Siamo negli anni ’60; nei Saloni Espositivi dell’Auto, Torino e Ginevra i più importanti a livello internazionale, spesso sono protagoniste le “fuoriserie” dei carrozzieri nostrani, vetture di serie vestite con carrozzerie più eleganti o più sportive. Alcune rimanevano a livello di esemplare da esposizione, altre incontravano talmente i gusti del pubblico da essere costruite in piccola serie.
L’auto protagonista di questa nostra storia fa parte di queste ultime.
Nella primavera del 1961 la FIAT aveva fatto esordire le berline 1300/1500, vetture medie di grande successo che nella gamma della casa torinese si inserivano tra la 1100 e le 1800/2300. Molti carrozzieri si sbizzarrirono a crearne una propria interpretazione ma la Ghia si distinse pensando di partire da quella base per ottenere una coupé sportiva a due posti.
Nasceva così la 1500 GT della Ghia che vantava una carrozzeria coupé su un telaio ottenuto dalla unione del pianale FIAT con un traliccio tubolare all’anteriore realizzato dalla milanese Gilco Autotelai, dell’ing. Gilberto Colombo, struttura nota per le sue realizzazioni in ambito agonistico, fornitore anche della Ferrari. Il motore rimaneva quello di serie.
La vettura fu presentata al Salone di Torino nel 1962.
La splendida linea nacque dalla matita di Sergio Sartorelli, formatosi alla corte di Mario Felice Boano e poi approdato nel 1956 alla Ghia dove collaborò con gli stilisti Savonuzzi, che poi si trasferirà alla Chrysler, e Frua che in seguito ruppe i rapporti con la dirigenza Ghia.
Grazie anche all’uso della galleria del vento, la vettura aveva una pulita linea aerodinamica caratterizzata dal lungo cofano rastremato dal profilo molto basso grazie al dimensionamento contenuto del propulsore e da una corta coda tronca che si rifaceva alle teorie del professor Kamm tanto in voga a quell’epoca.
Nel complesso la linea della 1500 GT si richiamava agli stilemi di alcune tra le più belle GT coeve come le Ferrari 250 GT Lusso e 275 GTB, la Datsun 240Z, la Jaguar E , la Toyota 2000 GT con qualche accenno anche alla Lancia Aurelia B20 mentre il paraurti anteriore che inquadrava la presa d’aria ricordava alcune creazioni degli stilisti statunitensi Virgil Exner e Raymond Loewy.
Data l’origine “popolare” della meccanica, non vi è dubbio che l’estetica rappresentasse l’elemento di maggiore appeal della vettura.
Gli interni, dallo stile prettamente all’italiana, erano ben curati; strumentazione completa, rivestimenti in similpelle nera per mantenere un prezzo basso ma la pelle veniva comunque offerta come optional, così come il volante Nardi, la radio Autovox, una tromba a tre toni, cinture di sicurezza, overdrive Bianchi e doppi scarichi.
Rispetto alla berlina d’origine il passo era ridotto da 2,42 metri a 2,34 metri; il gruppo motore cambio era in posizione anteriore arretrata in modo da ottenere una distribuzione dei carichi ripartita al 50% sui due assali (similmente a quanto realizzato su Ferrari GTO, Jaguar E, Bizzarrini 5300GT); il baricentro era posizionato più in basso rispetto alla berlina.
La vettura aveva una lunghezza pari a 4,17 metri, larghezza 1,63 metri, altezza 1,36 metri; peso in ordine di marcia 980 Kg.
Il complesso di queste modifiche comportava un significativo miglioramento della tenuta di strada, l’aerodinamica più efficiente migliorava la prestazione velocistica mentre i rapporti accorciati ed il minor peso favorivano l’accelerazione. Insomma una vera GT all’italiana in scala ridotta.
Un cenno anche al motore che, come abbiamo visto, rimaneva quello di serie.
Il quattro cilindri da 1.481cc, per il quale l’ing. Lampredi (ex Ferrari) aveva realizzato le caratteristiche camere di combustione polisferiche con le valvole disposte a V, era ritenuto dall’ing. Giacosa (progettista capo alla FIAT) un motore molto valido ritenendolo all’altezza dei più moderni motori con camme in testa con il vantaggio di essere meno ingombrante e meno costoso di un bialbero.
Il motore in questione era un Fiat 115.005 OHV 4 cilindri in linea, blocco cilindri in ghisa e testata in alluminio, cilindrata 1.481cc; potenza 67 CV a 5.200 giri/min; rapporto di compressione 8.8:1; alimentato con un carburatore Weber DCD 28-32; cambio manuale a quattro rapporti.
Impianto frenante misto con dischi all’anteriore, tamburi al posteriore e servofreno a depressione.
Velocità massima 170 Km/h.
Il prezzo di listino nel 1964 era quasi uguale a quello di una Porsche 356 contemporanea, in verità un po’ alto considerata la meccanica non proprio nobile.
La 1500 GT fu importata anche negli Stati Uniti da una società di Detroit nel Michigan, la Krim Car Imports che aveva anche una succursale a Beverly Hills in California.
Secondo i dati della carrozzeria Ghia, tra il 1963 e il 1967 furono costruite 846 vetture, di cui 36 esportate negli Stati Uniti.
In realtà su questo dato persiste un alone di mistero: visto il notevole riscontro del pubblico venne inizialmente pianificata una produzione di 2000 esemplari, ridotta poi prima a 1500 poi a 1000. Alcune fonti dichiarano una produzione di 925 unità, ma sembra più corretto attenersi al dato del costruttore.
Rimane da chiedersi del perché di questo parziale fallimento dopo gli entusiasmi iniziali; più di uno i probabili motivi: forse il prezzo non competitivo ma anche perché la FIAT vedeva in questa brillante sportiva un ostacolo alle vendite della sua omologa 1500 coupè e perciò mise i bastoni fra le ruote alla Ghia probabilmente cambiando (in peggio) in termini del contratto di fornitura delle parti meccaniche e non accettando mai di vendere la 1500GT attraverso la propria rete.
Ma anche se la produzione fu ridotta, la berlinetta di Ghia deve essere considerata comunque un successo considerata l’esclusività della produzione semi-artigianale; viene perciò da chiedersi che diffusione avrebbe potuto avere la 1500 GT se la Fiat avesse deciso di metterla in produzione in serie, come aveva fatto la Volkswagen con la Karmann-Ghia, una sportiva disegnata dalla Ghia e assemblata dalla carrozzeria Karmann con il beneplacito della Volkswagen, prodotta in circa 500.000 esemplari in un arco temporale di circa 20 anni.