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La tecnologia della MotoGP va controcorrente rispetto ai tempi
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La tecnologia della MotoGP va controcorrente rispetto ai tempi

Aprile 2nd, 2020 Fabio Avossa Articoli Tecnici

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Oggi tutti noi disponiamo di uno smartphone o di un tablet, dispositivi elettronici a basso costo di dimensioni contenutissime capaci di sostituire funzionalmente molti dispositivi meccanici, pensate a una macchina fotografica, una sveglia, una radio, una televisione, un videoregistratore, una macchina da scrivere, una bussola, un registratore vocale, e così via. Se volessi disporre contemporaneamente di tutti questi dispositivi avresti bisogno di una grossa valigia per portarli con te.

Fino a poco tempo fa le potenzialità dell’informatica applicata alla tecnologia venivano abbondantemente e abilmente sfruttate anche nella gestione delle MotoGP. I primi timidi e rudimentali tentativi risalgono alla metà degli anni ’90 per cercare di domare le ingestibili 500 2 tempi; dopo un lento processo evolutivo si arrivò all’era della MotoGP da 800cc dove, causa un regolamento che imponeva una ristretta dotazione di carburante, l’elettronica, in particolare per merito della Ducati che infatti si aggiudicò il titolo con Stoner, ebbe un significativo incremento evolutivo per poi progredire fino al 2015.

Purtroppo da quando, alla fine della stagione 2015, la DORNA ha imposto centralina e software unificati i team hanno avuto a disposizione software meno sofisticati di quelli proprietari; la centralina Magneti Marelli, introdotta nel 2016, presenta infatti algoritmi semplificati di Anti Wheelie, Launch Control, Traction Control, Engine Bracking che non consentono più di tenere rigorosamente sotto controllo le reazioni della moto alle sollecitazioni del pilota.

I tecnici sono perciò dovuti correre ai ripari; in questa fase di rivisitazione dei progetti si è particolarmente distinta la Ducati che ha avviato un processo di reverse engineering andando a sopperire alla mancanza di funzioni software sofisticate con dispositivi fisici e meccanici.
Dall’Igna e i tecnici suoi collaboratori sono stati molto bravi a scoprire lacune nel regolamento della MotoGP, come spesso abilmente hanno fatto Adrian Newey ed altri in Formula 1, ricorrendo ad un approccio diverso nel modo di leggere le regole e cioè invece di prestare attenzione a ciò che è scritto nei regolamenti, fare una profonda riflessione su ciò che NON c’è, all’insegna del detto “QUELLO CHE NON È VIETATO È CONSENTITO”:- il primo intervento, che risale al 2016, è stato sull’anti impennata; il software interviene riducendo l’erogazione della coppia alla ruota posteriore quando le forcelle anteriori si alzano e la velocità della ruota anteriore diminuisce perché è sospesa in aria; ma il semplificato software unificato riduce la coppia in modo troppo aggressivo costringendo i piloti ad un accorto uso dell’acceleratore per contenere le impennate; in loro aiuto è arrivato uno studio avanzato sull’aerodinamica che si è concretizzato con l’introduzione delle contestatissime Winglet (alette) il cui effetto down force tende a tenere la ruota anteriore ben attaccata al terreno;
– nel corso delle ultime gare del 2018 la Ducati ha adottato l’”holeshot”, un dispositivo che abbassa la moto comprimendo la sospensione posteriore per ridurre le impennate in fase di accelerazione allo start integrando così la funzione del Launch Control.

L’effetto anti impennamento è conseguenza dell’irriggidimento del posteriore che così non affonda elasticamente e dell’abbassamento del baricentro. Poiché le sospensioni regolate elettronicamente non sono consentite in MotoGP, l’holeshot viene attivato tramite un comando a a galletto montato sulla piastra di forcella che, probabilmente, comprime la sospensione tramite un cavo che attiva l’impianto idraulico dell’ammortizzatore; il dispositivo si disinnesta automaticamente alla prima frenata;
– all’inizio del 2019 la Ducati si è presentata con uno spoiler montato sulla parte bassa del forcellone, il cosiddetto “Cucchiaio”.

Questo spoiler ha due funzioni: aumenta la deportanza per mantenere la gomma posteriore a contatto con l’asfalto durante le fasi di accelerazione e di frenata e, effetto di non minore importanza, quello di convogliare l’aria sulla gomma posteriore per raffreddarla. In tal modo lo spoiler integra l’effetto degli algoritmi di controllo del freno motore e del controllo di trazione. Infatti un eccesso di freno motore porterebbe la gomma posteriore a scivolare, al contrario un freno motore troppo blando non aiuterà il pilota nella fase di frenata dovendosi affidare solo all’effetto dei freni; ad entrambi gli effetti sopperisce lo spoiler che, producendo una di down force sulla ruota posteriore, ne migliora l’aderenza con l’asfalto. Nondimeno è fondamentale il raffreddamento del pneumatico posteriore che tende a surriscaldarsi, e quindi a degradarsi rapidamente, a causa di un controllo di trazione poco efficiente;

– l’“invenzione” più recente di Dall’Igna è lo “Shapeshifter” (tradotto letteralmente mutaforma) introdotto durante le ultime fasi del 2019. Lo shapeshifter è una evoluzione dell’holeshot (infatti è conosciuto anche come holeshot 2.0), ovvero abbassa il posteriore della moto comprimendo l’ammortizzatore anche nelle fasi di accelerazione in uscita dalle curve sommandosi all’effetto delle alette con funzione di anti impennamento; in tal modo viene drasticamente ridotto l’intervento dell’elettronica nel taglio di coppia motrice che quindi risulta interamente disponibile per la fase di accelerazione in uscita dalle curve. Ma è anche un aiuto nel migliorare la performance velocistica nei rettilinei: abbassando la moto al posteriore si riduce l’incidenza delle alette e di conseguenza si riduce anche la resistenza aerodinamica; in pratica è quello che in Formula 1 si ottiene con il DRS (Drag Reduction System – Sistema di riduzione della resistenza), sistema introdotto per agevolare i sorpassi.

In sintesi lo si può definire un variatore d’assetto. Per azionare il dispositivo il pilota dispone di un interruttore posizionato sul manubrio sinistro;
– in parole semplici la differenza tra lo shapeshifter e l’holeshot consiste nel fatto che l’holeshot viene utilizzato solo nella fase di start mentre il più evoluto shapeshifter viene utilizzato in diverse fasi della gara.
E, come ci insegna la storia delle massime competizioni motoristiche, … non finisce qui.

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Fabio Avossa

Napoletano, perito metalmeccanico, pensionato, vive a Napoli. Appassionato di motori a 2 e 4 ruote in tutti i risvolti ma con particolare interesse per la storia delle corse. Motociclista da circa 60 anni, tifa Ducati e Ferrari (made in Italy), oggi sul suo profilo Facebook si diletta a parlare di moto e auto con particolare attenzione alle vicende del Motomondiale e della Superbike.

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