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Campioni senza corona: Peter Collins, il pilota gentiluomo
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Campioni senza corona: Peter Collins, il pilota gentiluomo

Novembre 29th, 2019 Fabio Avossa Piloti, storie e glorie

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Probabilmente sono pochi coloro che ricordano la figura quasi leggendaria di Peter Collins, pilota inglese di Formula 1 nato a  Kidderminster il 6 novembre del 1931, morto in un incidente di gara il 3 agosto del 1958.

Eppure è stato uno di quei personaggi del circus della Formula 1 che, a prescindere dai risultati nelle competizioni, difficilmente si dimenticano per aver dimostrato passione, sportività e generosità; vinse infatti 3 soli Gran Premi ed il destino gli impedì di raggiungere il traguardo iridato che sicuramente avrebbe meritato: sarebbe potuto diventare il primo pilota inglese Campione del Mondo di Formula 1, onore che poi spettò al compagno di  squadra e amico Mike Hawthorn.

Peter Collins è infatti ricordato tuttora non solo come uno dei piloti meritevoli del titolo, ma anche come il più generoso e, purtroppo, anche come uno dei più sfortunati: la sua carriera e la sua stessa vita si interromperanno nell’impatto con un albero sul circuito del Nurburgring, durante lo svolgimento del del Gran Premio di Germania del 1958.

Capelli  biondi, un sorriso da attore cinematografico, il proverbiale fair play tipicamente inglese, la sua indole al contempo mite e solare e, non ultimo, il suo stile di guida pulito e redditizio fecero di lui un personaggio amato da tutti: dagli avversari per la sua sportività, dalla sua squadra per il modo di fare sempre molto gentile e soprattutto dalle donne. Nel 1957 lui e il connazionale Mike Hawthorn, “il pilota col farfallino” (in gara indossava un giubbino verde inglese, camicia e cravatta a farfalla), nel team Ferrari  hanno formato la coppia di piloti più elegante che la Formula 1 ricordi.

L’episodio che fa di Collins un gigante di lealtà alla squadra e di generosità nei confronti di un compagno di squadra risale al Gran Pre­mio d’I­ta­lia del 1956: è l’ul­ti­ma gara del­la sta­gio­ne, Fan­gio ha otto pun­ti di van­tag­gio; per arrivare al titolo Col­lins deve vin­ce­re e spe­ra­re che Fan­gio ar­ri­vi quin­to o peggio. I ti­fo­si ita­lia­ni sono pron­ti a fe­steg­gia­re perché il cam­pio­ne del mon­do 1956 sarà sicuramente un pi­lo­ta Fer­ra­ri; re­sta solo da stabilire chi, tra il già plu­ri­ti­to­la­to Juan Ma­nuel Fan­gio o il gio­va­ne Pe­ter Col­lins che nell’anno del debutto in un top team è sta­to ca­pa­ce contendere la corsa al titolo al pi­lo­ta più for­te del momento. L’andamento della gara è favorevole a Collins vi­sto che Fan­gio è co­stret­to al ri­ti­ro per un pro­ble­ma meccanico. In te­sta alla gara c’è Stir­ling Moss ma Col­lins è in gran ri­mon­ta ed è il più veloce in pi­sta.

Ma, quan­do il ti­to­lo è ve­ra­men­te a por­ta­ta di mano, Collins si rende interprete di un gesto più unico che raro di lealtà e generosità che riserverà al giovane inglese un ricordo perenne nella storia della Formula1 (un episodio analogo, che avrà come scenario ancora una volta il circuito di Monza, verrà rivissuto nel 1979 quando Villeneuve, non ancora escluso matematicamente dalla corsa al titolo, scorterà il compagno Scheckter fino alla vittoria e alla conquista del titolo). Accadde che quando Fangio fu costretto al ritiro, Collins, nonostante avesse la concreta chance di conquistare il titolo,  decise (non si sa bene se per sua autonoma scelta perché non voleva vin­ce­re così, con l’avversario fermo per pro­ble­mi tec­ni­ci, o perché “invitato” da Ferrari in persona) di fermarsi ai box tra lo stupore del pubblico e cedere la sua monoposto a Fangio (all’epoca il regolamento lo consentiva) che concluse la gara al secondo posto conquistando così il suo quarto titolo iridato.

Questo gesto di sportività venne minimizzato dallo stesso pilota inglese, che affermò di avere ancora molte chance di vincere un titolo iridato essendo di vent’anni più giovane del campione argentino. Effettivamente Fangio aveva ben 45 anni, contro i soli 25 di Collins, che, sebbene fosse giovane, dimostrò una grande maturità e un ferreo spirito di squadra.

Collins mise in atto quel gesto, un gesto cavalleresco davvero d’altri tempi,  con una naturalezza sconcertante, convinto com’era di avere tutta una vita davanti a sé; in que­sto sport tale ge­sto di spor­ti­vi­tà non si era mai vi­sto e non si ve­drà mai più. Un gesto che, nello spietato mondo della F1, rimarrà nella storia.

Peter Collins morirà due anni dopo in seguito ad un incidente sul circuito del Nürburgring: la sua monoposto, una Ferrari 246, uscì di strada alla curva Pflanzgarten, finendo in un fosso capottandosi più volte, ed egli finì contro un albero, subendo la frattura del cranio. Spirò durante il tragitto verso l’ospedale di Bonn.

Quell’anno, il pilota britannico avrebbe potuto finalmente coronare il suo sogno di conquistare il titolo iridato andato invece al compagno di squadra Mike Hawthorn.

Pe­ter Col­lins era nato per la For­mu­la 1. Sin da pic­co­lo aveva manifestato la pas­sio­ne per i mo­to­ri; ini­ziò a gareggiare  a soli 17 anni  im­pres­sio­nando gli addetti ai lavori per le sue innate capacità di pilotaggio e gua­da­gnandosi perciò le at­ten­zio­ni di tutto l’ambiente delle corse automobilistiche.

Ma in un’epoca in cui è difficile che un pi­lo­ta possa rag­giun­gere la ma­tu­ri­tà ago­ni­sti­ca pri­ma dei tren­t’an­ni, nes­sun top team è disposto ad af­fi­da­rgli la guida di una propria monoposto perciò Col­lins è co­stret­to a fare espe­rien­za con vet­tu­re scarsamente com­pe­ti­ti­ve. Nel 1952 l’in­gle­se fa il suo esor­dio in For­mu­la 1, a soli 21 anni, al volante della HWM, passando poi alla Vanwall e  facendo 2 apparizioni con la Maserati alla fine del 1955.

Ma non si fece mancare qualche risultato di prestigio con le ruote coperte: nel 1955 vinse la Targa Florio in coppia con Stirling Moss alla guida della Mercedes 300 SLR e finì secondo alla 24 Ore di Le Mans (quella del grave incidente di Levegh che causò la morte di circa 80 spettatori) in coppia con Paul Frère con la Aston Martin DB3S.

La guida pulita e redditizia di Col­lins im­pres­sio­nò Enzo Fer­ra­ri che lo ingaggiò per il 1956 e l’inglese non lo deluse; ci vollero solo po­che gare per ca­pi­re che an­co­ra una vol­ta Fer­ra­ri aveva visto giusto portando un vero campione alla corte di Maranello. Già alla se­con­da gara Collins conquistò il po­dio  con un ot­ti­mo se­con­do po­sto a Mon­te­car­lo seguito dalle due vittorie in Francia e in Belgio. L’in­gle­se in poco tem­po è di­ven­ta­to l’a­stro na­scen­te del­la For­mu­la 1. Non è un caso che Enzo Ferrari si sia affezionato a lui come a pochissimi altri piloti, anche per le sue doti umane.

Il 2 dicembre 1956 la Ferrari presenta la sua squadra per la stagione 1957. I piloti sono cinque giovani talentuosi e di bell’aspetto; dai loro occhi  traspare tutta la voglia di sfide e di vittorie. Rappresentano una nuova generazione di piloti che va a sostituire quella dei Fangio, degli Ascari e dei Farina. Sono destinati  a cambiare il volto della Formula 1; la stampa li battezza «Ferrari Primavera». Ma il destino deciderà diversamente: nell’arco di due anni saranno tutti morti.

Si chiamavano: Eugenio Castellotti (Lodi, 10 ottobre 1930 – Modena, 14 marzo 1957), Mike Hawthorn (Mexborough, 10 aprile 1929 – Guildford, 22 gennaio 1959); Luigi Musso (Roma, 28 luglio 1924 – Reims, 6 luglio 1958), Alfonso de Portago, (Londra, 11 ottobre 1928 – Guidizzolo, 12 maggio 1957) e, naturalmente, Peter Collins.

In quell’anno la Fer­ra­ri non risultò com­pe­ti­ti­va, tuttavia Collins segnò alcune vittorie in quella stagione, il Gran Premio di Siracusa e il Gran Premio di Napoli.

Nel 1958 avendo a disposizione una Ferrari competitiva, la 246, Hawthorn e Collins sanno di poter puntare al titolo. Nel team non c’era una prima guida designata e nacque un’intensa rivalità sportiva, in particolare tra i due inglesi e l’italiano Musso; Fiamma Breschi, la fidanzata di Musso, molti anni dopo la morte di Peter Collins rivelò che i due inglesi si erano coalizzati per ostacolare la corsa al titolo del pilota italiano.

Ma nel frattempo qual­co­sa si è rot­to tra il pi­lo­ta in­gle­se ed Enzo Fer­ra­ri. I due hanno frequenti scontri: Ferrari criticava pesantemente le scelte amorose e la vita mondana di Collins che si era invaghito dell’attrice americana Louise King tanto da sposarla in breve tempo; secondo il Drake questa situazione in­fluen­zava i ri­sul­ta­ti del pi­lo­ta in­gle­se, che difatti ini­ziò ma­lis­si­mo un’an­na­ta in cui aveva la monoposto che lo avrebbe potuto mettere in grado di lot­ta­re per il ti­to­lo.

Col tempo i rap­por­ti con Fer­ra­ri mi­glio­raro­no e Col­lins ritor­nò il pi­lo­ta di sem­pre, vin­cen­do a Silverstone. A questo punto l’in­gle­se, no­no­stan­te ab­bia vin­to una sola gara, ha an­co­ra qual­che spe­ran­za di rien­tra­re nel­la cor­sa iri­da­ta ma non può più sba­glia­re. La gara suc­ces­si­va si cor­re al Nur­bur­gring, sul­la pi­sta più pe­ri­co­lo­sa al mon­do, “l’In­fer­no Ver­de”, un cir­cui­to che spesso ha ri­chie­sto un tri­ste tri­bu­to di san­gue. E su que­sta pi­sta Col­lins andrà in­con­tro al suo atro­ce destino.

Il titolo iridato andò all’amico/rivale Hawthorn.

La tragica morte di Peter Collins segnò l’apice di un periodo veramente tragico della Ferrari che in poco più di un anno aveva già perso tre dei suoi giovani e promettenti piloti come Castellotti, De Portago e Musso. Fu proprio per quelle morti che l’Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano, definì Enzo Ferrari un “Saturno che divora i propri figli” ritenendo che li mettesse spietatamente in competizione tra di loro.

La scomparsa di Colllins scosse talmente Mike Hawthorn, suo compagno di squadra nonché fraterno amico, da indurlo a chiudere la carriera alla fine dell’anno. Ma qualunque decisione venga presa dall’uomo è impotente contro il disegno del destino: Hawthorn morirà in un incidente stradale pochi mesi dopo.

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Fabio Avossa

Napoletano, perito metalmeccanico, pensionato, vive a Napoli. Appassionato di motori a 2 e 4 ruote in tutti i risvolti ma con particolare interesse per la storia delle corse. Motociclista da circa 60 anni, tifa Ducati e Ferrari (made in Italy), oggi sul suo profilo Facebook si diletta a parlare di moto e auto con particolare attenzione alle vicende del Motomondiale e della Superbike.

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