Alfredo “Dino” Ferrari, il figlio del Drake scomparso prematuramente, era un convinto assertore della configurazione motoristica 6 cilindri a V; nel 1956 incominciò a pensare al progetto di un motore con questa configurazione ma purtroppo nello stesso anno morì. Enzo Ferrari decise di dare seguito al progetto in memoria del figlio e ne affidò il compito a Vittorio Jano, esperto ingegnere con un passato in Fiat, Alfa Romeo e Lancia, che lo ultimò cinque mesi dopo la scomparsa di Dino.
Nasceva così il motore 1500 6 cilindri a V65° destinato alla Formula 2 che riportava sui coperchi della distribuzione il nome Dino e che debuttò in gara nel 1957 al GP di Napoli.
Il motore dette ottimi risultati tanto che nello stesso anno furono sperimentate alcune maggiorazioni, da 1800 a 2100, per la Formula 1 che dettero ottime indicazioni tanto che già nel 1958 nasceva la Ferrari 246 F1 (2400cc/6 cilindri) di Formula 1 evoluta poi nella 256 F1. Seguiranno il 1500 per la Formula 1 del 1961 e altri motori in diverse cilindrate (1900, 2400, 2700, 2900) destinati alle sport/prototipo e alla monoposto 246 Tasmania.
Alla fine del 1965, dopo un quinquennio in cui la cilindrata massima per la Formulala 2 era stata abbassata a 1000cc, la CSI (Commissione Sportiva Internazionale) annunciava che a partire dal 1967 la cilindrata ammessa per la Formula 2 sarebbe stata innalzata a 1600 cc con un massimo di 6 cilindri.
Sembrava una Formula ritagliata sulle caratteristiche del motore Dino, ma il regolamento imponeva anche che il blocco cilindri derivasse dal motore di una vettura omologata nella categoria GT, ovvero prodotta in un minimo di 500 esemplari, produzione impensabile da raggiungere nei tempi richiesti per un’azienda poco più che artigianale come era la Ferrari dell’epoca; nonostante questa considerazione, inizialmente Ferrari pensò di costruire in proprio un prototipo da cui trarre poi una vettura di serie da omologare allo scopo.
Nasceva così nel 1965 la Dino 166P, una sorta di F1 del 1963 vestita da Sport, la prima vettura a portare questo marchio fino ad allora riservato solo ad una famiglia di motori. Nello stesso anno, al Salone dell’Automobile di Parigi, Pininfarina presentava il prototipo da esposizione “Dino Berlinetta Speciale” che anticipava la nascita di una piccola GT di Maranello.
Ma poi, rendendosi conto di non avere la capacità produttiva per assemblare in tempo utile i 500 esemplari per ottenere l’omologazione, Ferrari si rivolse alla FIAT con la quale stipulò un accordo in base al quale la Ferrari avrebbe fornito i progetti del motore e i diritti sul nome Dino mentre la FIAT si sarebbe impegnata a costruire in tempi brevi le 500 vetture necessarie.
Ovviamente per raggiungere tali numeri bisognava pensare a vetture meno sofisticate e meno costose delle GT di Maranello.
Dopo un’anteprima avvenuta nella primavera del 1966, al salone di Torino, il 3 novembre, veniva presentata al pubblico la prima FIAT Dino, uno spider a due posti secchi opera di Pininfarina (foto di copertina); il design creato dal carrozziere torinese non era privo di richiami agli stilemi del prototipo “Dino Berlinetta Speciale” presentato a Parigi l’anno prima dallo stesso Pininfarina.
Ma Ferrari non aveva abbandonata l’idea di una sua piccola GT, infatti in un altro padiglione della rassegna torinese veniva presentata la 206GT equipaggiata con un motore 2000cc da 180 CV. La vettura, una berlinetta 2 posti dalla linea profilata marcatamente sportiva anche questa opera di Pininfarina fortemente ispirata alla “Dino Berlinetta Speciale”, veniva presentata con l’inedito marchio di fabbrica Dino come marca autonoma ma tuttavia inclusa nell’ambito produttivo e commerciale della Ferrari senza però nessuna scritta Ferrari né simboli del Cavallino Rampante che venivano perciò riservati alle più tradizionali Ferrari a 12 cilindri.
Così, accanto alla più costosa e sofisticata Dino 206 GT a motore posteriore centrale prodotte dalla Ferrari veniva affiancata la più abbordabile, ma non certo economica, versione a marchio FIAT.
In realtà, la condivisione tecnica tra la Dino della Ferrari e quella FIAT era limitata al motore, V6 da 1987cc tutto in alluminio e dotato di distribuzione a 4 alberi a camme in testa, peraltro sviluppato con caratteristiche meno spinte con potenza limitata a 160CV a 7200giri/min.
Infatti, mentre sulla GT di Maranello il motore era disposto trasversalmente in posizione centrale/posteriore, sul modello FIAT l’impostazione tecnica era piuttosto classica: motore anteriore, trazione posteriore, avantreno a ruote indipendenti con triangoli sovrapposti, retrotreno a ponte rigido, cambio manuale a 5 marce e freni a disco sulle 4 ruote.
Oltre che del design Pininfarina si occupò anche della costruzione della vettura presso i suoi stabilimenti.
La FIAT Dino spider veniva messa in vendita nel 1967. Il 25 febbraio 1967, alla mostra per auto da competizione di Torino, veniva esposta la Dino 166 F2, la monoposto per la quale era nato l’accordo FIAT/Ferrari.
Al salone dell’automobile di Ginevra del 1967, il 9 marzo, veniva presentata la versione Coupé disegnata da Bertone. Era dotata della stessa meccanica della Spider con l’unica differenza di un passo allungato a 2550 mm per ottenere un abitacolo capace di 4 posti. La Coupé aveva un’ impostazione più elegante rispetto alla sportiveggiante spider di Pininfarina; il comportamento stradale era meno dinamico soprattutto per il passo più lungo, la maggiore lunghezza del corpo vettura ed un peso maggiore.
Anche la produzione della Coupé venne affidata al designer stesso.
Anche se più civilizzate rispetto alla 206GT erano pur sempre delle vetture dalle caratteristiche estreme, richiedenti una accurata manutenzione e alquanto rumorose di meccanica.
Purtroppo le due sportive FIAT si rivelarono alquanto problematiche e non esenti da difetti:
il motore, caratterizzato da una notevole potenza ed una erogazione poco progressiva, rendeva la Dino una vettura molto nervosa mettendo in crisi un telaio già di per sé critico a causa del passo corto (nel caso dello spider) e di un obsoleto retrotreno a ponte rigido mentre il basamento in alluminio del V6 soffriva i repentini sbalzi di temperatura avendo la tendenza a deformarsi.
Si rimediò in parte a questi difetti con la seconda serie nata quando, nel 1969, il motore della Dino 206GT venne aggiornato con la cilindrata portata a 2418cc per una potenza di 195CV ed anche le cugine FIAT beneficiarono di questa modifica.
Sulle Dino della FIAT il motore venne depotenziato a 180 CV ma furono apportate anche altre modifiche funzionali ottenendo così un migliore equilibrio dinamico ed una migliore affidabilità.
Sul motore venne adottato il basamento in ghisa mantenendo però le testate in alluminio mentre il retrotreno, ripreso da quello della berlina di rappresentanza FIAT 130, divenne a ruote indipendenti. Furono modificati anche i mozzi ruota con il fissaggio delle ruote che passava dai gallettoni ai più tradizionali bulloni.
Gli interventi estetici furono minimi, sia per la spider che per la coupé: mascherina verniciata in nero opaco, plancia con consolle centrale ridisegnata e finiture migliorate.
Le Fiat Dino vennero prodotte tra il 1966 ed il 1972.
In tutto ne sono state prodotte 7.651, di cui circa l’80% in versione coupé.
Questo il dettaglio:
- Spider 1583, di cui 1163 in versione 2000, 420 con motore 2400
- Coupé 6068, di cui 3670 in versione 2000, 2398 con motore 2400
per un totale di:
- 4833 vetture della prima serie con motore 2000
- 2818 vetture della seconda serie con motore 2400
All’inizio della produzione venne allestito una pre-serie di 500 esemplari dello spider in (telai AS00001 – AS000500), privi dell’accensione elettronica Dinoplex, al fine di ottenere l’omologazione nella categoria GT, obiettivo primario dell’accordo FIAT/Ferrari.
Qualche curiosità sull’argomento:
- Le linee dello spider erano sicuramente più affascinanti della paciosa coupé di Bertone che però ebbe un maggior successo commerciale per una migliore fruibilità e la disponibilità dei 4 posti. Forse per questo Pininfarina si dilettò ad approntare una paio di prototipi da esposizione di Dino Coupé strettamente ispirate alle linee della sua spider che si distinguevano per il diverso andamento del padiglione.
- Le prime serie furono commercializzate senza il marchio FIAT sostituito dallo stemma “Dino”, tondo a differenza di quello rettangolare adottato dalla Ferrari, ma le vetture erano comunque inserite nel listino FIAT; solo dopo che la maggioranza del pacchetto azionario Ferrari venne acquisito dalla casa torinese, nel 1969, quest’ultima conservò la scritta “Dino” come denominazione del modello, ma inserendo il marchio FIAT.
- La gloriosa Lancia Stratos venne equipaggiata con il motore Dino
Il gruppo FIAT non è stato esente da operazioni similari, ricordiamo la 1500 S Cabriolet , derivata dal 1200, che montava un motore bialbero della OSCA (casa fondata dai fratelli Maserati), evoluta poi nella 1600 S (foto a dx) e la Lancia Thema 8.32, meglio conosciuta come Thema Ferrari, che montava un 8 cilindri di Maranello.