Dopo aver dominato nelle classi minori per alcuni anni, nel 1966 la Honda decise di confrontarsi con la MV Agusta nella classe più prestigiosa, la 500, la classe regina, cercando di interromperne la sequenza di vittorie che durava da 8 anni consecutivi prima con Surtees e poi ancora con Hocking ed Hailwood.
Prima di allora nessuna casa giapponese si era cimentata nella 500.
In linea con la filosofia motoristica della casa dell’Ala Dorata, in un primo momento si pensò ad un 8 cilindri a V (come la Moto Guzzi del 1956/57), ma poi si decise per un più tradizionale 4 cilindri in linea; venne perciò approntata la RC181, una poderosa moto da 500cc a 4 cilindri.
La RC181 aveva una cilindrata di 489,94cc (alesaggio x corsa = 57 x 48 mm), cambio a sei velocità, 85 CV a 12.000 giri con fuori giri a 12.500. Il telaio era un doppia culla aperta in tubi d’acciaio al cromo-molibdeno con il motore che fungeva da elemento semi-portante.
Punti deboli della RC181 si riveleranno la scarsa tenuta di strada e l’affidabilità, in particolare l’albero motore ed il cambio. Il punto di forza era invece rappresentato da una potenza nettamente superiore a quella della rivale italiana. Infatti sia Redman che Hailwood esprimeranno apprezzamenti per la potenza del motore ma anche forti critiche per la ciclistica. Anni dopo Hailwood, nel parlare di questa moto, la definirà “dannatamente terrificante” dichiarando di aver chiesto invano modifiche al telaio. Non a caso la RC181 era soprannominata “Bronco” per come si dimenava anche in rettilineo alla stregua di un cavallo selvaggio.
Alla fine della stagione 1966 la RC181 aveva conquistato cinque delle 9 gare in calendario, 2 con Redman e 3 con Hailwood (le altre 3 andarono ad Agostini, una al cecoslovacco František Št’astný), aggiudicandosi così il Mondiale Marche con Hailwood secondo nella classifica piloti.
Nel 1967 la Honda ritentava l’assalto al titolo della 500 con una versione aggiornata della RC181 con alcune modifiche al motore volte ad un ulteriore potenziamento; anche il telaio viene modificato nel tentativo, mal riuscito, di migliorare tenuta di strada e maneggevolezza. E in quel 1967 la storia sostanzialmente si ripeterà; Agostini ed Hailwood vinceranno infatti ancora lo stesso numero di gare (5) ma Hailwood sarà ancora una volta tradito dall’affidabilità della sua Honda terminando secondo in campionato.
Poi, inaspettatamente, alla fine della stagione 1967 la casa dell’Ala Dorata, delusa dal mancato successo nella Classe Regina – nonostante le 10 vittorie su 19 gare disputate, il Titolo Marche nel 1966 – annunciò il ritiro dalle competizioni lasciando a piedi Hailwood. In effetti il ritiro della Honda non fu determinato solo dalla delusione per le due sconfitte consecutive ma anche perché indispettita per l’introduzione di norme restrittive sul frazionamento dei motori, caratteristica peculiare della tecnica motoristica del costruttore giapponese, e per la volontà di dedicare momentaneamente tutte le proprie risorse, finanziarie ed umane, alla Formula 1 automobilistica che si era rivelata più ostica del previsto.
Ma, riservandosi di rientrare in tempi brevi nel motomondiale, la Honda mantenne sotto contratto Hailwood riconoscendogli un compenso economico di 50.000 sterline (equivalenti all’incirca a 720.000 sterline o 1.275 milioni di dollari in valuta 2016) perché non gareggiasse per un altro marchio in vista del ritorno della casa giapponese alle competizioni mondiali. Inoltre, per consentire al campione inglese di non allontanarsi dall’ambito delle competizioni motociclistiche, gli lasciò in gestione le moto del 1967 consentendogli di partecipare alle gare Internazionali purché non comprese nel calendario del Motomondiale. In realtà, come molti ricorderanno, ci vorranno più di dieci anni prima che la Honda si ripresentasse, nel 1979, sui circuiti del motomondiale con la fallimentare NR 500 a pistoni ovali.
Le “special” di Hailwood
A causa della scarsa tenuta di strada Hailwood, che già al primo contatto aveva teatralmente gettato gli ammortizzatori giapponesi nel lago vicino al circuito di Suzuka per convincere la fabbrica ad utilizzare unità di produzione inglese, fece realizzare su sua iniziativa personale dei telai alternativi da specialisti inglesi ed italiani; in entrambe le occasioni la casa giapponese gli proibì di usarli nelle gare del Mondiale per comprensibili motivi di immagine.
Già dall’inizio del 1967 Mike si era rivolto a Ken Sprayson della Reynolds che dovette rifiutare essendo già impegnato su altri fronti.
Mike fece quindi realizzare un telaio da un altro specialista inglese di telai, Colin Lyster che, forse già sofferente di problemi renali che gli impedivano di dedicarsi a tempo pieno al lavoro, chiese la collaborazione degli specialisti italiani Antenore e Stelio Belletti per la realizzazione di un telaio in tubi di piccolo diametro, secondo la sua consueta tecnica, dotato di freni a disco all’avantreno.
Ovviamente la Honda non vedeva di buon occhio queste iniziative ma in quel 1967 Mike gareggiò comunque con la sua Honda special in alcune gare nel Regno Unito, fece una fugace apparizione alle prove del GP di Germania ad Hockenheim e partecipò vittoriosamente alla tappa riminese della Mototemporada.
Non soddisfatto del telaio di Lyster, alla fine della stagione del 1967 Mike contattò di nuovo Ken Sprayson che questa volta si rese disponibile e progettò un telaio che non utilizzava più il motore come elemento strutturale.
Nel 1968 Hailwood si presentò alle gare della Temporada con la RC181 dotata del telaio di Sprayson; gareggiò a Cesenatico il 7 aprile e in un altro paio di eventi italiani di inizio stagione finendo secondo dietro Giacomo Agostini a Rimini dopo essere scivolato sul bagnato ma rimontando e stabilendo il giro più veloce nel tentativo di riagganciare Ago.
A questo punto intervenne la Honda che lo costrinse a ribattezzare la moto HRS (Hailwood Reynolds Special) con la quale vinse a Imola e ancora in qualche gara in Inghilterra, in particolare a Snetterton.
Mike sperava che questi successi potessero spingere la Honda a rientrare nel Motomondiale ma sappiamo che questo sarebbe avvenuto molti anni dopo e nel frattempo Hailwood rivolgeva sempre maggiori attenzioni al mondo delle quattro ruote e pertanto i suoi esperimenti non ebbero ulteriori sviluppi.
In conclusione ci sembra lecito ipotizzare che l’Honda (e con lei Hailwood) ha perso due occasioni di conquistare il titolo mondiale piloti della classe 500, che sarebbe stato il primo per una casa giapponese, per la sua ostinazione di non intervenire radicalmente sul telaio o che forse, visto quanto accadeva contemporaneamente nella classe 350 dove Agostini con la sua MV 3 cilindri soffriva la netta superiorità del binomio Hailwood/Honda 6, per battere la MV Agusta nel 1967 sarebbe bastata una versione 500 della sua 6 cilindri, ma … chi può dirlo.