La tradizione, forse sarebbe più corretto dire la cultura, motoristica della Ducati ha attraversato varie fasi.
La prima parte della storia della Ducati è fondata sul monocilindrico, a partire dall’iniziale motore ausiliario Cucciolo proseguendo con gli aste e bilancieri e “sforando” incidentalmente anche verso il 2 tempi; quando però si parla di mono Ducati il pensiero va istintivamente al motore “coppie coniche” che, a partire dalla 100 GS nota anche come Marianna, nell’arco di circa 20 anni è stato declinato in due grosse famiglie, carter stretti e carter larghi, in diverse cilindrate da 100cc fino ai 436cc del 450, con distribuzione inizialmente solo a molle e successivamente anche desmodromica.
Poi, agli albori degli anni ’70, arrivarono i primi “pomponi”, i bicilindrici a coppie coniche, anche questi declinati nelle versioni a molle e desmodromiche; dopo una decina di anni saranno sostituiti dalla famiglia Pantah con distribuzione esclusivamente desmodromica comandata da una cinghia dentata; infine, partendo dalla base del Pantah, nel 1987, con la 851 nascerà la famiglia dei 4 valvole.
Da allora nell’immaginario collettivo la Ducati appariva come la vessillifera del bicilindrico a V longitudinale, convinzione rafforzata dagli innumerevoli successi che le rosse di Borgo Panigale avevano conseguito battendo ripetutamente le formidabili 4 cilindri giapponesi nel Mondiale Superbike.
Questa immagine era talmente consolidata che la Ducati, consapevole di questo legame a doppio filo con questa configurazione motoristica, quando decise di affrontare la sfida della MotoGP indisse un referendum tra i suoi affezionati sostenitori per decidere sulla definizione del lay-out del motore, dovendo scegliere tra un bicilindrico o un quattro, entrambi a V.
La scelta cadde, direi ovviamente trattandosi di una moto destinata alla massima categoria, sulla configurazione V4 e in seguito sulla base della Desmosedici GP6 nacque, sia pure a tiratura limitata, la prima Ducati 4 cilindri stradale: la Desmosedici RR (Race Replica), una vera racer stradale destinata a pochi appassionati benestanti.
Poi, nel 2018, arriva la Panigale V4 (anche questa, specialmente nella versione “R”, una vera race replica) che farà storcere il naso a qualche residuo fondamentalista sostenitore del bicilindrico.
Ma la Desmosedici per la MotoGP, la Desmosedici RR e la Panigale V4 non sono le uniche quattro cilindri realizzate dalla Ducati; qui vi raccontiamo la storia delle altre 4 cilindri di Borgo Panigale.
La Apollo
Questa moto, che purtroppo non uscì mai dallo stadio di prototipo, fu commissionata e finanziata alla fine del 1961 da Berliner, noto ed importante distributore Ducati negli USA, che voleva proporla ai corpi di Polizia americani in concorrenza con la Harley Davidson.
Il prototipo della Apollo, dotato di un serbatoio simile a quello del Diana 250, fu presentato nel 1963; erogava 80 CV a 6000 giri, con la possibilità di arrivare ai 100 CV per una ipotetica versione civile.
La moto, classificata come D/B-V/4, era mossa da un 4 cilindri a V di 90° superquadro (84,5 x 56) da 1257cc con distribuzione aste e bilancieri, alimentato da 4 carburatori, accoppiato ad un cambio a 5 marce; avviamento elettrico, trasmissione finale a catena duplex, peso 270 Kg. L’impianto elettrico era quello della FIAT 1100. L’architettura del motore e l’alettatura differenziata tra i cilindri verticali ed i cilindri orizzontali anticipavano le soluzioni che troveremo alcuni anni dopo sulla 750 GT bicilindrica, la prima maxi della Ducati.
Durante i collaudi emersero seri problemi agli pneumatici, dovuti prevalentemente alle ruote da 16” imposte dalle specifiche della Polizia americana, che indussero a ridurre la potenza a 65 CV intervenendo sul disegno delle camme e adottando 2 soli carburatori. La moto fu sviluppata fino a tutto il 1965; in quell’anno venne esposta, in una veste estetica modificata, alla Fiera di Daytona insieme ad una 500 bicilindrica il cui motore appariva con una certa evidenza come la metà posteriore del motore Apollo; di questo prototipo 500 venne allestita anche una versione militare.
Purtroppo il mancato accordo di fornitura con la Polizia americana, e la conseguente mancanza di fondi, ne bloccarono lo sviluppo.
Il prototipo, inizialmente disperso, fu ritrovato nel 2000 in Giappone.
Motore 750/1000 V4 raffreddato a liquido
Nel 1976 Taglioni tornò a studiare la soluzione di un V4 a 90° con un monoalbero desmodromico a cinghia dentata, raffreddato a liquido, 1 solo carburatore, basamento monoblocco a tunnel (retaggio delle esperienze con i diesel VM), previsto nelle cilindrate canoniche 750 e 1000. Non andrà mai in produzione per il veto del management statale che riteneva troppo elevati i costi di produzione.
Tra il 1978 e il 1982 Taglioni e Mengoli ripresero gli studi sul tema del motore 4V a 90° con distribuzione desmodromica. Questa volta il raffreddamento era misto aria/olio, anticipando così una soluzione che per alcuni anni sarà una prerogativa Suzuki. Il motore, che nella sua massima espressione erogava circa 130 CV, aveva la frizione a secco e le manovelle a 360°; praticamente era l’accoppiamento di due Pantah, da cui il nomignolo di Bipantah. Al momento del passaggio dalla gestione statale ai fratelli Castiglioni anche lo sviluppo di questo motore fu bloccato, questa volta più per ragioni di marketing (in quanto si voleva conservare l’identità del bicilindrico ad L) che di costi.
125 GP 4 cilindri in linea
Nel 1965, su richiesta della consociata spagnola Mototrans, Taglioni sviluppò un 4 cilindri in linea per la classe 125 GP. Era un bialbero a cascata d’ingranaggi, 2 valvole (venne studiata anche la soluzione del 4 valvole) con richiamo tradizionale a molle, raffreddato ad aria, 8 marce; alle prime prove al banco il motore sviluppava 23 CV a 14000 giri. Non arriverà mai alle competizioni per mancanza dei fondi Mototrans. Farà solo mostra di sé in alcune Fiere Internazionali; in particolare venne esposta al Museo della Tecnica di Riga (URSS) da cui per intoppi burocratici non tornerà più in Italia. Poi nel 1999 un collezionista italiano riesce a riportarla in Italia; dopo un accurato restauro entrò a far parte del Museo Morbidelli oggi purtroppo dismesso.
LA 500 GP 4 cilindri in linea mai nata
Parallelamente al progetto della 500 bicilindrica ad L, nel 1971 fu realizzato un motore da Gran Premio da 350cc tre cilindri in linea, 4 valvole in collaborazione con la famosa società di consulenza inglese RICARDO ENGINEERING, che però non ebbe seguito. Le cronache dell’epoca suggerivano che da questo motore sarebbe probabilmente derivata una versione 500 4 cilindri ma il progetto abortì prima che potesse evolvere verso la cilindrata superiore.
Mototrans MT 250 GP 4 cilindri in linea
Cito impropriamente questa moto per sfatare la credenza diffusa che sia un progetto analogo a quello della 125/4 GP commissionato alla Ducati dalla consociata spagnola Mototrans.
In realtà questa moto, di cui era prevista anche una versione per la categoria 350, è una realizzazione autonoma della Mototrans progettata nel 1967 dall’ing. Aulo Savelli (già progettista del Benelli 4) e sviluppata da Armaroli (ex Mondial, Benelli e Ducati), entrambi suggeriti alla Mototrans da Spaggiari, prestato in quel periodo dalla Ducati alla sua consociata spagnola.
Probabilmente è proprio questo coinvolgimento di personaggi legati alla storia della Ducati (Armaroli e Spaggiari) che ha fatto intendere a molti che ci fosse stato un coinvolgimento della casa bolognese.
Il motore era un 4 cilindri in linea, risultante dall’accoppiamento di due bicilindrici, infatti i cilindri erano in due blocchi di 2, la distribuzione era a 2 cascate di ingranaggi e gli alberi a camme erano 4. La moto, non andata mai oltre il livello di prototipo, debuttò nelle prove del GP di Barcellona del 1967 alla guida dello stesso Spaggiari . e quella probabilmente fu la sua unica ed ultima apparizione.