Essendo ben noto che il 12 cilindri è il motore Ferrari per antonomasia sin dalla nascita della casa della casa del Cavallino Rampante, molti tra i più giovani sostenitori della Rossa di Maranello saranno rimasti sorpresi nell’apprendere che in Ferrari sono stati prodotti anche motori a 4 cilindri e 6 cilindri in linea nonché il prototipo di un 2 cilindri.
Più nota invece è un’altra tipologia di motore che ha contraddistinto molti modelli della Ferrari, in particolare vetture da competizione sia monoposto che sport: il 6 cilindri a V. Indubitabilmente il più famoso dei motori Ferrari realizzati nella configurazione V6 è il Dino che ha generato una ampia famiglia di motori in una articolata gamma di cilindrate utilizzati nelle competizioni, su pista, come nei Rally, e in alcune GT stradali. Questi motori vennero così battezzati in ricordo dello sfortunato figlio del Drake, morto prematuramente a soli 24 anni il 30 giugno 1956 per le conseguenze della distrofia muscolare che lo affliggeva, convinto assertore di questa configurazione motoristica ritenendo che potesse portare vantaggi in termini di ingombro e rendimento meccanico.
Ma in questa sede ci sembra opportuno precisare che non tutti i motori V6 fanno parte della famiglia Dino; vedremo infatti di seguito che in Ferrari sono stati realizzati motori V6 con le più diverse configurazioni, a partire dall’angolazione delle bancate di 60°, 90° e 120° contro i 65° del Dino e l’adozione della più semplice distribuzione monoalbero rispetto al bialbero del motore Dino; naturalmente anche la nutrita famiglia di motori Dino originale ha subito evoluzioni nel tempo, la più significativa il passaggio dalle 2 alle 4 valvole.
Pur non avendo il fascino dei poderosi 12 cilindri, i “piccoli” di famiglia hanno avuto una parte importante nella storia del Cavallino trionfando in pista sia con le vetture sport (Mondiale Marche ed Europeo Montagna) che con le monoposto (Formula 1, Formula 2, Formula Tasmania) e nei rally con la Lancia Stratos che seppe distinguersi anche in alcune gare di velocità su strada e in pista. Nel campo delle vetture stradali ricordiamo le Dino 206/246 GT prodotte dalla Ferrari senza mai fregiarsi del marchio del Cavallino Rampante ritenendo queste cilindrate modeste per il brand della casa di Maranello e le Fiat Dino coupé Bertone e spider Pininfarina.
Il progetto di un motore 6V65° Ferrari nasce nel 1956, inizialmente destinato alle monoposto di F2, da un’idea di Dino Ferrari e sostenuto dal consulente tecnico Vittorio Jano; purtroppo nello stesso anno Dino morì. Enzo Ferrari decise di dare seguito al progetto in memoria del figlio e ne affidò il compito a Vittorio Jano che lo ultimò cinque mesi dopo la scomparsa di Dino.
Nasceva così il motore 1489cc 6 cilindri a V65° destinato alla Formula 2 che riportava sui coperchi della distribuzione il nome Dino; la 156 F2 debuttò in gara nel 1957 al GP di Napoli.
Il motore dette ottimi risultati tanto che nello stesso anno furono sperimentate alcune maggiorazioni, da 1800 a 2195, per la Formula 1 che dettero ottime indicazioni tanto che già nel 1958 nasceva la Ferrari 246 di Formula 1 che montava un motore 2.417cc V6 da 290 CV; il 6 luglio il pilota inglese Mike Hawthorn (che diventerà campione del mondo proprio quell’anno) sale sul gradino più alto del podio del GP di Francia conquistando la prima vittoria nel mondiale di un propulsore con questa disposizione dei cilindri. Nel biennio successivo il motore fu sottoposto ad un leggero aumento di cilindrata che arrivò 2474cc; in questa versione fu montato anche su un prototipo di monoposto a motore posteriore che non ebbe un seguito.
Nel 1961, a causa dei nuovi regolamenti, si ritorna agli originali 1500cc e in questa versione viene adottato fino al 1964; in quegli anni venne allestita anche una versione con angolatura di 120° tra le bancate. Poi con il nuovo regolamento che a partire dal 1966 porta la cilindrata a 3000cc la Ferrari torna al classico 12 cilindri però per i circuiti più tortuosi allestì una monoposto, la 246 F1-66, montando un motore Dino da 2400cc su un telaio derivato dalla monoposto del 1965. La 246 F1-66 si distingueva dalla 246F1 del 1958/60 principalmente per la dislocazione del motore in posizione posteriore, ma anche per il motore stesso che, pur appartenendo alla stessa famiglia Dino e avendo una cilindrata simile, si differenziava profondamente infatti aveva misure differenri di corsa e alesaggio: alesaggio e corsa = 90 x 63 mm; cilindrata 2404, 4 cm3; potenza 249 CV a 8500 giri/min; distribuzione bialbero, 2 valvole per cilindro.
Anni ’80, il V6 della Ferrari torna ad essere protagonista in Formula1.
Con l’adozione della sovralimentazione sui motori di Formula 1, a partire dal 1981 la Ferrari decide di affidarsi nuovamente alla configurazione V6 a 120° che utilizzerà anche sulle monoposto degli anni seguenti (126 CK 1981, 126 C2 1982, 126 C2B/C3 1983, 126 C4 1984, 156-85 1985) mentre nei tre anni successivi (F1-86 1986, F1-87 1987, F1-87/88 1988) l’angolazione delle bancate venne ristretta a 90°. Nel 1989, con il ritorno agli aspirati da 3500cc, la Ferrari torna nuovamente alla storica configurazione V12.
L’era dell’ibrido
A partire dal 2014, dopo una quindicina d’anni di aspirato (che nel frattempo, il regolamento ritorna ai motori ibridi sovralimentati imponendo il limite dei 6 cilindri da 1600cc alla componente termica; nasce la monoposto F14-T che adotta una power-unit basata su un V6 90° che costituirà la base, con le ovvie evoluzioni, delle monoposto a seguire. Ma il V6 della Ferrari si è fatto onore anche nelle competizioni per vetture a ruote coperte.
Nel 1958 nasceva la DINO 196S, motore anteriore longitudinale V6 65° bialbero da 1983,72cc che eroga 195CV, caratterizzata da una carrozzeria che la rendeva simile ad una Testarossa in miniatura che però si riusciva a distinguere facilmente perché attraverso la presa d’aria trasparente sul cofano motore si intravedevano 6 trombette di aspirazione invece delle caratteristiche dodici. La 196 S venne portata al debutto da Collins il 7 aprile 1958 a Goodwood; ne venne approntata anche una versione da 3 litri, la 296S, spinta da un bialbero di 2962,08cc da 300 CV montato in posizione anteriore longitudinale.
Per le gare di durata delle stagioni 1959 e 1960 il propulsore venne modificato in monoalbero a V di 60°; nel 1960; nel 1960 venne realizzata anche una versione da 2,4 litri, la 246S, da 2417,33cc da 250CV.
Nel 1961, con la 246SP, si ritorna al 6V65° bialbero di 2417cc da 270CV, ma la vera novità è la collocazione posteriore del motore: è la prima Ferrari Sport/Prototipo con questo lay-out. La prima vittoria di un motore Ferrari V6 nel Mondiale Sport Prototipi arriva alla Targa Florio del 1961 grazie alla 246 SP guidata dal belga Olivier Gendebien e dal tedesco Wolfgang von Trips.
Nel corso della tradizionale conferenza stampa di inizio stagione nel febbraio del 1962 viene presentata una intera gamma di modelli sport/prototipo a motore posteriore con motori a 6, 8 e 12 cilindri che fecero passare quasi inosservata la nuova berlinetta Gran Turismo, quella che sarebbe diventata la mitica 250 GTO. La carrozzeria delle vetture sport presentava la caratteristica doppia presa d’aria anteriore inaugurata sulle monoposto del 1961.
Tra i modelli con motori 6 cilindri a V ricordiamo la 196SP e la 286SP, entrambe con motori 6V60° monoalbero chiaramente ottenuto da una metà del 12 cilindri; la 196SP aveva in propulsore di 1983,72cc da 210 CV mentre la 286SP era spinta da un 2862,78cc da 260 CV; il motore 286, non ebbe seguito perché venne scartato in favore dei nuovi motori V8 che equipaggiano le 248SP e 268SP. Dal 1963, con la serie P, si ritorna ai 12 cilindri.
Ma il motore Dino torna in auge nel 1965 quando, per una serie di fattori, si incroceranno le storie di alcune Sport/Prototipo di media cilindrata, monoposto di Formula 2 e della meno nota Formula Tasmania, Gran Turismo stradali prodotte dalla stessa Ferrari, dalla FIAT e dalla Lancia; da quest’ultima poi deriveranno versioni sia da Rally che da velocità.
Tutto nasce dalla decisione della CSI (Commissione Sportiva Internazionale) di aumentare, a partire dal 1967, la cilindrata della Formula 2 da 1000cc a 1600cc con un massimo di 6 cilindri.
Sembrava una Formula ritagliata sulle caratteristiche del motore Dino ma il regolamento imponeva anche che il blocco cilindri derivasse dal motore di una vettura omologata nella categoria GT, ovvero prodotta in un minimo di 500 esemplari, un impegno troppo oneroso per una Ferrari che all’epoca era poco più che un costruttore artigianale.
Ma Ferrari inizialmente non si pose il problema e dette ai suoi tecnici il benestare per il progetto di un prototipo da cui trarre in seguito una vettura da produrre in serie per l’omologazione.
Nasceva così nel 1965 la Dino 166P, la prima vettura a portare questo marchio fino ad allora riservato solo ad una famiglia di motori. Nello stesso anno, al Salone dell’Automobile di Parigi, Pininfarina presentava il prototipo da esposizione “Dino Berlinetta Speciale”.
La DINO 166P, motorizzata con il classico V di 65° bialbero (1592,57cc/175CV), ebbe la sua naturale evoluzione nella versione aperta 206 SP (1986,60/218CV) che a su volta evolverà nella 206S del 1966 leggermente più potente.
Ma in seguito, resosi conto di non avere la capacità produttiva per assemblare in tempo utile i 500 esemplari per ottenere l’omologazione, Ferrari si rivolse alla FIAT con la quale stipulò un accordo in base al quale la Ferrari avrebbe fornito i progetti del motore e i diritti sul nome Dino mentre la FIAT si sarebbe impegnata a costruire in tempi brevi le 500 vetture necessarie.
Ma Ferrari non aveva abbandonata l’idea di una sua piccola GT; al Salone dell’Automobile di Torino del 1966 fece la sua comparsa la Dino 206GT equipaggiata con un motore 2000cc da 180 CV. La vettura venne presentata come marca autonoma con l’inedito marchio Dino; tuttavia era prodotta nello stabilimento della Ferrari senza però nessuna scritta Ferrari né riferimenti grafici al Cavallino Rampante che venivano riservati alle classiche 12 cilindri. In un altro padiglione del Salone torinese veniva presentata la prima FIAT Dino, uno spider a due posti secchi opera di Pininfarina seguita dalla presentazione al salone di Ginevra del 1967 la versione Coupé disegnata da Bertone.
A parte l’aspetto esteriore, l’elemento più distintivo era costituito dalla collocazione del propulsore, posteriore trasversale sulla berlinetta di Maranello, anteriore longitudinale con trazione posteriore sulle GT della FIAT.
Ovviamente le due vetture condividevano il motore, V6 da 1987cc in alluminio con la distribuzione azionata da 4 alberi a camme che erogava 160 CV nella versione FIAT, un po’ di più, 180, sulla berlinetta di Maranello. Nel 1969, il motore delle Dino stradali venne portato a 2418cc e, sulle versioni FIAT, venne adottato il basamento in ghisa.
La Dino 166 F2
E finalmente, il 25 febbraio 1967, alla mostra per auto da competizione di Torino, veniva esposto il frutto della collaborazione Ferrari/Fiat: la Dino 166 F2, la monoposto per la quale era nato l’accordo FIAT/Ferrari.
Queste le caratteristiche: motore posteriore, longitudinale, 6V 65°; alesaggio x corsa = 86 x 45.8 mm; cilindrata unitaria 266,04 cm3; cilindrata 1596,25 cm3; potenza 220 CV a 10.000 giri/min; potenza specifica 125 CV/lt; distribuzione bialbero, 3 valvole per cilindro. Per il 1968 venne allestita una versione a 4 valvole per cilindro.
Nel 1967 partecipò ad un’unica gara al Circuito di Rouen, con alla guida Jonathan Williams che nelle qualifiche si classificò tredicesimo, mentre in gara si dovette ritirare per problemi al motore.
Nella stagione 1968 arrivarono le vittorie, entrambe con Tino Brambilla che si impose all’Hockenheimring (Gran Premio del Baden-Württemberg) e sul circuito di Vallelunga (Gran Premio di Roma). Due monoposto vennero iscritte alla Temporada Argentina 1968 con De Adamich e Brambilla. La Dino 166F2 si impose in tre gare su quattro; De Adamich, in particolare, vincendo la seconda e la terza gara si aggiudicò la competizione. Il 1969 si rivelò fallimentare per cui la Ferrari si ritirò dal campionato; qualche anno dopo ritroveremo il motore della DinoF2 montato su telai Chevron e Ralt ma con risultati ancora più modesti.
La Dino 246 Tasmania
La Formula Tasman era un campionato che si disputava sui circuiti australiani e neozelandesi negli anni ’60; il regolamento era redatto in modo che potessero essere utilizzate le vecchie monoposto di Formula 1 da 2500 cc non più utilizzate a partire dal 1961. Poi, nel 1968, la Cosworth introdusse una variante del suo DFV V8, conosciuto come DFW, ridotto a 2500cc appositamente per le vetture della F.Tasman; analoga operazione venne realizzata dalla BRM con il suo V12. A questo punto anche la Ferrari decise di partecipare e approntò tre esemplari della Dino 166 F2 dotate di un motore Dino 246 aggiornato con testate simili a quelle della F2.
Nel 1968 l’unico esemplare costruito in quell’anno fu affidato a Chris Amon, che vinse le prime due gare classificandosi alla fine secondo nella classifica generale dietro a Jim Clark su Lotus 49.
Nella 1969 vennero allestiti altri due esemplari affidati a Chris Amon e Derek Bell; Amon si aggiudicò quattro gare su sette, vincendo il campionato. Nell’edizione del 1970 la monoposto vincente fu venduta al pilota locale Graeme Lawrence che, pur vincendo una sola gara ma classificandosi una volta secondo e tre volte terzo, riuscì a vincere il campionato.
Queste le caratteristiche del motore: posteriore, longitudinale, 6V 65°; alesaggio e corsa = )0 x 63 mm; cilindrata unitaria = 400,79 cm3; cilindrata totale = 2404,74 cm3; potenza = 285 CV a 8900 giri/min; potenza specifica = 119 CV/lt; distribuzione bialbero, 3 valvole per cilindro.
La Lancia Stratos, forse la prima auto della storia costruita appositamente per partecipare ai rally, nasce nel 1973; monta 2.4 V6 Dino-Ferrari da 190 CV montato in posizione centrale. Conquista tre volte il Mondiale Marche WRC (1974, 1975, 1976); nel 1977 Sandro Munari alla guida della Stratos conquista il primo titolo iridato Piloti della storia. La Stratos seppe distinguersi anche nelle gare di velocità vincendo la Targa Florio nel 1974 con la coppia Amilcare Ballestrieri/Gérard Larrousse mentre Facetti si aggiudicò il Giro Automobilistico d’Italia del 1976 con la Stratos in versione turbo gruppo 5 silhouette da 560CV.
Per rivedere un propulsore a sei cilindri a V realizzato dalla Casa di Maranello e destinato a modelli stradali di serie bisognerà attendere il 2013 con la presentazione delle Maserati Quattroporte e Ghibli dotate del motore F160 benzina V6 (2979 cm³ 6 cilindri disposti a V con angolo di 60°, biturbo a iniezione diretta, interamente in alluminio) da 410 CV e 330 CV basato sul propulsore Chrysler Pentastar. Il motore fu progettato congiuntamente dai tecnici Ferrari e Maserati e viene assemblato dalla Ferrari stessa che provvede lei stessa a produrre nella propria fonderia le testate.
Dal 2016, in una fabbrica statunitense del gruppo FCA, ubicata nei pressi di Detroit, viene prodotto su licenza e supervisione Ferrari un motore per le versioni Quadrifoglio delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio, V6 a 90° biturbo 2.9 da 510 CV progettato dai tecnici Ferrari e Alfa Romeo.
In tempi più recenti, chiuso il rapporto di fornitura con la Maserati, la Ferrari si è dedicata allo studio di un inedito V6 ibrido.
Per chiudere questa lunga dissertazione sui V6 Ferrari non potevamo ignorare la Innocenti 186GT, una classica GT all’italiana di media cilindrata che purtroppo non uscì mai dallo stadio di prototipo.
Nel 1962 si inizia a parlare di una “collaborazione” fra Innocenti e Ferrari; nel 1963 ne viene affidata la progettazione all’ing. Alessandro Colombo.
Al telaio tubolare, tipico della tradizione Ferrari, venne accoppiato un 6 cilindri a V di 60° di 1788 cc. che trovava origine da un motore Ferrari 250 12 cilindri a V60° sezionato trasversalmente (come i monoalbero SP del 1961/62), e non un motore Dino 6 cilindri V65°, come qualcuno erroneamente pensava all’epoca dei fatti.
Nel 1964, quando ormai la vettura era quasi deliberata nella sua versione definitiva, il progetto venne accantonato a causa della congiuntura economica, ma anche in considerazione del fatto che la rete di vendita ed assistenza tecnica della Innocenti era costituita in gran parte da officine specializzate negli scooter Lambretta e pertanto non furono ritenute affidabili per la gestione commerciale e tecnica di un prodotto così ambizioso.