Nei primi anni del Campionato Mondiale di Formula 1 il regolamento tecnico consentiva motori sovralimentati da 1500cc in coabitazione con motori atmosferici da 4500cc.
Per dare un tono di internazionalità extra europea al neonato Campionato Mondiale, in quegli anni nel calendario era compresa anche la 500 miglia di Indianapolis. I regolamenti delle due manifestazioni erano accomunati dalla cilindrata massima di 4500cc per i motori aspirati ma a Indianapolis erano ammessi motori compressi da 3000cc e motori diesel da 6600cc aspirati e compressi.
Per tali differenze e per i costi onerosi di trasferimento tra le due sponde dell’oceano questo interscambio di partecipazioni in realtà non decollò mai.
La Ferrari, dopo alcuni fallimentari inizi con il sovralimentato, ben presto si convinse che il motore vincente era l’aspirato. Si partì da un embrionale V12 da 3300cc per arrivare gradualmente ai 4500cc. Al Gran Premio di Gran Bretagna del 1951 Froilan Gonzalez con la Ferrari 375 sconfiggeva le invincibili, fino ad allora, Alfetta 159; a dimostrazione della raggiunta competitività seguirono altre due vittorie e la Ferrari avrebbe potuto conquistare il titolo piloti se non avesse sbagliato la scelta degli pneumatici nell’ultima gara della stagione.
Purtroppo, in mancanza di concorrenti, la Federazione fu costretta a riservare il Campionato Mondiale del 1952 e del 1953 alle monoposto di Formula 2 da 2000cc; gli organizzatori della 500 miglia non si allinearono mantenendo il regolamento dei 4500cc.
Per la Ferrari 375 non restava che la partecipazione alle gare di Formula Libera ed eventualmente alla 500 miglia di Indianapolis.
Ma Ferrari era molto combattuto sull’argomento.
Da una parte aveva interesse a rafforzare la propria visibilità sul ricco mercato nordamericano dove già si era fatto conoscere vincendo la Panamericana del 1951 e forse gli rodeva non poco il successo ottenuto dalla rivale Maserati nel 1939 e nel 1940 con Wilbur Shaw; dall’altra vedeva l’impresa troppo impegnativa con il rischio che in caso di fallimento avrebbe potuto riceverne una pubblicità negativa.
E’ pur vero che il fascino degli USA aveva contagiato Ferrari sin da ragazzo. Egli stesso ha spesso raccontato che la sua passione per le competizioni automobilistiche nasce quando, nel 1912, rimase colpito da una fotografia pubblicata sul giornale “La Stampa Illustrata” che ritrae il pilota italo-americano Ralph De Palma alla 500 Miglia di Indianapolis.
E il feeling del Drake con l’automobilismo nordamericano non si esaurisce qui.
Ricordiamo infatti che un segno distintivo della Ferrari, il 12 cilindri, nasce da una ispirazione avuta osservando un’auto americana; è Ferrari stesso che ce lo ricorda nella sua autobiografia (Le mie gioie terribili): ”Il 12 cilindri è un motore che io ho sempre vagheggiato, ricordando le prime fotografie di un 12 cilindri Packard, che corse a Indianapolis nel lontano 1914 … ho sempre avuto simpatia per l’armoniosa voce di questo motore e confesso che il fatto che una sola casa al mondo, allora, costruisse un 12 cilindri, mi sollecitò ad imitarla.”
La decisione di partecipare alla 500 miglia del 1952 maturò quando Ferrari non seppe più resistere alle pressioni del suo pilota di punta, Alberto Ascari, e dell’importatore esclusivo della Ferrari per il Nord America Luigi Chinetti ma alla decisione contribuì sicuramente anche il contributo economico garantito dalla Champion Italia cui si unirono in seguito la Mobil e l’americana Grant Piston Ring.
Le intenzioni della Ferrari di partecipare alla “500” apparvero per la prima volta sulla stampa il 18 marzo.
La Ferrari intendeva mettere in campo due monoposto ma Chinetti riuscì a convincere tre clienti americani all’acquisto di una 375 per Indianapolis pertanto a Maranello durante l’inverno e la primavera del 1952 vennero allestite cinque monoposto derivate dalla 375 di Formula 1.
Le tre monoposto destinate ai clienti americani non furono sottoposte a modifiche significative mentre le due semi-ufficiali furono sottoposte ad alcune modifiche ritenute necessarie per poter resistere alle sollecitazioni del catino di Indianapolis e per contrastare le potenze dei bolidi americani.
Il telaio fu quindi irrobustito e modificato nel passo, portato da 2320 mm 2540mm, ad opera della Gilco, già collaboratore della Ferrari per la quale aveva realizzato anche il telaio della prima vettura del Drake, la 125. Le sospensioni vennero irrigidite e vennero adottati pneumatici più grandi della Firestone in luogo dei Pirelli. Il motore, con un leggero aumento di cilindrata, fu portato a 400 CV a 7500 giri/min; inizialmente l’alimentazione era a tre carburatori doppio corpo della Weber ma una volta arrivati ad Indianapolis, constatato un notevole gap di potenza, vennero fatti arrivare da Maranello nuovi carburatori Weber quadri corpo il cui ingombro rese necessaria una modifica al cofano motore.
Questa configurazione della monoposto veniva individuata in fabbrica con la denominazione “375 Indy” ma in occasione della gara americana fu ribattezzata “Ferrari Special”, la cui scritta spiccava in bella evidenza sul cofano.
Il 6 aprile 1952 tre di queste vetture parteciparono al Gran Premio del Parco Valentino a Torino. Una era guidata da Nino Farina che purtroppo ebbe un incidente danneggiandola tanto gravemente da non poter essere riparata in tempo per essere inviata a Indianapolis; una seconda fu affidata ad Ascari che fu però costretto al ritiro; Villoresi invece riuscì a portare alla vittoria la terza monoposto.
Ferrari dovette perciò limitarsi a spedire una sola monoposto per Ascari mentre i ricambi e tutto l’occorrente sarebbe stato fornito in loco dal concessionario Chinetti. Oltre al pilota presero parte alla spedizione l’ingegner Aurelio Lampredi, il direttore sportivo Nello Ugolini, il capo meccanico Stefano Mazza e altri due meccanici.
La monoposto numero 6 della Grant Piston Ring, pilota designato Johnnie Parsons, era dipinta di bianco con finiture rosse ed era caratterizzata da un parabrezza avvolgente in plexiglass; quella del milionario Howard Keck, iscritta con il numero 38 ed affidata al pilota Bobby Ball, era dipinta di blu chiaro con finiture rosse ed infine la Kennedy Tank Special numero 35 di Johnny Mauro era dipinta di bianco e aveva numeri blu con una rifinitura rossa.
Purtroppo nessuna delle monoposto americane partecipò alla gara, anzi non tentarono neanche la qualifica ritenendo la monoposto italiana poco competitiva. Travers e Coon, i tecnici della numero 38, avevano anche montato un impianto di iniezione realizzato negli USA da Stuart Hilborn; il sistema funzionò tanto che la vettura si rivelò più veloce di quella di Ascari ma nonostante ciò Keck ritirò l’auto su richiesta di Travers e Coon che preferirono concentrare i loro sforzi sull’altra macchina della squadra.
La Ferrari di Ascari, iscritta con il numero 12, era verniciata in un classico colore rosso con finiture bianche. Il 10 maggio Ascari supera il rookie test, la prova di sei giri riservata ai debuttanti.
Il 18 maggio Ascari era assente al Gran Premio di Svizzera, vinto da Taruffi, perché impegnato nelle qualifiche della 500 miglia. Nel tardo pomeriggio di sabato 17 maggio il pilota italiano riusciva a qualificare la Ferrari ad una velocità media di 134,308 miglia all’ora; la differenza tra i suoi giri più veloci e quelli più lenti era di soli 0,08 secondi mentre il terzo e il quarto giro risultavano identici. Il 24 maggio terminavano le qualifiche che vedevano Ascari occupare il 19° posto della griglia, in settima fila. La pole andò alla rivoluzionaria Kurt-Cummins Turbodiesel da 6600cc di Freddie Agabashian alla velocità media di 138,010 miglia orarie e un singolo giro a 139,104 miglia orarie.
Una curiosità sulla grafica della monoposto del campione italiano: non avendo ancora ben compreso se potesse fregiarsi della ufficialità, la vettura venne schierata nelle qualifiche con il Cavallino Rampante occultato con del nastro adesivo per poi riapparire in gara, probabilmente con il beneplacito di Ferrari dopo aver appreso della buona prova di Ascari.
La 500 miglia si disputò il 30 maggio; in gara Ascari risalì fino all’8 ° posto, ma dopo 40 giri, mentre era 12° in percorrenza della curva 4, sbandava e andava fuori strada a causa della rottura del mozzo della ruota posteriore destra. Ascari riuscì comunque a controllare la monoposto impazzita e fortunatamente venne evitato dai piloti che seguivano; al pilota italiano non rimase che scendere dalla vettura e spingerla, aiutato da alcuni pompieri, in una posizione sicura all’interno del circuito.
La sua gara si era interrotta dopo 37 minuti circa e 170 km di corsa.
In seguito si appurò che la rottura era stata causata dallo stress dovuto al forte effetto della forza centrifuga verso destra a causa della particolare configurazione della pista con sole 4 curve sopraelevate sinistrorse.
Ascari alla fine fu classificato 31°; la vittoria andò a Troy Ruttman che ancora oggi detiene il record del più giovane vincitore della gara, a 22 anni e 80 giorni.
Ma, a prescindere dall’esito della gara, la Ferrari si dimostrò poco competitiva nonostante la potenza del motore fosse paragonabile a quella degli Offenhauser (conosciuti anche con il diminutivo Offy), i principali avversari, mentre accusava almeno 100 CV meno dei Novi V8 sovralimentati che però erano molto assetati di carburante e perciò costretti ad un maggior numero di soste.
Il principale handicap della Ferrari era costituito dalla scarsa accelerazione in uscita dalle velocissime curve sopraelevate con conseguenze negative sulla velocità di punta; il deficit di accelerazione era dovuto sia ad un valore di coppia ben inferiore a quella degli Offy che ad un peso maggiore derivante da alcuni equipaggiamenti più adatti ai circuiti stradali europei come il cambio a 5 marce, contro quello a due velocità degli americani, l’inutile differenziale (a Indianapolis le curve sono tutte sopraelevate e non c’è differenza di velocità tra le due ruote posteriori) e freni molto più grossi.
Nel complesso, avendo potuto individuare i punti deboli, l’esperienza si dimostrò positiva tanto da pensare ad alcune modifiche mirate alla partecipazione alla Indy 500 del 1953.
Un primo intervento avrebbe sicuramente riguardato ruote e cerchi, ma la massima attenzione doveva essere rivolta al motore per risolvere il problema della scarsa coppia.
Furono fatte due ipotesi: una versione a corsa lunga del V12 da 4500cc oppure adottare il V12 sovralimentato da 3 litri conosciuto come “250 nautico”. Tutto il progetto si sarebbe basato ancora sul telaio della 375 di Ascari.
Purtroppo la decisione fu presa troppo tardi e la monoposto non fu approntata in tempo.
Da allora nessuna Ferrari ufficiale ha partecipato alla 500 miglia di Indianapolis.
Registriamo il tentativo di Johnny Mauro che si iscrisse alla 500 miglia del 1953 con il numero 97 ma poi rinunciò.
Le 375 Indy del 1952 furono lasciate ai clienti della NART di Luigi Chinetti ed il prototipo approntato per il 1953, denominato Monoposto Corsa Indianapolis e contraddistinto dal numero di telaio 0388, fu venduto all’inizio del 1954 a Chinetti stesso che lo mise a disposizione dei suoi clienti. Nel 1958 Chinetti la iscrisse alla 500 Miglia di Monza (Race of two worlds, la Corsa dei due Mondi) pilotata dall’americano Harry Schell, una gara vinta dall’americano Jim Rathmann; nel 1960, dopo ulteriori modifiche ad opera di Fantuzzi, fu collaudata sul circuito di Modena da Cliff Allison ma lì si concluse la sua attività sportiva.
Nel 1954 Luigi Chinetti iscrisse con il n° 47 una 375 denominata con il nome di sua moglie Marion; aveva un cambio a sole 4 marce ed un motore che, stranamente, aveva la corsa più corta: 83,8×67,8 mm contro gli originali 79 x 74,5 mm; il corpo vettura, caratterizzato da grandi rigonfiamenti sui lati, prendeva ispirazione dalla Ferrari 555 Supersqualo. Nelle intenzioni di Chinetti la macchina doveva essere guidata da Gigi Villoresi, ma non arrivò mai a Indianapolis. Quello stesso anno il pilota americano Danny Oakes tenterà senza successo di qualificare una 375.
Nel suo tentativo del 1956, di cui vi parliamo in un altro articolo, Nino Farina supererà il rookiestest alla guida della Marion Chinetti.
Infine una curiosità: la Thinwall special, di cui vi abbiamo parlato nell’articolo “Le Ferrari Formula 1 a colori”, fu realizzata sul telaio di una 375 Indy.
In un altro articolo vi parliamo delle altre presenze della Ferrari ad Indianapolis, ma solo per la parte motoristica, nessuna a carattere ufficiale.