In questo “amarcord” ripercorriamo la breve vita agonistica di una Alfa Romeo di cui forse pochissimi conoscevano l’esistenza.
Nei primi decenni del dopoguerra erano in voga le gare per vetture della categoria Turismo. Già dai primi anni l’Alfa Romeo, con le 1900 TI e Super prima e con la Giulietta TI poi, dominava questa categoria tanto che coniò il celebre slogan delle “vetture per famiglia che vincono le corse”.
Riscontrato il notevole interesse di pubblico e costruttori per questa tipologia di competizioni, nel 1963 venne istituito il Campionato Europeo Turismo che vide la partecipazione di una grande varietà di vetture nelle varie classi, dalle piccole FIAT 600 e Mini Minor alle più grandi Chevrolet Camaro, Jaguar Mark II, Mercedes 300SE.
L’Alfa Romeo non si fece trovare impreparata approntando una versione sportiva della Giulia Ti, la Ti super meglio nota come “Quadrifoglio”, ma sia per iniziali difficoltà di omologazione che per l’avvento di vetture più specialistiche come la Ford Cortina Lotus, che in qualche occasione fu portata in pista addirittura dal Campione del Mondo Jim Clark, l’Alfa fu costretta a pensare di mettere in campo un’auto più competitiva.
Nasceva così nel 1965 la Giulia GTA, dove A sta per alleggerita, derivata dalla Giulia GT, un elegante coupé 4 posti disegnato da Bertone. La significativa riduzione di peso, circa 200 Kg, venne ottenuta mediante l’adozione di pannelli della carrozzeria in Peraluman 25 (una lega di rame, magnesio, alluminio, zinco e manganese) dello spessore di 1,2 mm; il motore, di derivazione Giulia, venne modificato con l’adozione della doppia accensione.
Partendo dalla base della GTA, nel 1967, fu sviluppata una versione sovralimentata della GTA.
Il progetto era nato già nei primi anni ’60, ma ebbe la spinta definitiva alla fine del 1966 quando la CSI (Commissione Sportiva Internazionale) istituì, a partire dal 1968, il Gruppo 5 della categoria Turismo che consentiva grande libertà di elaborazione in fatto di alimentazione, di testate, sospensioni e carrozzerie.
Lo sviluppo della nuova Alfa da competizione fu affidato all’ing. Carlo Chiti, all’epoca numero uno dell’Autodelta, emanazione sportiva dell’Alfa Romeo. In realtà pare che la paternità del progetto fosse del ingegnere Gianpaolo Garcea mentre Chiti era alquanto scettico ma accettò ugualmente l’incarico. Già durante l’inverno del 1966 veniva notata in pista a Balocco una “strana” GTA affidata alle cure del collaudatore storico Teodoro Zeccoli.
Nel marzo 1967, alla Mostra delle vetture da competizione, tenutasi nel Museo Biscaretti di Torino, l’Alfa Romeo presentava la Giulia “GTA/SA” (SovrAlimentata). Una settimana dopo la vettura venne esposta anche al Salone di Ginevra.
La modifica principale rispetto alla GTA di partenza era ovviamente l’impianto di sovralimentazione costituito da due compressori centrifughi in parallelo che, contrariamente ai classici turbocompressori mossi dai gas di scarico, erano azionati da due piccole turbine idrauliche di piccolo diametro (7 cm) ruotanti ad oltre 90 000 giri al minuto a loro volta azionate dalla pressione dell’olio fornito da un circuito indipendente dal circuito di lubrificazione del motore; il circuito veniva messo in pressione da una pompa assiale trascinata dall’albero motore a mezzo di una catena. La trasmissione a catena consentiva di cambiare facilmente il rapporto di trasmissione e pertanto l’effetto del compressore poteva essere facilmente regolato in funzione del tipo di percorso e della durata di gara.
In pratica si cercava di mettere assieme i vantaggi dei compressori centrifughi con quelli dei compressori volumetrici.
Per alloggiare la catena ed il relativo ingranaggio di azionamento era stato necessario modificare il carter.
I due compressori posizionati ai lati del gruppo carburatori alimentavano i due Weber doppio corpo 45 DCOE tramite un cassoncino di alluminio a chiusura stagna (che oggi chiameremmo air box) nel quale veniva convogliata l’aria compressa a 0,6-0,7 bar.
Altro elemento innovativo, si diceva da un’idea dell’ing. Garcea, era rappresentato dall’iniezione di acqua nelle camere di scoppio per evitare la detonazione, un’idea che verrà ripresa anni dopo dalla Ferrari.
Ovviamente, come sempre nei motori sovralimentati, vennero adottati pistoni specifici che abbassavano il rapporto di compressione geometrico mentre la testata rimaneva la classica “doppia accensione” della GTA.
Non vi sono notizie certe sulle misure caratteristiche del motore, o meglio da quale unità derivasse, se dal 1300 o dal 1600 o addirittura da un motore sperimentale sviluppato per la Formula 2 dal quale sarebbero state trapiantate tutte le componenti meccaniche specifiche o quantomeno le misure di alesaggio e corsa pari a 86 x 68,5 mm contro le classiche 78 x 82 mm.
Alcune fonti riferivano di un motore superquadro di origine 1600 la cui cilindrata, di 1570cc, era ottenuta aumentando l’alesaggio ad 82mm e riducendo la corsa a 75 mm utilizzando l’albero motore e altre componenti del motore 1300. Altre fonti invece sostenevano la tesi di un 1570cc ottenuto da un “classico” rapporto corsa alesaggio pari a 78×82 mm.
La potenza veniva dichiarata in 220-230 CV a 7.500 giri/minuto; la velocità massima di oltre 230 km/h.
Ovviamente telaio, sospensioni e freni furono adeguati alle maggiori prestazioni rispetto alla GTA ad alimentazione atmosferica. I parafanghi posteriori furono allargati per accogliere pneumatici di maggiore sezione; alla bilancia la SA accusava un peso di 780Kg, 80 Kg in più della GTA. Il consumo, esagerato, era di circa 3 Km/litro.
All’interno, oltre ai normali strumenti era presente un manometro per il controllo della pressione di sovralimentazione.
Dall’esterno, nulla, neanche una sigla tradiva la differenza dalle altre GTA se non i parafanghi posteriori allargati e, in qualche occasione, la mancanza del classico scudetto anteriore.
Quando, nel 1968, fu omologata nella categoria Turismo Speciale, fu inserita nella classe oltre 2000 in funzione del coefficiente 1,4 per vetture sovralimentate (1600 cc x 1,4 = 2240cc equivalenti). Le avversarie più agguerrite erano le Porsche 911R e le BMW2002 Ti, meno potenti ma più guidabili.
La vettura gareggiò con alterni risultati dal 1967 al 1970; la prima gara in assoluto fu la 51° Targa Florio dove fu condotta in gara, nella categoria prototipi oltre 2000 cc, da Alessandro Federico e Giancarlo Barba e ottenne la sua prima vittoria nel 1967 vincendo la gara di endurance da 100 miglia di Hockenheim condotta dal pilota tedesco Siegfried Dau.
I piloti più noti che la portarono in gara furono Baghetti, Christine Beckers, Lucien Bianchi, Bussinello, Casoni, Demoulin, Nanni Galli, Pinto, Schutz, Slotemaker, Vaccarella, Weber, Zeccoli.
Purtroppo a consuntivo i risultati non furono pari a quelli della sorella aspirata; la causa principale è sicuramente da imputare alla brutalità di erogazione del motore che ne faceva una vettura difficilissima da domare in accelerazione.
Comunque nel 1968 le “GTA/SA” si aggiudicarono una gara in Francia sul circuito di Monthlery presero parte alla 4h di Monza con i numeri di gara 50 e 51, oltre a numerose gare in salita in Francia e Belgio. Ultima apparizione certa di una GTA/SA in gara risale all’8 marzo 1970 quando, guidata da Christine Beckers, si piazzò seconda assoluta alla gara in salita di Condroz e solo qualche mese dopo, fu convertita in versione sperimentale con il motore 1300.
Durante gli ultimi due anni di vita (1969/70) quasi tutte le SA furono convertite in versione atmosferica; probabilmente solo quattro SA sono sopravvissute.
L’Auto Delta ha prodotto 10 GTA/SA, e qualche motore di ricambio, ma sfortunatamente le regole del campionato vennero cambiate richiedendo un minimo di 1000 vetture per ottenere l’omologazione, un numero improponibile per un’auto così particolare che difficilmente avrebbe trovato un posto sul mercato e pertanto il progetto fu abbandonato.
Sembra che nel 1968 Chiti abbia realizzato una seconda versione della SA (forse battezzata SA2) con motore a carter secco, un peso ridotto a 730 Kg; una stratosferica potenza di 315/325 CV a 7800 giri per una velocità massima stimata in 270 Km/h.
Inoltre su questo prototipo, che non ebbe alcun seguito, venne adottata la sospensione posteriore derivata dalla TZ e un’ala posteriore che veniva azionata da 2 cilindri idraulici oltre una predeterminata velocità.
La GTA/SA era una macchina imprevedibile, difficile da controllare in certe situazioni, delicata e fragile; lo stesso Zeccoli anni dopo la descriverà come “una tragedia, l’automobile sulla quale un pilota di oggi non avrebbe certamente messo il piede” criticandone il comportamento che descriveva come “imprevedibile botto di potenza che arrivava all’improvviso e senza preannuncio, e che rendeva la SA difficilmente governabile in curva o in situazioni di manovra”.
Nessuno dei piloti chiamati a portarla in gara ebbe mai apprezzamenti lusinghieri per quest’auto che purtroppo si rivelava piuttosto scorbutica a causa della brusca erogazione del motore, confermando le impressioni di Zeccoli.
In teoria, nelle intenzioni dei progettisti, la potenza doveva essere erogata in modo quasi lineare visto che i compressori erano collegati direttamente all’albero motore evitando così il “turbo lag” tipico dei turbocompressori; e invece, deludendo le aspettative dei tecnici, il salto di potenza si verificava solo a partire dai 3000 fino a 7500 giri/min. Al di sotto dei 3000 giri il motore era vuoto ma poi, superato quel regime, si rivelava una belva.
Un altro difetto legato alla presenza della sovralimentazione era la mancanza di freno motore in rilascio che obbligava i piloti a frenate alquanto energiche che mettevano a rischio la stabilità della vettura ed esponevano il sistema frenante a rischio di “fading”.
Un pregio della SA era sicuramente la coppia vigorosa che spingeva con incredibile energia i 780 kg della SA, in ogni rapporto permetteva accelerazioni fulminanti, ma anche questa caratteristica si rivelava a volte un difetto perché la brutale erogazione a volte causava lo slittamento del posteriore anche nelle marce lunghe.
Nel 1968 fu introdotta sulla GTA/SA una novità assoluta, l’accensione a transistor che sostituiva il classico distributore Marelli S119; purtroppo anche questa innovazione si rivelò un tallone d’Achille per la facilità con la quale si surriscaldava nei circuiti con velocità di percorrenza medio/basse mettendo fuori uso il motore.
Insomma la SA si dimostrò una vettura inaffidabile.
Altro problema non trascurabile era la voracità del motore che denunciava un consumo esagerato, circa 32 litri ogni 100 chilometri, che penalizzava la SA nelle gare di durata costringendola a soste frequenti.
In definitiva, pur riconoscendone il fascino, possiamo definirla un’auto da competizione mal riuscita, o forse mancante di adeguato sviluppo.