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Le più belle auto da corsa: la Ferrari P4
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Le più belle auto da corsa: la Ferrari P4

Gennaio 22nd, 2020 Fabio Avossa Amarcord

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La Ferrari 330 P4 con le sue linee voluttuose è una delle auto più belle della storia del Mondiale Marche ma anche una delle più gloriose, infatti contribuì a portare a Maranello il combattuto Mondiale Marche del 1967, contro le agguerrite rivali a stelle e strisce, Ford GT40 e Chaparral 2F e le teutoniche Porsche 907;  vinse una sola gara, la 1000 Km di Monza,  ma divenne famosa dopo la memorabile tripletta con arrivo in parata a Daytona ma nel catino della Florida la prima delle tre Ferrari che tagliarono il traguardo in parata era in realtà un ibrido P3/4.

La P4 rappresenta la massima evoluzione della serie “P” tutte caratterizzate dalla collocazione del motore V12  in posizione centrale-longitudinale. Questi prototipi erano identificati dalla cilindrata unitaria seguita da una P e da un numero progressivo; la serie era iniziata nel 1963 con le 250P (3000cc) e 330P (4000cc); seguirono  nel 1964 le 275/330P; nel 1965 le 275/330/365P2; nel 1966 la 330P3 ed infine nel 1967 la protagonista di questo nostro “amarcord”.

La stagione 1966 era stata dominata dalla Ford GT40, bisognava correre ai ripari rielaborando il progetto della 330 P3. Le prime attenzioni furono rivolte al propulsore; il V12 da 4 litri con distribuzione a 2 valvole della P3 ormai segnava il passo rispetto ai mostruosi Ford di 7 litri perciò Forghieri pensò di realizzare un 12 cilindri 3 valvole (due per l’aspirazione ed una per lo scarico) derivato dall’unità di Formula 1 con cui Scarfiotti aveva vinto il Gp d’Italia nel 1966 portandone la cilindrata da 3000cc a 4000cc. Lo sviluppo del progetto fu affidato a Franco Rocchi (a quei tempi il gruppo di tecnici progettisti della Ferrari era costituito dalla troika Forghieri-Rocchi-Bussi); la potenza passò da 420 a 450 CV a 8000 giri/min.
Al motore venne accoppiato un nuovo cambio progettato in casa, al contrario della P3 che montava un cambio fornito dallo specialista ZF.

Il telaio, un traliccio in tubi di acciaio su cui erano rivettati dei pannelli di alluminio con una tecnica mutuata dalla Formula 1, era leggermente più corto di quello della P3; le nuove sospensioni erano a quadrilaterali deformabili con ammortizzatori telescopici. Il motore integrava la struttura con funzione portante.

Da questo pacchetto di modifiche scaturì in pratica  una macchina da Gran Premio carrozzata.

Anche se esteticamente appariva molto simile alla 330 P3, la P4 era più lunga di 1,5 cm, più larga di 3 e più alta di 5; da un punto di vista aerodinamico la P4 offriva meno resistenza della P3, più deportanza e un assetto più picchiato, studiato nelle gallerie del vento di Pininfarina e di Stoccarda. Il peso aumentò leggermente dai 720 Kg della P3 ai 792 kg della nuova P4.

Furono costruite tre P4, due berlinette ed una spider. Una quarta vettura era in effetti una P3 aggiornata alle specifiche P4; telaio e carrozzeria rimasero inalterati, e le uniche modifiche furono fatte per permettere l’installazione del motore della P4. Rinominata P3/4, è questa la vettura che conquistò la prima gara, la 24 ore di Daytona.

Altre due P3 vennero aggiornate e cedute alle scuderie private (NART, Scuderia Filippinetti, Ecurie Francorchamps, Maranello Concessionaires e David Piper) con la sigla 412P. per analogia con la P3 aggiornata  gestita ufficialmente dalla Ferrari, anche queste venivano spesso citate come P3/4. Rispondendo alle pressanti richieste dei privati, altre due 412 P vennero costruite da zero.

Le vetture, ricarrozzate da Piero Drogo con una linea molto simile a quella della P4, avevano sospensioni e ruote in lega della P4 mentre il motore era quello della P3, aveva quindi due valvole per cilindro ed era sprovvisto di sistema d’iniezione ma era alimentato dalla consueta batteria di sei carburatori doppio corpo Weber.

La P4 risultò molto più competitiva della progenitrice P3, tanto da dimostrare il proprio valore già dalla gara del debutto, la prestigiosa e impegnativa Daytona, quella della famosa parata delle tre vetture del Cavallino che tagliarono il traguardo praticamente insieme: la 330 P3/4 di Lorenzo Bandini e Chris Amon vinse la gara precedendo la P4 guidata da Mike Parkes e Ludovico Scarfiotti e la 412 P della NART condotta da Jean Guichet e Pedro Rodriguez. Le foto delle “rosse” in parata conquistarono le prime pagine di tutti i giornali.

Per ricordare quella vittoria trionfale, la Ferrari 365 GTB/4 del 1968, l’erede della 275 GTB/4,  venne soprannominata Daytona.

La prima e unica vittoria della Ferrari 330 P4 risale al 25 aprile 1967 con la doppietta alla 1000 km di Monza: primi Amon/Bandini davanti a Parkes/Scarfiotti.  Alla Targa Florio, Vaccarella, che divideva una P4 spider con Scarfiotti, attraversando il centro abitato di Collesano toccò un marciapiede danneggiando la sospensione e fu costretto al ritiro.

Purtroppo la P4 non riuscì ad imporsi proprio nella gara più prestigiosa del Campionato, la 24 Ore di Le Mans dove si piazzò al secondo e terzo posto dietro alla Ford GT40 Mk IV da 7000cc di Gurney e Foyt. Nelle prime battute la lotta fu serrata, nonostante i 3 litri di handicap pagati dalle Ferrari che con i loro pur potenti e sofisticati V12 da 4000cc dovevano confrontarsi con i 7000cc delle Ford. Ma su quella vittoria della Ford aleggia un’ombra, anzi più di una.

Nel corso della notte il cronometraggio ufficiale della IBM andò in tilt lasciando tutti senza sapere le esatte posizioni per diverse ore.

Al momento del black-out le Ferrari risultavano nello stesso giro delle Ford di testa  ma quando ritornò il cronometraggio risultarono distaccate di ben 5 giri dall’unica Ford ufficiale rimasta in gara.

Al box Ferrari c’era un servizio interno di cronometraggio gestito dall’associazione cronometristi italiani a cui risultava che la Ferrari di Mike Parkes e Ludovico Scarfiotti era ancora  nello stesso giro della Ford di Dan Gurney ed AJ Foyt su cui stavano recuperando.

Ma non basta: il cofano posteriore della Ford che conduceva la gara si era rotto e ad ogni sosta veniva rinforzato con dello scotch ma i regolamenti parlavano chiaro in materia: le vetture dovevano essere integre quindi la vettura doveva essere fermata.

Forghieri, con il supporto dei cronologici dei propri cronometristi, andò in direzione gara a protestare, ma non ci fu nulla da fare. Lo stesso Forghieri narra che un dirigente, amico di Enzo Ferrari, lo guardò e gli disse in francese «Mauro c’est l’argent».

Comunque la P4 di Scarfiotti e Parkes arrivò seconda a 4 giri.

La P4 arrivò a contendersi il titolo costruttori con la Porsche all’ultima gara del campionato, la BOAC International 500; per l’occasione la Ferrari trasformò una delle P4 in spider asportandone il tettuccio e diminuendo quindi il peso di circa 40 kg. La vettura, affidata alla guida di Chris Amon e Jackie Stewart, arrivò al secondo posto alle spalle della Chaparral di Mike Spence e Phil Hiil  permettendo alla Ferrari di conquistare per la tredicesima volta il campionato costruttori.

Nel 1968 il regolamento cambiò fissando per i prototipi una cilindrata massima di tre litri, decretando così la fine dellaP4 impedendone la partecipazione al Campionato del 1968 che, per protesta, la Ferrari non disputerà.

La P4 continuerà a vivere, in verità con poca gloria, nel campionato CAN AM; due P4 furono infatti  modificate profondamente sotto le vesti di barchette.

L’unica Ferrari 330 P4 rimasta ad oggi in condizioni originali è quella con numero di telaio 0856.

Le due vetture impiegate nel campionato Can Am, oltre all’asportazione del tetto, ebbero modifiche alla carrozzeria per migliorarne l’efficienza aerodinamica e avevano la cilindrata del motore portata a 4200cc mediante maggiorazione dell’alesaggio a 79mm; la potenza era stimata in circa 480CV. La denominazione ufficiale di questa P4 modificata era 350 Can Am. La vettura non fu mai competitiva: doveva battersi contro avversarie la cui cilindrata spesso arrivava a 7000cc;  l’eccessivo peso e la poca potenza non le davano alcuna possibilità contro la Lola di Surtees e la McLaren di Bruce McLaren.

Nel 1968, a  seguito dello scarso successo ottenuto dalla 350 Can Am, fu realizzata la 612 Can Am (a volte citata come 612P, quasi a ricordarne le origini)  che era in effetti una 350 “anabolizzata” con il motore portato ad oltre 6000di cilindrata; questa versione si dimostrò più competitiva della 350; nel 1971 fu sostituita dalla 712, un progetto totalmente diverso perché derivato dal prototipo 512M.

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Fabio Avossa

Napoletano, perito metalmeccanico, pensionato, vive a Napoli. Appassionato di motori a 2 e 4 ruote in tutti i risvolti ma con particolare interesse per la storia delle corse. Motociclista da circa 60 anni, tifa Ducati e Ferrari (made in Italy), oggi sul suo profilo Facebook si diletta a parlare di moto e auto con particolare attenzione alle vicende del Motomondiale e della Superbike.

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