Nei primi anni ’60 esplose il boom delle GT all’italiana che, differenza delle più blasonate e “nobili” Ferrari, Maserati e Lamborghini o anche delle inglesi Jaguar e Aston Martin, per raggiungere prestazioni elevate utilizzavano grossi motori 8V prelevati da modelli di serie americani montati su leggeri autotelai europei.
Uno dei primi esperimenti, peraltro ben riuscito, fu quello di Carroll Shelby con le sue famose Cobra; in Italia si distingueranno le Iso-Rivolta, la Bizzarrini 5300GT (che si potrebbe definire una spin-off della Iso) e la De Tomaso.
La vettura di cui vogliamo parlarvi in queste note nasce nei primi anni ’60 dall’idea di due uomini d’affari statunitensi Newton Davis e Milt Brown, la Apollo GT; per realizzare il loro progetto i due fondarono la International Motor Cars a Oakland, in California.
L’Apollo ha rappresentato uno dei primi tentativi, comune a vetture analoghe, di abbinare un potente V8 americano ad una linea elegante e sportiva e finiture interne tipiche delle GT italiane.
Il risultato fu una vettura sportiva incredibilmente bella basata su un design di Franco Scaglione mossa da un potente small-block V8 in alluminio di provenienza Buick abbinato ad un cambio manuale 4 velocità Borg Warner. La leggera carrozzeria, in alluminio, era montata su un telaio tubolare in acciaio. Altre componenti della Buick furono utilizzate per le sospensioni.
Per la costruzione della carrozzeria venne incaricato Frank Reisner, un ungherese trapiantato in America che nel 1959 aveva fondato a Torino la Intermeccanica, un’azienda che sviluppava kit di elaborazione per auto e che in seguito, forte delle esperienze maturate con la Apollo, si dedicherà alla costruzione di telai e ad altre collaborazioni per la costruzione di vetture Gran Turismo, tra cui la più famosa (e bella) è sicuramente l’Italia di cui vi parleremo in altra sede.
In realtà, inizialmente il design era stato affidato a Ron Plescia, un amico di Milt Brown; il risultato fu alquanto deludente e allora Reisner incaricò Franco Scaglione di perfezionarne la linea.
La versione definitiva, proposta sia in versione coupé che in versione convertibile, aveva la carrozzeria in alluminio prodotta in Italia ed era spinta da motori Buick V8 proposti nella cilindrata da 3.5 o 5 litri da cui le denominazioni di Apollo 3500 GT e Apollo 5000 GT. Il prezzo era di 6.000 dollari.
L’assemblaggio finale avveniva ad Oakland.
Purtroppo, l’Apollo non è mai stato un successo; tra il 1961 ed il 1966 ne sono state costruite in tutto 88 di cui 76 coupé, 11 decappottabili e un singolo prototipo 2 + 2 coupé.
La GT italo-americana aveva tutte le caratteristiche richieste alle vetture della sua categoria sia dal punto di vista stilistico che di quello delle prestazioni ma vennero a mancare la necessaria attività di marketing, una adeguata rete di concessionari e un robusto sostegno finanziario. Al fallimento contribuirono sicuramente anche il prezzo ritenuto elevato e la scarsa reputazione dei motori Buick.
Fu comunque acquistata da alcuni vip, tra questi il cantante Pat Boone.
La International Motor Cars vendette una quarantina di Apollo (incluso il prototipo disegnato da Ron Plescia) prima dell’interruzione della produzione per mancanza di fondi, a metà del 1964.
Per evitare il fallimento della Intermeccanica, pesantemente coinvolta nel progetto Apollo, questa continuò a fornire carrozzerie alla Vanguard Industries di Dallas (Texas) che assemblò e vendette per un breve periodo alcune Apollo col nome di Vetta Ventura. La produzione della Vetta è durata due anni in cui sono stati prodotti solo 19 esemplari.
Molti collezionisti citano le Vetta come le “Texas Apollo“.
Un terzo, e definitivo, tentativo di produrre la Apollo venne fatto qualche anno dopo dalla Apollo International Company di Pasadena (California), che riuscì a produrre una ventina di vetture.