La storia di questa moto è alquanto singolare ed interessante perché, caso più unico che raro, non accade spesso che una moto ottenga la sua prima vittoria una quindicina di anni dopo il suo esordio.
Notoriamente gli inglesi sono stati sempre molto tradizionalisti anche in campo motoristico, direi con ottuso masochismo, tant’è che nei primi anni ’70 le pur eleganti moto inglesi erano spinte ancora da vetusti bicilindrici ad aste e bilancieri i cui progetti di base risalivano agli anni ’40 se non addirittura agli anni ’30.
Con l’avvento delle moderne moto giapponesi, ed in parte anche delle italiane, i gloriosi marchi inglesi incominciarono a perdere colpi sul mercato ma ancor di più nel campo delle gare di velocità per le derivate di serie.
Ovviamente, per quanti sforzi facessero e nonostante mantenessero una certa superiorità nel campo dei telai, gli ammodernamenti su progetti così datati portavano scarsi effetti sulla competitività delle moto inglesi.
La Norton Challenge (P86)
La Norton, pur beneficiando della ricca sponsorizzazione della John Player e delle sofisticate ed evolute ciclistiche sviluppate dal suo pilota/ingegnere Peter Williams, non era in grado di contrastare le più moderne avversarie con il bicilindrico della Commando giunto ormai al massimo possibile della evoluzione. Il divario di potenza era enorme, di almeno 20CV.
E allora, mentre le sorelle Triumph e BSA si limitavano ad aggiungere un cilindro mettendo in produzione rispettivamente la Trident e la Rocket3, la Norton, nel 1973 si affidò all’azienda che in quel periodo dettava legge nella tecnologia motoristica, in particolare in Formula1, la Cosworth, con il compito costruire un propulsore moderno che potesse servire come base sia per una nuova generazione di motori in sostituzione del non più sempreverde Commando che per una versione da competizione.
Concettualmente il progetto era semplice: Frank Perris, il direttore sportivo della John Player Norton, contattò Keith Duckworth proponendogli di realizzare un motore bicilindrico di 750 cc derivato da mezza bancata del DFV V8 di Formula1, mantenendo la stessa cilindrata unitaria (3000/4 = 750).
La progettazione del motore non fu così semplice come potrebbe sembrare perché la Norton impose molte specifiche di progetto:
- 65/75CV per la versione stradale e almeno 100 CV per la versione da competizione; dato che il DFV all’epoca erogava 400/450 CV questo sembrava un obiettivo ragionevole (400/4 = 100);
- manovelle a 360°, il che significava le solite tremende vibrazioni tipiche dei bicilindrici inglesi; questa condizione rese necessaria una coppia di alberi di bilanciamento e l’adozione di un massiccio volano che la Norton pretese di posizionare centralmente tra i perni di manovella, proprio come avevano sempre fatto quasi tutti i motoristi inglesi, il che precludeva la possibilità di un cuscinetto centrale, ulteriore fonte di vibrazioni;
- un intervallo di revisione di 50.000 miglia (circa 80.000 Km!) e soddisfare tutti i prevedibili standard di inquinamento senza dover ricorrere ad una riprogettazione importante;
- ed infine essere in grado di vincere le gare di Formula 750!
Inoltre, anche se le misure caratteristiche delle termiche rimanevano esattamente quelle del DFV, 86×64, raffreddamento a liquido, distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro, alla Cosworth non avevano l’esperienza per progettare completamente un motore per impiego motociclistico partendo da zero.
Perciò al tecnico Mike Hall, cui era stato affidato lo sviluppo del progetto, si decise di affiancare alcuni tecnici della gestione sportiva della Norton per dare un’impronta specificamente motociclistica al progetto.
Purtroppo, a causa delle difficoltà finanziarie della Norton questo apporto venne a mancare (ed in seguito ne comprenderemo le conseguenze negative) ma comunque il progetto arrivò alla fine.
Anche i pistoni e le bielle erano quelli del DFV; in pratica, tutta la parte al di sopra dell’albero motore era costituita da componenti di Formula 1; faceva eccezione il comando della distribuzione a cinghia e non ad ingranaggi, sistema scartato perché troppo rumoroso ed esigente in materia di lubrificazione.
Il risultato finale era un motore certamente migliore del vecchio bicilindrico ma molto indietro rispetto alle aspettative. Con alimentazione a due carburatori fece registrare circa 90 CV al banco, non esattamente quello che si aspettavano.
D’altronde il risultato finale fu pesantemente penalizzato dalle specifiche imposte dalla Norton: il motore aveva una notevole inerzia dato il peso delle masse rotanti, la mancanza del cuscinetto centrale era un limite al raggiungimento di regimi elevati ed infine il peso stesso del motore era troppo superiore a quello dei moderni motori giapponesi.
Dal canto suo anche la Cosworth rese complicato lo sviluppo del motore perché, come nella loro prassi in Formula 1, ai tecnici Norton era inibita la possibilità di intervenire sul motore; eventuali riparazioni, manutenzioni o modifiche dovevano essere eseguite esclusivamente dai tecnici Cosworth. In pratica erano due gruppi di lavoro sullo stesso progetto che non comunicavano tra di loro.
La moto, battezzata Norton P86 (meglio nota come Norton Challenge) presentava alcune soluzioni originali.
La distribuzione a cinghia dentata, contrariamente a quanto avviene di solito, portava il moto ad una sola ruota centrale che poi tramite ingranaggi trasmetteva il moto agli alberi a camme; il forcellone, realizzato in alluminio in unico pezzo di fusione, era infulcrato direttamente nel carter motore.
Ma la soluzione più originale era rappresentata dal disco freno posteriore montato all’esterno del forcellone, quindi non fissato al cerchio, probabilmente con l’intento di facilitare il cambio ruota nelle gare di durata.
Sui carter era previsto l’alloggiamento per il motorino d’avviamento, segno evidente che l’intenzione era quella di realizzarne anche una versione stradale in sostituzione dei vetusti aste e bilancieri.
La Challenge debuttò a Brands Hatch nel 1975 con il pilota Dave Croxford. Nelle prove , tutto sembrava procedere per il meglio, ma purtroppo in gara Croxford fu coinvolto in una caduta collettiva alla curva Paddock, la prima dopo lo start.
Dopo questo esordio sfortunato ma apparentemente promettente le successive prestazioni furono alquanto deludenti causa lo scarso sviluppo dovuto sicuramente alle difficoltà della Norton che infatti a breve chiuderà definitivamente i battenti e il progetto Norton Challenge fu definitivamente abortito,
Anche Phil Read (che già nel 1969 si era interessato ad un progetto analogo in collaborazione con la Weslake) si era offerto di occuparsi dello sviluppo, ma dopo un’ulteriore analisi del motore si ritirò dall’impresa dichiarando che il P86 non sarebbe mai stato vincente senza grossi cambiamenti.
La Quantel Cosworth
Alcuni anni dopo, nel 1984, la United Engineering Industries prese il controllo di Cosworth; il presidente Bob Graves, proprietario della Quantel Electronics, in occasione di una sua visita alla Cosworth notò sei motori bicilindrici abbandonati in un angolo; chiese chiarimenti a Duckworth che gli rispose “Stai guardando l’unico motore che abbiamo costruito che non ha mai vinto una gara“: erano i motori del fallito progetto Norton Challenge.
Bob, grande appassionato di tecnica motoristica con un passato come pilota di moto, di auto e aerei, considerò questa affermazione come una sfida e decise perciò di investire 100.000 sterline nello sviluppo di quel motore con l’obiettivo di portarlo alla vittoria a Daytona nella “Battle of the Twin”, un torneo nel quale spadroneggiavano Ducati, Moto Guzzi e Harley Davidson.
Come tecnico fu individuato Gary Flood, figlio di Bert Flood, uno dei più affermati tecnici australiani, che aveva avuto un discreto successo nel motocross con delle moto da lui stesso preparate.
Il motore venne portato a 822 cc (cilindrata accettata dal regolamento della BOTT) con dimensioni di 90 x 62 mm e venne adottata l’alimentazione a iniezione, all’epoca un’importante innovazione tecnica per una moto, condivisa con la Ducati 851.
Così modificato i motore erogava 121 CV a 10.000 giri/min.
Al progetto si interessò anche John Surtees, amico di Bob, che presentò a Graves un paio di tecnici che lavoravano già per lui; si trattava di Guy Pearson e John Balwin, specialisti nella lavorazione e saldatura del metallo; tra le loro realizzazioni ricordiamo un telaio monoscocca in lamierino di acciaio inossidabile per un motore della Yamaha TZ 250, rinominata Exactweld dal nome della loro ditta, che vinse decine di gare in Inghilterra e arrivò al titolo europeo nel 1984 guidata da Gary Noel.
Appena il motore arrivò presso la loro officina constatarono quanto fosse pesante, quasi 100 kg, e sovradimensionato, decisamente un handicap per un motore da competizione. Emergeva in netta evidenza la mancanza fondamentale di uomini specializzati nel motociclismo da competizione nella fase di progettazione del Norton/Cosworth.
Inizialmente si pensò di eliminare i due contralberi di bilanciamento per un risparmio di circa 30 Kg ed un significativo ridimensionamento dei carter, ma questa soluzione avrebbe comportato un aumento dei costi per la riprogettazione.
Si pensò allora di sfruttare il robusto blocco motore come elemento stressato; venne perciò realizzata una struttura scatolata in lega leggera che integrava il cannotto di sterzo e veniva fissata direttamente alla testata (soluzione che ritroveremo anni dopo sulle Ducati GP9 e Panigale) e che fungeva anche da attacco superiore del monoammortizzatore. La struttura pesava solo 7 kg e compensava così l’esorbitante peso del motore.
Per il 1986 venne messo sotto contratto il pilota australiano Paul Lewis.
A Daytona, nonostante problemi alla frizione, Lewis battagliò con i primi per tutta la gara, piegandosi solo alla Ducati di Marco Lucchinelli dopo avere avuto un contatto con il pilota italiano sulla curva sopraelevata ad oltre 275 km/h !
Visto l’ottimo risultato il team si ripresentò a Daytona l’anno successivo ma con un altro pilota australiano, Rob Phillis.
Alla prima uscita in pista il motore emetteva uno strano rumore; rientrato ai box si dovette constatare che il motore era praticamente distrutto; dopo aver montato il motore di scorta, la rottura si ripresentò allo stesso modo e così la stagione 1987 finì ancor prima di cominciare.
Per il 1988 Graves chiese a Surtees di trovargli un valido pilota inglese che fu individuato in Roger Marshall.
Arrivato a Daytona, il team scoprì che il loro principale avversario sarebbe stato proprio il loro pilota dell’anno precedente, Paul Lewis in sella ad una Honda 850.
Prima dello start si verificarono due episodi che avrebbero potuto condizionare l’esito della gara:
- Lewis cadde in prova, non prima di aver stabilito il miglior tempo. Gary Flood, il tecnico della Quantel, con grande sportività, riparò i danni alla moto dell’amico/rivale australiano;
- qualche istante prima del via i commissari tecnici chiesero la legatura dei dadi dei perni ruota della Quantel Cosworth, un’operazione che richiedeva tempo e che quindi rischiava di fare escludere la moto dalla gara. Una “mossa” che sembrava essere stata messa in atto per infastidire il team inglese a favore delle Harley Davidson per le quali invece era stato chiuso un occhio; per fortuna l’intervento del carismatico John Surtees, che fungeva da team manager, consentì alla Quantel Cosworth di schierarsi in griglia.
In gara Roger Marshall andò al comando seguito da Lewis che però nel tentativo di tenere il passo dell’inglese chiese troppo al suo motore, grippandolo e cedendo così a Stefano Caracchi con la Ducati il ruolo di immediato inseguitore.
Marshall e Caracchi accesero una accanita battaglia guidando al limite finché una sbandata fece desistere Caracchi da ulteriori attacchi.
Roger Marshall e la Quantel Cosworth tagliarono per primi il traguardo iscrivendo i loro nomi nell’albo d’oro della Daytona Speed Week.
Finalmente, con quindici anni di ritardo, Bob Graves era riuscito nell’intento di trasformare il fallimentare progetto Norton/Cosworth in un trionfo.
Purtroppo, nonostante la brillante soluzione per il telaio, il peso della moto restava un handicap che mortificava i pregi del motore; viste le buone prestazioni i 186 kg dichiarati, circa 20 kg in più della concorrenza, fanno ipotizzare a ragion veduta che i 121 CV dichiarati fossero reali, a livello della concorrenza, in particolare della Ducati 851, il bicilindrico più all’avanguardia dell’epoca.
Della Quantel Cosworth oggi rimane solo il ricordo del trionfo di Daytona.