La Marcos Mantis, di cui vi abbiamo fatto cenno nella storia della Marcos GT 1800, è stata declinata in più versioni che avevano in comune solo il nome, non avendo nessun “grado di parentela” tecnica tra di loro,
Mantis è il termine greco da cui deriva il nome della mantide, un insetto alquanto aggressivo, specialmente quello di genere femminile.
La Mantis XP
Questo nome è stato utilizzato per la prima volta quando la Marcos, nel 1967, decise di costruire un prototipo da competizione per la categoria FIA Gruppo 6 che battezzò appunto Mantis XP.
Poiché il regolamento ammetteva una cilindrata massima di 3000cc, stessa cilindrata prevista per la coeva Formula 1, per il propulsore inizialmente ci si orientò verso il BRM 12 cilindri ma il prezzo troppo elevato del motore inglese obbligò la Marcos a ripiegare sul Repco V8, un motore 2 valvole in testa basato sul monoblocco in alluminio del motore che equipaggiava la modesta Oldsmobile F85. D’altronde fu un felice ripiego perché il Repco aveva consentito alla Brabham di conquistare i titoli mondiali di Formula 1 nel biennio 1966/67. Abbinato ad un cambio a cinque marce Hewland DG300, il V8 di costruzione australiana erogava poco più di 300 cavalli.
La “parentela” con la Formula 1 non si fermava al propulsore perché per le sospensioni Marsh si rivolse a John Cooper che gli fornì i componenti delle sospensioni della Cooper T81 di Formula 1 del 1967.
La Mantis XP, progettata dal co-fondatore della Marcos Jim Marsh coadiuvato dai fratelli Dennis e Peter Adams e costruita in un unico esemplare, è stata l’unica vettura a motore posteriore/centrale costruita dalla Marcos.
Destinata a partecipare alla 24 ore di Le Mans del 1968, la Mantis XP aveva una carrozzeria in fibra di vetro a forma di cuneo, disegnata per massimizzare la velocità sul lungo rettilineo di Mulsanne. Ne risultava un frontale allungato e basso ed un’altezza da terra incredibilmente ridotta. L’abitacolo era completamente realizzato in Perspex, tanto da sembrare particolarmente spazioso nonostante fosse relativamente stretto, con il tetto dipinto di nero tranne un piccolo riquadro che consentiva di lanciare lo sguardo sullo specchio retrovisore montato all’esterno, sopra il tetto. L’abitacolo ricordava così la cabina di pilotaggio di un aereo.
Con queste caratteristiche, unitamente al frontale a punta di freccia rovesciata e alla coda tronca secondo le teorie del professor Kamm, la vettura appariva decisamente avveniristica.
In tutta questa modernità il telaio era costituito da una “tradizionale” – per la Marcos, ovviamente – monoscocca in compensato marino con telaietti anteriore e posteriore in tubo di acciaio e serbatoi del carburante contenuti nei pontoni laterali.
I 650 Kg dichiarati nel 1968, appariranno alquanto ottimistici quando la vettura, trasferita negli Stati Uniti, sui documenti di trasporto aereo ne dichiarerà 1285.
Abbiamo visto che originariamente la Mantis XP era destinata alla partecipazione alla 24 ore di Le Mans del 1968 ma, a causa dei disordini civili in corso durante quel periodo noti come il “Maggio francese”, la famosa gara di durata fu spostata dal tradizionale mese di giugno al successivo mese di settembre.
Venne perciò deciso di partecipare alla 1000 Km di Spa che si disputava nel mese di maggio dello stesso anno.
In Belgio la vettura si dimostrò sufficientemente competitiva all’esordio, ma dopo soli 13 giri fu costretta al ritiro quando l’abitacolo si inondò d’acqua a causa della pioggia torrenziale con conseguenti problemi elettrici che provocarono un principio d’incendio.
Quando, a settembre, si formò la griglia della 24 ore di Le Mans, la Mantis XP non c’era, si trovava già negli USA trasformata in versione stradale; quella di Spa rimarrà rimarrà pertanto l’unica gara cui abbia partecipato.
Tale decisione fu presa sia per le scarse finanze di cui disponeva la Marcos che non le consentivano un adeguato sviluppo della vettura che per motivi tecnici.
La Mantis XP, infatti, con le sue linee tese e spigolose finalizzate allo sviluppo delle massime velocità era ormai fuori dagli standard dell’epoca richiesti dal proliferare di nuove curve e varianti che tendevano a spezzare i lunghi rettilinei dei più tradizionali circuiti europei; rispetto alle potenziali avversarie – Ferrari, Ford, Porsche – somigliava più al progetto di un designer con un occhio rivolto al futuro.
Perciò, al ritorno da Spa, Marsh sostituì il motore Repco con un Buick V8 per utilizzarla come auto personale ma l’ufficio britannico delle tasse, attribuendo un enorme valore all’auto, gli impose una esorbitante imposta d’acquisto per poterla immatricolare.
L’unico modo per evitare di pagare quella esosa tassa era quello di esportare la vettura, pertanto Marsh decise di soddisfare una richiesta d’acquisto che gli era pervenuta dagli Stati Uniti dove è ancora utilizzata come vettura stradale.
La Mantis M70
La successiva Mantis, la coupè 4 posti stradale M70, nacque nel 1968 ma la produzione stentò ad avviarsi e ne fu annunciata ufficialmente la vendita in Inghilterra solo nell’ottobre del 1970.
Il motore era il 2.5 ad iniezione della Triumph TR6, un sei cilindri in linea da 152 CV, abbinato ad un cambio manuale a quattro marce che consentiva una velocità massima di 190 km/h; alcuni esemplari sono stati poi convertiti per utilizzare il Rover V8.
La Mantis, progettata pensando al mercato americano, aveva un design sconcertante con poca armonia tra i diversi settori della carrozzeria, tanto che da molti viene considerata come l’auto più brutta di sempre. Dennis Adams, spesso accusato di aver disegnato la sgraziata linea della M70, era sicuramente responsabile degli interni, ma lasciò la Marcos prima che il design della carrozzeria fosse definito.
Fu prodotta in soli 32 esemplari, alcune fonti ne indicano 43, comunque numeri ridottissimi rispetto alle aspettative del costruttore.
Inoltre era particolarmente costosa, il che la rendeva ancor più inaccettabile se confrontata con l’auto da cui ereditava il motore, la Triumph TR6 che sembrava migliore, costava meno e aveva prestazioni simili.
Forse proprio per questa scarsa richiesta del mercato nel 1971 alcuni dei motori Triumph inizialmente ad essa destinati, furono montati su poche unità della GT 1800 sulle quali si dovette modificare il cofano anteriore a causa dei maggiori ingombri del motore inglese rispetto al Volvo originale.
Il corpo vettura della M70, un lussuoso 2 + 2, era realizzato in fibra di vetro montato su un telaio in tubi a sezione quadrata; per la prima volta la Marcos offriva l’opportunità di due piccoli sedili posteriori; ne risultava un’auto bassa (1,17m) e lunga (4,72 m) con un baricentro basso che favoriva la maneggevolezza e la tenuta di strada. A quei tempi era uno dei coupé più bassi disponibili sul mercato inglese.
La brochure promozionale affermava che lo stile “offre un’elevata visibilità a tutto tondo” e “un baricentro basso”.
Molto più convenzionale il design degli interni, forse l’aspetto più attraente dell’auto, con il cruscotto vagamente ispirato a quello della Ford Mustang di cui la Marcos utilizzava i motori su alcuni modelli della sua produzione.
Purtroppo l’auto accusò anche una scarsa affidabilità.
Tra i punti di forza della Mantis M70 ricordiamo l’abitacolo spazioso, costruito con cura e, a differenza della carrozzeria, esteticamente gradevole, il buon comportamento stradale, l’ottima visibilità e un ampio bagagliaio.
La Mantis M70 è riapparsa brevemente nel 1987 prodotta in kit dalla Mirage Autotune che ne aveva acquistato i diritti di produzione e gli stampi, ma anche in questa seconda vita non ebbe successo tanto più che in questa versione venne adottata la più economica ed affidabile meccanica a 4 cilindri della Ford Cortina.
La Mantis del 1997, il canto del cigno della splendida linea della GT
Un terzo modello con la denominazione Mantis venne realizzato nel 1997 come una variante con motore Ford V8 della Mantara (quindi esteticamente ispirata alla primigenia GT 1800) realizzata nella doppia versione coupé e decapottabile.
Il motore era un Ford Modular da 4.600cc (montato sulla Mustang) interamente in alluminio da 327 CV che consentiva alla vettura di toccare i 270 km/h e un’ottima accelerazione da fermo.
Per ospitare il nuovo motore il cofano riprendeva le forme di quello della LM500 e vennero modificati anche i supporti nel vano motore.
La rivista specializzata Autocar ebbe parole di lode per la qualità costruttiva della nuova vettura della Marcos mostrando meraviglia per come un costruttore artigianale con numeri di produzione così bassi si potesse spingere a tali livelli di qualità, ritenendola assolutamente all’altezza della diretta concorrente TVR Griffith.
Nel 1998 fu deciso di aumentarne la potenza mediante l’adozione un compressore Vortech e di un intercooler; nasceva così la Mantis GT, che con i suoi 507 CV era una delle poche auto sportive di produzione britannica con oltre 500 CV che consentiva alla GT estrema della Marcos di accelerare da 0 a 100 km/h in 3,7 secondi e di raggiungere una velocità massima di circa 290 Km/h.
La prima Mantis GT fu venduta in Italia da Martes Spider Cars.
Con quest’ultima versione, allestita anche in versione Challenge, ormai lontana parente dell’originaria GT 1800, la Marcos entrava decisamente nel campo delle supercar.
Le recensioni della stampa inglese, forse di parte, furono entusiastiche
Nel 2002 infine entrava nel listino Marcos la TS 250, versione ristilizzata ed economica della Mantis, spinta da un più modesto V6 di 2,5 litri Ford.