A metà degli anni ’60 Jean Michael Liprandi e Giovanni Mandelli, due imprenditori semi-sconosciuti del mondo dell’auto ma appassionati di belle macchine e attivi nel business delle materie plastiche, realizzano un sogno: progettare e costruire una propria Gran Turismo all’italiana.
Mandelli, un milanese DOC, era il direttore di un importante negozio di giocattoli in Galleria Manzoni a Milano; l’altro, francese di nascita con vaghe origini argentine, era un ingegnere specializzato nella lavorazione della vetroresina, sconosciuto al grande pubblico aveva già collaborato con nomi importanti dell’automobilismo sportivo: Abarth, De Tomaso, OSCA e Panhard. I due si erano conosciuti in un night di Milano e da quella amicizia nacque il sogno di costruire la loro automobile.
Per circa un paio d’anni lavorarono su diverse ipotesi progettuali basate su un telaio che Liprandi aveva portato con sé dalle sue precedenti esperienze; nel frattempo svolgevano attività nell’ambito della produzione automobilistica giacché con la loro azienda, la Limaplas (capitale sociale 5 milioni di lire) sita a Milano in via Bigli 19 che avevano rilevato nel 1967, collaboravano con diverse case automobilistiche, come Abarth, ASA e De Tomaso per le quali allestivano le carrozzerie in fibra di vetro.
Una volta definito il progetto di massima della loro Gran Turismo fondarono la LMX Automobile S.R.L (Linea Moderna Executive) e, in omaggio alla città che li ospitava, scelsero come logo il “biscione sforzesco” che però, una volta personalizzato, assunse le sembianze di un dragone.
Dalle loro idee nasceva la LMX Sirex 2300 HCS (ribattezzata in seguito come Sirex LMS), un coupé sportivo a 2 porte e 2 posti.
Per la motorizzazione venne scelto un motore di grande serie, il V6 High Compression di 2.3 litri di cilindrata da 126 CV della Ford Taunus RS abbinato ad un cambio manuale a quattro marce ma, considerato il carattere artigianale della produzione, i clienti avrebbero potuto scegliere un propulsore diverso. Alcuni esemplari vennero muniti di sovralimentazione tramite un compressore volumetrico Constantin che ne elevava la potenza a circa180 cv; in seguito verrà sostituito con un turbocompressore May-Bosch, che permetteva di raggiungere 210 cv, sviluppato dall’ingegnere svizzero Michael May, il tecnico che nel 1963 era stato assunto dalla Ferrari per la quale sviluppò l’iniezione per la monoposto Ferrari 158 e convinse Ferrari a passare ai cerchi in lega per tutte le sue vetture.
Ma se il motore era derivato dalla grande produzione, il telaio, prodotto in casa dalla LMX, era molto più raffinato; messo a punto da Gioachino Colombo (ex Ferrari, Maserati e Bugatti), era costituito da un monotrave centrale con sospensioni a quattro ruote indipendenti, motore longitudinale posizionato dietro l’asse anteriore e trazione posteriore, che si ispirava chiaramente a quello in uso sulle Lotus dell’epoca (ma anche sulle Alpine Renault e sulle De Tomaso) e che conferiva alla LMX un assetto spiccatamente sportivo garantendo un efficace comportamento stradale; le sospensioni erano di origine Ford come il motore.
Definita la parte tecnica si passò al vestito.
Il disegno della carrozzeria fu affidato al designer Franco Scaglione che, essendo già impegnato con l’Alfa Romeo e con l’Intermeccanica, si rese disponibile a fornire solo il design mentre la ingegnerizzazione del progetto fu affidata alla Eurostyle di Torino, specializzata nella costruzione di esemplari unici per una clientela selezionata, cui fu assegnato anche l’assemblaggio finale delle vetture.
Ancora una volta Scaglione dette il meglio di sé realizzando un design che ricordava quello della Chevrolet Corvette; la nuova sportiva milanese aveva un aspetto aggressivo con il suo cofano lungo ed imponente che terminava in un frontale sfuggente privo di un vero e proprio paraurti (sostituito da una modanatura cromata che lo incorniciava sui tre lati) e dotato di grandi gruppi ottici rettangolari, con una coda fastback dotata di un ampio lunotto. La carrozzeria era realizzata in plastica rinforzata con fibra di vetro, solo le portiere erano in acciaio; una particolarità per quei tempi era costituita dal l’uso di un adesivo della Loctite per fissare le cerniere in acciaio del lunotto.
La Sirex era lunga 3960mm, larga 1760 mm, alta 1130mm, con un passo di 2300mm e carreggiate di 1520mm anteriore e di 1530mm posteriore.
Gli interni apparivano la parte meno curata della nuova GT: la strumentazione era alquanto sottodimensionata, le finiture erano abbastanza scarse, i comandi e gli accessori secondari provenivano da fonti diverse della grande serie come Alfa e FIAT, in particolare colpiva (negativamente) il portacenere di provenienza FIAT 500.
Le premesse per riscuotere un buon successo per gli appassionati di GT all’italiana c’erano comunque tutte: ad una linea moderna e aggressiva si coniugavano ottime prestazioni grazie al motore sei cilindri Ford da 126 CV e al peso inferiore ai 1.000 kg dovuti alla leggera carrozzeria in vetroresina e al telaio di appena 74 chili. La LMX garantiva per la Sirex una velocità massima di 200Km/h ed un consumo di 14 litri/100Km.
L’auto venne presentata durante lo svolgimento del Salone dell’Automobile di Torino del 1968 ma non in uno stand manifestazione, bensì al di fuori degli spazi espositivi; diverse le motivazioni, mai chiarite: qualcuno ipotizzò che Liprandi e Mandelli avessero esaurito le risorse a loro disposizione, altri pensarono che volessero evitare il confronto diretto con vetture concorrenti, altri ancora che sarebbe stato più suggestivo presentarla all’aria aperta.
In ogni caso la vettura piacque moltissimo per la sua linea, per le soluzioni ingegneristiche e per il buon rapporto peso/potenza, specialmente nella versione sovralimentata. Piaceva un po’ meno il prezzo di oltre quattro milioni di lire, pari a quello della Dino 206 GT di ben altro rango.
Al successivo Salone di Ginevra venne presentata anche la versione spider.
Purtroppo quello della LMX è un copione tristemente comune ad iniziative analoghe: la LMX Automobile S.r.l. resta a corto di soldi, o forse qualcuno li sottrae, non si è mai saputo; comunque sia andata, dopo aver prodotto tra il 1978 ed il 1972 circa 35 esemplari, e con il prototipo della seconda serie già in cantiere, la società non riesce a far fronte agli ordini e finisce in liquidazione trascinando con sé alla chiusura anche la Eurostyle .
Gli ultimi 15 autotelai giacenti in fabbrica, compresa l’unica spider (HCSS) presentata in veste statica a Ginevra nel ’68, furono rilevati nel 1973 dalla piemontese SAMAS, un’officina meccanica di Ricca di Diano d’Alba (CN) specializzata in fuoristrada personalizzati, che ne completò l’allestimento con interni diversi e li collocò sul mercato Svizzero come Sirex LMS, raggiungendo un totale di 50 esemplari assemblati e venduti.
Per quanto riguarda la versione spider alcune fonti affermano che sia rimasta a livello del prototipo prodotto dalla LMX , altre scrivono di un paio di esemplari.
Ma la SAMAS era interessata prevalentemente ai macchinari piuttosto che a continuare la produzione della vettura e pertanto portò a termine soltanto i 15 telai semiassemblati trovati nella sede della LMX.
Dopodiché la LMX Sirex è passata alla storia; Mandelli e Liprandi, che si è trasferito in Spagna, sono ritornati alle loro attività.
Delle 50 vetture vendute in Italia, Belgio Lussemburgo, Germania e Spagna oggi ne rimangono in circolazione poco più della metà finite in mano a collezionisti.