Frank Reisner, un ungherese trapiantato in America, e sua moglie Paula nel 1959 fondano a Torino la Costruzione Automobili Intermeccanica (oggi conosciuta come Intermeccanica International Inc. o più semplicemente Intermeccanica), un’azienda per la progettazione e produzione di kit di elaborazione per una cinquantina di modelli dei marchi Renault, Peugeot, Simca e DKW; i kit venivano esportati in tutto il mondo con particolare successo in Sudafrica; nel nordamerica venivano importati dalla STEBRO, che li commercializzava con il proprio marchio.
Nel 1960 dai kit passò ad una Formula Junior con motore Peugeot elaborato da Conrero. Poi fu sviluppato un piccolo coupé due posti in alluminio sulla base della Steyr-Daimler-Puch 500.
A capo dell’azienda oggi vi è Henry Reisner, figlio di Frank scomparso nel 2001.
Nel 1963, forte delle esperienze maturate con la Apollo GT (di cui vi abbiamo parlato in un altro articolo), Reisner si dedicherà alla costruzione di telai e ad altre collaborazioni per la costruzione di vetture Gran Turismo per poi arrivare alla produzione di una splendida vettura che portava il proprio nome: la Intermeccanica Italia.
Per ricostruire la genesi della GT oggetto di queste note, dobbiamo qui ricordare la figura di Jack Griffith che gestiva una concessionaria Ford a Hicksville, New York. Appassionato anch’egli di GT europee, nei primi anni ’60 incominciò a produrre la Griffith GT che altro non era se non una TVR Grantura III sulla quale veniva trapiantato il motore Ford 289 (un 8V small-block montato sulla Ford Fairlane), trapianto realizzato con la collaborazione di un giovane Mark Donohue.
Griffith ebbe poi l’occasione di ammirare la Apollo e ne rimase affascinato tanto che, inizialmente, ebbe la tentazione di entrare in società con gli ideatori della Apollo, gli americani Newton Davis e Milt Brown, come finanziatore.
Ma le trattative non andarono a buon fine e allora Griffith contattò direttamente Reisner.
Nel 1966 Reisner e Griffith siglarono un accordo per la produzione in America di una nuova GT; nasceva così, con la consulenza del disegnatore ex BRM John Crosthwaite, una nuova Griffith GT che si prefigurava come una evoluzione della Apollo; la vettura, mossa da un motore Buick (in seguito verrà adottato il V8 Plymouth Barracuda 273 cu.in.), presentava un’estetica particolarmente attraente il cui disegno fu affidato ancora una volta al mago Franco Scaglione che rielaborò le linee della coupé disegnata da John Crosthwaite.
Venne costruita una fabbrica per produrre la nuova macchina, ma a causa della difficile situazione economica in cui venne a trovarsi Griffith, la produzione stentò a decollare e alla fine ne furono realizzati poco più di una decina di esemplari.
Nel 1967 la produzione venne trasferita a Charlotte, nel North Carolina, presso la Holman-Moody; in seguito un editore di una rivista degli anni ’60, Steven Wilder, acquistò i diritti della Griffith GT e ne cambiò ulteriormente il nome in Omega.
Nel frattempo Reisner era riuscito ad ottenere un finanziamento da un pool di banche, in particolare del Credito Italiano, e trasferì la produzione della Griffith in Italia ribattezzando la vettura Intermeccanica Italia.
In un primo momento il nome doveva essere “Torino”, come la città sede della Intermeccanica, ma non fu possibile perché quel nome era già stato registrato dalla Ford per una propria gamma di autovetture.
Con il robusto sostegno finanziario delle banche fu possibile impostare una produzione di circa 100 vetture all’anno, equipaggiate con motore V8 di origine Ford.
E questa volta il successo arrivò con l’Italia prodotta in oltre 500 esemplari tra il 1966 ed il 1972.
La linea della Intermeccanica Italia Spider era bellissima.
La versione coupé disegnata da John Crosthwaite, dalla quale derivava, si ispirava infatti alle forme delle vetture sportive di quell’epoca, come la Maserati Mistral e la Ferrari 275 GTB mentre la spider di Scaglione ricordava la Ferrari 250 spider Nembo.
Lunga 4.445mm, alta 1.181mm, larga 1.727mm per un peso di 1.338 kg., montava un motore Ford Cleveland 351 C ad 8 cilindri a V di 5.776cc da 310cv, un cambio manuale Ford T 10 a 4 marce, freni a disco sulle 4 ruote. Il telaio era in acciaio tubolare e la carrozzeria completamente battuta a mano.
Con queste caratteristiche l’Italia poteva accelerare da 0 a 100 in 6.4 secondi e raggiungere una velocità massima di 233 km/h.
Le Italia furono molto apprezzate in Europa e nell’America settentrionale tanto che Reisner dovette individuare in Genser Forman del New Jersey un distributore per gli Stati Uniti mentre in Germania, maggior mercato europeo, il distributore era Erich Bitter. Al Salone dell’Automobile di Torino del 1969 fu presentata anche una variante, l’Italia IMX, che però non raggiunse mai la produzione.
Per completare la storia della Intermeccanica ne ricordiamo brevemente le tappe successive.
Tra il 1967 ed il 1969 vide la luce un’altra auto, la Murena, che presentava una carrozzeria poco convenzionale; fu prodotta in soli 11 esemplari, tutti esportati in Nord America. La Murena, una station-wagon dalla chiara impronta sportiva, era dotata di motori Ford 429 Hi Performance ed era equipaggiata con finiture di pregio quali sedili in pelle e una strumentazione derivata dall’aeronautica.
Il grande successo ottenuto dalle Italia in Europa, specialmente in Germania, fece sì che la OPEL (all’epoca facente parte del gruppo General Motors) contattasse la Intermeccanica per la produzione di una vettura sportiva in serie limitata su base meccanica Opel Diplomat e motori Chevrolet 350.
Al Salone di Ginevra del 1971 veniva presentato il prodotto di questo accordo, la roadster Indra dalla linea disegnata ancora una volta magistralmente da Scaglione; l’auto ebbe un discreto successo tanto che ne furono sviluppate tre varianti, coupé, spider e fastback; l’Indra restò in produzione fino al 1974.
Questo fu anche l’anno del declino per la Intermeccanica.
Proprio nel 1974, infatti, i vertici di General Motors, forse accusando un calo delle vendite della Indra, decisero di rivedere le proprie politiche non concedendo più ad Intermeccanica la meccanica Opel, i motori Chevrolet e la sua rete di distribuzione in Europa e Nord America offrendo invece il proprio appoggio ad Erich Bitter, ex distributore della Indra e della Italia, per la vendita della Bitter CD, in pratica una copia della Indra costruita da Bauer in Germania, una vettura basata sul telaio accorciato della Opel Diplomat carrozzato da Frua che realizzò una bellissima linea che però aveva una rassomiglianza imbarazzante con quella della Maserati Ghibli (disegnata da Giorgetto Giugiaro e costruita dalla Ghia).
Naturalmente questa decisione ebbe conseguenze disastrose per la casa italiana.
Reisner decise allora di trasferirsi in California, prima a San Bernardino e un anno dopo a Santa Ana, dove riuscì a trovare in Tony Baumgartner un socio più solido; qui, sotto il nome di Automobili Intermeccanica, venne avviata la produzione autorizzata di repliche Jaguar e Porsche e della celebre Volkswagen Kubelwagen, l’auto usata dai militari tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
La crisi petrolifera di metà anni ’70 spinse i vertici dell’ormai ex casa italiana a cambiare ancora la loro sede, questa volta approdando a Vancouver e cambiando ancora una volta la ragione sociale in Intermeccanica International Inc.
Attualmente, l’azienda è presente solo su 3 mercati (Stati Uniti, Canada e Giappone),
Queste le vetture prodotte dalla Intermeccanica
- Apollo GT (1961-1965)
- Mustang Station Wagon prototipo costruita per l’agenzia pubblicitaria WJ Thompson
- Titania Veltro (1965), prototipo
- Griffith GT/Omega (1966-1970)
- Italia (1966-1970)
- Phoenix (1966), prototipo su base Chevrolet Corvair
- Murena (1967-1969)
- Italia IMX(1969), prototipo
- Centaur (1970), una berlina one-off su base Chevrolet Corvette per un medico del Mid-West
- Indra (1971-1974)
- Squire (1974), una replica della Jaguar SS
- Porsche Convertibile “D” replica (1981-oggi)
- Volkswagen Kubelwagen replica (1995-oggi)