A partire dal mondiale 2016, cioè da quando il regolamento ha imposto la centralina unificata Magneti Marelli (hardware e software) e la gestione della fornitura unica di pneumatici è passata da Bridgestone a Michelin, la MotoGP è dominata da Marc Marquez che ha conquistato tutti e quattro i campionati mondiali e 32 delle 73 gare.
La spiegazione potrebbe essere banale: lo spagnolo è il più bravo, il più talentuoso e la sua Honda se non è la migliore è comunque un’ottima moto.
Ma questo non è sufficiente a spiegare un dominio assoluto sapendo di un fronte avversario ben agguerrito di uomini (Crutchlow, Dovizioso, Lorenzo, Pedrosa, Quartararo, Rins, Rossi, Vinales, Zarco) e mezzi (Ducati, Suzuki, Yamaha).
Il vero vantaggio di Marquez è la capacità di adattare istintivamente e con immediatezza di risposta la sua guida a condizioni mutevoli di comportamento della moto in funzione del meteo, dello stato della pista, delle caratteristiche di ogni singola curva, del comportamento e del consumo dei pneumatici. Infatti oggi il comportamento delle moto è molto meno rigoroso, meno controllato, meno costante rispetto ai tempi della sofisticata elettronica proprietaria e degli pneumatici Bridgestone che avevano raggiunto un ottimo livello di stabilità, quando i piloti potevano fare affidamento sul comportamento delle loro moto gestite da complicati algoritmi studiati per ogni pista e per tutte le condizioni.
Ora non è più così; l’elettronica è meno sofisticata e spetta perciò al pilota adattarsi, tantopiù che in questi quattro anni, considerata la lunga assenza della Michelin dalle gare della MotoGP, le gomme della casa francese sono state in continua evoluzione.
E questa capacità di istantaneo adattamento di Marquez la possiamo apprezzare nel fatto che lo spagnolo è quasi sempre il più veloce sia nelle prime fasi della gara, come nelle fasi finali o su pista bagnata.
Insomma Marquez sembra aver confermato la teoria di Lauda per cui il miglior sensore per un pilota è il “sedere”.
Márquez non è l’unico pilota nella storia ad aver goduto di questa abilità; sicuramente possiamo accostare a lui Stoner che ha vinto un campionato su una moto che nessun altro era in grado di portare alla vittoria o, tra i piloti del passato, pensiamo ad Hailwood e Saarinen.
Non è un caso che negli ultimi 3 anni alle spalle di Marquez si sia piazzato Dovizioso perché l’italiano è in grado di sopperire ad un minore talento con la sua provata capacità di analisi delle condizioni in corsa alle quali sa adeguare la sua guida, ma forse con minore reattività di Marquez.
Probabilmente solo la presenza di Stoner avrebbe potuto mettere in discussione la supremazia di Marquez.
In definitiva per primeggiare il pilota deve essere capace di “ascoltare” la moto e fare ciò che vuole che il pilota faccia, assecondarla nelle sue reazioni.
Altri piloti, forse altrettanto veloci ma meno talentuosi, pretendono che sia la moto che deve adattarsi al loro stile di guida; questo purtroppo non sempre è possibile, non è facile modificare il carattere di una moto con un “semplice” set-up; forse questo era possibile quando il software era factory e la dotazione di pneumatici era libera ed in regime di concorrenza.