Probabilmente sono pochi coloro che ricordano la figura quasi leggendaria di Peter Collins, pilota inglese di Formula 1 nato a Kidderminster il 6 novembre del 1931, morto in un incidente di gara il 3 agosto del 1958.
Eppure è stato uno di quei personaggi del circus della Formula 1 che, a prescindere dai risultati nelle competizioni, difficilmente si dimenticano per aver dimostrato passione, sportività e generosità; vinse infatti 3 soli Gran Premi ed il destino gli impedì di raggiungere il traguardo iridato che sicuramente avrebbe meritato: sarebbe potuto diventare il primo pilota inglese Campione del Mondo di Formula 1, onore che poi spettò al compagno di squadra e amico Mike Hawthorn.
Peter Collins è infatti ricordato tuttora non solo come uno dei piloti meritevoli del titolo, ma anche come il più generoso e, purtroppo, anche come uno dei più sfortunati: la sua carriera e la sua stessa vita si interromperanno nell’impatto con un albero sul circuito del Nurburgring, durante lo svolgimento del del Gran Premio di Germania del 1958.
Capelli biondi, un sorriso da attore cinematografico, il proverbiale fair play tipicamente inglese, la sua indole al contempo mite e solare e, non ultimo, il suo stile di guida pulito e redditizio fecero di lui un personaggio amato da tutti: dagli avversari per la sua sportività, dalla sua squadra per il modo di fare sempre molto gentile e soprattutto dalle donne. Nel 1957 lui e il connazionale Mike Hawthorn, “il pilota col farfallino” (in gara indossava un giubbino verde inglese, camicia e cravatta a farfalla), nel team Ferrari hanno formato la coppia di piloti più elegante che la Formula 1 ricordi.
L’episodio che fa di Collins un gigante di lealtà alla squadra e di generosità nei confronti di un compagno di squadra risale al Gran Premio d’Italia del 1956: è l’ultima gara della stagione, Fangio ha otto punti di vantaggio; per arrivare al titolo Collins deve vincere e sperare che Fangio arrivi quinto o peggio. I tifosi italiani sono pronti a festeggiare perché il campione del mondo 1956 sarà sicuramente un pilota Ferrari; resta solo da stabilire chi, tra il già plurititolato Juan Manuel Fangio o il giovane Peter Collins che nell’anno del debutto in un top team è stato capace contendere la corsa al titolo al pilota più forte del momento. L’andamento della gara è favorevole a Collins visto che Fangio è costretto al ritiro per un problema meccanico. In testa alla gara c’è Stirling Moss ma Collins è in gran rimonta ed è il più veloce in pista.
Ma, quando il titolo è veramente a portata di mano, Collins si rende interprete di un gesto più unico che raro di lealtà e generosità che riserverà al giovane inglese un ricordo perenne nella storia della Formula1 (un episodio analogo, che avrà come scenario ancora una volta il circuito di Monza, verrà rivissuto nel 1979 quando Villeneuve, non ancora escluso matematicamente dalla corsa al titolo, scorterà il compagno Scheckter fino alla vittoria e alla conquista del titolo). Accadde che quando Fangio fu costretto al ritiro, Collins, nonostante avesse la concreta chance di conquistare il titolo, decise (non si sa bene se per sua autonoma scelta perché non voleva vincere così, con l’avversario fermo per problemi tecnici, o perché “invitato” da Ferrari in persona) di fermarsi ai box tra lo stupore del pubblico e cedere la sua monoposto a Fangio (all’epoca il regolamento lo consentiva) che concluse la gara al secondo posto conquistando così il suo quarto titolo iridato.
Questo gesto di sportività venne minimizzato dallo stesso pilota inglese, che affermò di avere ancora molte chance di vincere un titolo iridato essendo di vent’anni più giovane del campione argentino. Effettivamente Fangio aveva ben 45 anni, contro i soli 25 di Collins, che, sebbene fosse giovane, dimostrò una grande maturità e un ferreo spirito di squadra.
Collins mise in atto quel gesto, un gesto cavalleresco davvero d’altri tempi, con una naturalezza sconcertante, convinto com’era di avere tutta una vita davanti a sé; in questo sport tale gesto di sportività non si era mai visto e non si vedrà mai più. Un gesto che, nello spietato mondo della F1, rimarrà nella storia.
Peter Collins morirà due anni dopo in seguito ad un incidente sul circuito del Nürburgring: la sua monoposto, una Ferrari 246, uscì di strada alla curva Pflanzgarten, finendo in un fosso capottandosi più volte, ed egli finì contro un albero, subendo la frattura del cranio. Spirò durante il tragitto verso l’ospedale di Bonn.
Quell’anno, il pilota britannico avrebbe potuto finalmente coronare il suo sogno di conquistare il titolo iridato andato invece al compagno di squadra Mike Hawthorn.
Peter Collins era nato per la Formula 1. Sin da piccolo aveva manifestato la passione per i motori; iniziò a gareggiare a soli 17 anni impressionando gli addetti ai lavori per le sue innate capacità di pilotaggio e guadagnandosi perciò le attenzioni di tutto l’ambiente delle corse automobilistiche.
Ma in un’epoca in cui è difficile che un pilota possa raggiungere la maturità agonistica prima dei trent’anni, nessun top team è disposto ad affidargli la guida di una propria monoposto perciò Collins è costretto a fare esperienza con vetture scarsamente competitive. Nel 1952 l’inglese fa il suo esordio in Formula 1, a soli 21 anni, al volante della HWM, passando poi alla Vanwall e facendo 2 apparizioni con la Maserati alla fine del 1955.
Ma non si fece mancare qualche risultato di prestigio con le ruote coperte: nel 1955 vinse la Targa Florio in coppia con Stirling Moss alla guida della Mercedes 300 SLR e finì secondo alla 24 Ore di Le Mans (quella del grave incidente di Levegh che causò la morte di circa 80 spettatori) in coppia con Paul Frère con la Aston Martin DB3S.
La guida pulita e redditizia di Collins impressionò Enzo Ferrari che lo ingaggiò per il 1956 e l’inglese non lo deluse; ci vollero solo poche gare per capire che ancora una volta Ferrari aveva visto giusto portando un vero campione alla corte di Maranello. Già alla seconda gara Collins conquistò il podio con un ottimo secondo posto a Montecarlo seguito dalle due vittorie in Francia e in Belgio. L’inglese in poco tempo è diventato l’astro nascente della Formula 1. Non è un caso che Enzo Ferrari si sia affezionato a lui come a pochissimi altri piloti, anche per le sue doti umane.
Il 2 dicembre 1956 la Ferrari presenta la sua squadra per la stagione 1957. I piloti sono cinque giovani talentuosi e di bell’aspetto; dai loro occhi traspare tutta la voglia di sfide e di vittorie. Rappresentano una nuova generazione di piloti che va a sostituire quella dei Fangio, degli Ascari e dei Farina. Sono destinati a cambiare il volto della Formula 1; la stampa li battezza «Ferrari Primavera». Ma il destino deciderà diversamente: nell’arco di due anni saranno tutti morti.
Si chiamavano: Eugenio Castellotti (Lodi, 10 ottobre 1930 – Modena, 14 marzo 1957), Mike Hawthorn (Mexborough, 10 aprile 1929 – Guildford, 22 gennaio 1959); Luigi Musso (Roma, 28 luglio 1924 – Reims, 6 luglio 1958), Alfonso de Portago, (Londra, 11 ottobre 1928 – Guidizzolo, 12 maggio 1957) e, naturalmente, Peter Collins.
In quell’anno la Ferrari non risultò competitiva, tuttavia Collins segnò alcune vittorie in quella stagione, il Gran Premio di Siracusa e il Gran Premio di Napoli.
Nel 1958 avendo a disposizione una Ferrari competitiva, la 246, Hawthorn e Collins sanno di poter puntare al titolo. Nel team non c’era una prima guida designata e nacque un’intensa rivalità sportiva, in particolare tra i due inglesi e l’italiano Musso; Fiamma Breschi, la fidanzata di Musso, molti anni dopo la morte di Peter Collins rivelò che i due inglesi si erano coalizzati per ostacolare la corsa al titolo del pilota italiano.
Ma nel frattempo qualcosa si è rotto tra il pilota inglese ed Enzo Ferrari. I due hanno frequenti scontri: Ferrari criticava pesantemente le scelte amorose e la vita mondana di Collins che si era invaghito dell’attrice americana Louise King tanto da sposarla in breve tempo; secondo il Drake questa situazione influenzava i risultati del pilota inglese, che difatti iniziò malissimo un’annata in cui aveva la monoposto che lo avrebbe potuto mettere in grado di lottare per il titolo.
Col tempo i rapporti con Ferrari migliorarono e Collins ritornò il pilota di sempre, vincendo a Silverstone. A questo punto l’inglese, nonostante abbia vinto una sola gara, ha ancora qualche speranza di rientrare nella corsa iridata ma non può più sbagliare. La gara successiva si corre al Nurburgring, sulla pista più pericolosa al mondo, “l’Inferno Verde”, un circuito che spesso ha richiesto un triste tributo di sangue. E su questa pista Collins andrà incontro al suo atroce destino.
Il titolo iridato andò all’amico/rivale Hawthorn.
La tragica morte di Peter Collins segnò l’apice di un periodo veramente tragico della Ferrari che in poco più di un anno aveva già perso tre dei suoi giovani e promettenti piloti come Castellotti, De Portago e Musso. Fu proprio per quelle morti che l’Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano, definì Enzo Ferrari un “Saturno che divora i propri figli” ritenendo che li mettesse spietatamente in competizione tra di loro.
La scomparsa di Colllins scosse talmente Mike Hawthorn, suo compagno di squadra nonché fraterno amico, da indurlo a chiudere la carriera alla fine dell’anno. Ma qualunque decisione venga presa dall’uomo è impotente contro il disegno del destino: Hawthorn morirà in un incidente stradale pochi mesi dopo.