di più, nello stesso anno un incendio nello stabilimento della PUMA distrusse anche il prototipo della 248 e con lui tutti i progetti di Gatto che decise di chiudere cedendo il marchio “Puma” alla Ford.
Per promuovere le sue auto Adriano Gatto fornì le sue vetture a varie produzioni cinematografiche; è presente ancora oggi nell’immaginario collettivo la Gatto Spider rossa con capote gialla di “Altrimenti ci arrabbiamo” (1974), con Bud Spencer e Terence Hill, abbinata alla colonna sonora del film composta dagli Oliver Onions (al secolo i fratelli De Angelis) che si intitolava proprio “Dune Buggy”.
Ma anche la GTV è stata protagonista di alcune commedie all’italiana di quegli anni, come “L’insegnante al mare con tutta la classe” (1979), con Lino Banfi, Alvaro Vitali e Anna Maria Rizzoli; “Mani di Velluto” (1979), con Adriano Celentano ed Eleonora Giorgi; “Questo e quello” (1983), film ad episodi con Renato Pozzetto, Nino Manfredi, Gianni Agus, Paolo Panelli, Sylva Coscina, Franco Scandurra, Janet Agren.
Nonostante la chiusura della PUMA, la GTV ha ancora oggi i suoi estimatori tanto che è stato fondato il Puma Club https://swite.com/pumaclubitalia che ha anche una sua pagina FB https://www.facebook.com/pumaclubdiadrianogatto/.