Alla fine degli anni ‘60, chi voleva (o meglio, chi poteva) acquistare una Gran Turismo a motore centrale/posteriore aveva una scelta limitata, anche se di altissimo livello, a due italiane: la Lamborghini Miura e la De Tomaso Mangusta. La Ferrari 365 BB e la Maserati Bora caratterizzate dallo stesso lay-out arriveranno qualche tempo dopo, nei primi anni ’70.
In queste note vi parleremo della bellissima Mangusta che forse non tutti ricordano.
La De Tomaso fu fondata nel 1959 dall’ex pilota italo-argentino Alejandro de Tomaso. I modelli più significativi della De Tomaso sono stati:
la berlinetta Vallelunga, prodotta in una cinquantina di esemplari tra il 1964 ed il 1968; aveva un telaio a trave centrale mosso da un motore 4 cilindri Ford Kent 1600 da 104 CV; l’elegante carrozzeria veniva allestita da Ghia su disegno di Fissore;
- la Mangusta, prodotta in circa 400 esemplari tra il 1967 ed il 1971, anch’essa con telaio a trave centrale, dotata di motori Ford V8; il design era opera di Giugiaro;
la Pantera, forse la più famosa tra le vetture prodotte da De Tomaso; la vettura, prodotta in circa 7300 esemplari in diverse versioni nell’arco di oltre un ventennio (1971/1993), differentemente dalle sue antenate aveva un telaio monoscocca scatolato; i motori erano di origine Ford montati posteriormente; il design venne curato da Tom Tjaarda, l’autore di tante altre bellissime vetture come : Innocenti 950 Spider, Ferrari 330 GT 2+2, Fiat 124 Spider, Ferrari 365 California, De Tomaso Deauville, De Tomaso Longchamp, Lancia Thema, Fiat Croma, Autobianchi Y10.
A questi modelli seguirono le lussuose Deauville e Longchamp e la sportiva Guarà. Dopo l’acquisizione del marchio Maserati, la Longchamp verrà dotata di motore Maserati 8V e sarà venduta col nome di Maserati Kyalami poi, ma questa è tutta un’altra storia, in Maserati arriverà la Biturbo.
De Tomaso si è cimentato anche in Formula 1 nel 1970 con una monoposto disegnata da Dallara, e derivata dalla Formula 2, affidata alla gestione di Frank Williams ed alla guida di Piers Courage.
Dopo varie vicissitudini, la De Tomaso venne acquisita dall’imprenditore torinese Rossignolo, noto per essersi occupato di marketing in Fiat e per aver guidato, come Amministratore Delegato, la Lancia, nonché proprietario degli stabilimenti ex Pininfarina di Grugliasco.
Il 9 febbraio 2012 la famiglia Rossignolo dichiarò di aver ceduto il controllo alla Car Luxury Investment, società italiana del gruppo cinese Hotyork Investment Group; purtroppo anche questa avventura si è chiusa ben presto con un fallimento.
La Mangusta: l’antefatto e l’origine del nome
Sulla scia del discreto successo della Vallelunga, DeTomaso decise di ampliare il proprio campo d’azione nell’ambito delle competizioni realizzando una vettura in grado di competere nelle gare Sport/Prototipi.
Per realizzare questo suo progetto, nel 1965 stipulò un accordo con Carroll Shelby per la progettazione e la produzione di una sport biposto di 5 litri di cilindrata. Il progetto esecutivo fu affidato a Peter Brock, il progettista di fiducia di Shelby.
La specifica di progetto prevedeva il telaio a trave centrale in alluminio con motore posteriore, soluzione peraltro introdotta da Chapman con la sua Lotus Elan e adottato anche dalla Alpine Renault (di cui vi abbiamo parlato QUI)e a cui si era già ispirato lo stesso De Tomaso con la Vallelunga. A differenza però dalla soluzione Lotus che prevedeva un prolungamento del telaio come supporto del motore, la soluzione italiana prevedeva il motore portante.
La realizzazione della carrozzeria venne affidata a Fantuzzi tanto che la vettura, battezzata De Tomaso P70, era nota anche come DeTomaso Sport 5000 Fantuzzi spyder.
La vettura fu inizialmente progettata per accogliere motori Ford-Shelby V8 da 4.2 litri, 4.7 litri e 5.3 litri, fino ad arrivare ai 6,8 litri per la Can-Am, da qui il nome P70 ( Posteriore 7000).
Purtroppo il progetto avanzò a rilento per varie difficoltà tra cui scontri di personalità, geografia e incomprensioni culturali tanto che si arrivò alla rottura dell’accordo, tanto più che nel frattempo Shelby fu coinvolto dalla Ford nella realizzazione di quella che sarà la gloriosa GT40.
De Tomaso andò avanti autonomamente nel progetto e presentò la P70 al Salone di Torino del 1965.
La P70 partecipò aduna sola competizione, il GP del Mugello del 1966 con Roberto Bussinello alla guida, che fu costretto al ritiro al primo giro del lungo e impegnativo circuito stradale toscano. La P70 montava un motore Gurney-Weslake V8 da 5,0 litri, in pratica un Ford 289 completamente ricostruito con testate sviluppate dalla Weslake in Inghilterra.
La P70 non ebbe alcun seguito agonistico ma il progetto fu ripreso per dare vita a quel capolavoro che è stata la Mangusta.
Una modifica significativa al progetto iniziale fu l’adozione di un telaio di supporto del motore, oltre, naturalmente, tutti gli adattamenti per trasformarla in una vettura stradale.
Una vettura che negli intendimenti dell’imprenditore italo-argentino avrebbe dovuto competere con le le migliori GT dell’epoca, specialmente italiane, come Ferrari, Iso Rivolta, Lamborghini e Maserati e naturalmente con le Cobra di Shelby.
E il nome Mangusta fu deciso da De Tomaso in persona per simboleggiare la sfida lanciata all’indirizzo del suo ex socio, dato che questo è l’unico animale in grado di sostenere la lotta contro il cobra (circostanza resa celebre dal duello tra la mangusta Rikki-tikki-tavi e il cobra descritto da Rudyard Kipling nel “Libro della giungla”), simbolo delle automobili prodotte da Carrol Shelby. Quando La Mangusta venne presentata al pubblico De Tomaso pronunciò la arguta battuta “La Mangusta presto divorerà la Cobra”.
La vettura ebbe un buon successo commerciale (ne acquistò una anche il famoso tenore Mario Del Monaco), specialmente negli Stati Uniti; due gli elementi a su favore: un prezzo decisamente concorrenziale (11.000 dollari dell’epoca, circa la metà di una Lamborghini Miura) e la splendida linea disegnata da un giovane Giorgetto Giugiaro, all’epoca in forza alla Ghia che aveva lasciato Bertone nel novembre 1965 dopo aver abbozzato la le linee della Miura; per la nascente GT modenese Giugiaro riprese un progetto che era stato rifiutato dalla Iso Rivolta (curiosamente negli anni ’90 un altro progetto di Giugiaro subì la stessa sorte, quello della Daewoo Matiz che inizialmente era stato proposto alla FIAT per l’erede della Cinquecento).
La carrozzeria della Mangusta, realizzata in acciaio con portiere e cofani in alluminio, era caratterizzata da un’altezza di appena 110 cm (poco più della Ford GT40!), da un ampio parabrezza e dalla chiusura del vano motore realizzata insolitamente con due portelloni incernierati al centro con apertura quindi ad ali di gabbiano. Le finiture interne erano volutamente spartane per dare l’idea di una vettura da competizione adattata all’uso stradale; nel primo prototipo era presente il tetto trasparente, soluzione che verrà poi abbandonata.
Il motore, un V8 289 da 4,7 litri della Ford (De Tomaso era riuscito ad ottenere l’appoggio del costruttore americano) abbinato ad un cambio ZF a 5 rapporti, veniva elaborato a Modena per erogare 306 CV sufficienti per competere con le altre GT dell’epoca; l’adozione di un motore derivato dalla grande serie permise di abbattere notevolmente i costi rispetto ad altre esotiche supercar italiane.
Per il mercato nord americano fu necessario apportare alcune modifiche:
- furono sacrificati i bellissimi quattro piccoli fari tondi accoppiati perché non rispettavano il limite minimo di altezza imposto dal ministero dei trasporti americano e fu trovata la soluzione di un singolo faro tondo di maggiori dimensioni parzialmente retrattile così che una volta esteso in posizione raggiungeva l’altezza minima richiesta;
- il Ford 289 fu sostituito dal meno potente Ford 302, sempre V8 ma da 4949cc e soli 220 CV, che rispettava i sempre più stringenti limiti antinquinamento.
Ma la bella GT non era esente da problemi quali la difficoltà di accesso e la scarsa abitabilità e per l’effetto serra che si sviluppava all’interno dell’abitacolo in presenza di sole, causa l’ampio parabrezza, il che imponeva l’adozione del condizionatore, soluzione in contrasto con la voluta spartanità della vettura.
Inoltre il pesante motore Ford comportava una non ottimale distribuzione dei pesi con un 32% all’anteriore ed il restante 68% sul posteriore che rendevano la guida problematica e adatta solo a guidatori esperti con l’anteriore che tendeva ad alleggerirsi alle alte velocità, risultando peraltro quasi incontrollabile sul bagnato.
La Mangusta, presentata al Salone di Torino del 1967, venne costruita dal 1967 al 1971 in 401 esemplari, di cui circa 150 della versione europea, il resto per la versione nordamericana; si stima che oggi ne siano rimaste in circolazione circa 250.
Le avversarie che era chiamata a contrastare erano, oltre alla già citata Lamborghini Miura, la Ferrari Daytona, la Maserati Ghibli e la Iso Grifo, le ultime 3 tutte con motore anteriore e trazione posteriore.
La Mangusta venne sostituita dalla più economica De Tomaso Pantera nel 1971, disegnata da Tom Tjaarda per un telaio monoscocca.