La storia del motociclismo agonistico è indissolubilmente legata alla figura di Mike Hailwood.
E’ sempre difficile attribuire un valore assoluto ad un pilota; troppe le circostanze che possono favorire l’uno o l’altro. Basti pensare al mezzo meccanico e al valore della concorrenza. E’ perciò sorprendente che ancora oggi c’è chi, me compreso, lo ritiene il più grande motociclista di tutti i tempi.
Lo chiamavano “the bike” per il suo incredibile, innato ed immenso talento che esprimeva nella guida di qualsiasi moto gli venisse affidata. La maggior parte dei piloti vuole che la moto sia perfettamente a punto prima di poter dare il meglio di sé, invece Mike non sembrava preoccuparsene più di tanto.
La sconfinata ammirazione per “the bike”, al limite della idolatrìa, è rimasta immutata nel tempo nonostante dopo di lui siano arrivati alla ribalta del Motomondiale grandi campioni come Agostini, Saarinen, Cecotto, e poi gli americani, Doohan, per arrivare ai più attuali Rossi, Stoner, Marquez, Lorenzo, Vinales.
Era talmente grande, il carisma di Hailwood, da indurre una fetta considerevoli di appassionati italiani a tifare per lui, e non per Agostini, l’eroe nazionale.
La verità è che Mike avrebbe potuto facilmente, senza ombra di dubbio, raddoppiare il numero dei suoi campionati e delle sue vittorie se avesse dimostrato più continuità e se non avesse diversificato i suoi impegni tra le 2 e le 4 ruote.
Prescindendo dal numero dei titoli conquistati vorrei qui spiegare i motivi reali per cui, pur seguendo con immutata passione per il motociclismo le gesta dei talenti che di volta in volta si presentano alla ribalta del motomondiale, a distanza di alcuni decenni sono tanti gli appassionati che continuano a coltivare il mito di Mike Hailwood ritenendolo il migliore di sempre.
Hailwood aveva una straordinaria capacità nel guidare una moto; in parte era dovuto al suo innato talento ma anche perché aveva maturato grande esperienza avendo iniziato molto prima di quanto facesse la maggior parte dei piloti della sua epoca. E’ ben noto infatti che Stan, il suo facoltoso genitore, lo abbia iniziato alla guida della moto già dalla tenera età di sette anni per affinare le sue capacità di guida. Perciò non stupisce che abbia conquistato le sue prime vittorie già nell’età dell’adolescenza in un’epoca in cui si iniziava a gareggiare tardi rispetto ai tempi attuali. Non vi è quindi alcun dubbio che Mike abbia avuto dei privilegi, ma questi erano destinati alla persona giusta che ne avrebbe saputo trarre il massimo profitto.
Il suo stile pulito ben si adattava a freni, sospensioni e pneumatici rudimentali dell’epoca.
Provate a pensare se sia mai esistito un altro pilota che nella stessa giornata abbia partecipato a più gare con moto a 2 e 4 tempi, mono o pluricilindriche, piazzandosi sempre sul podio, spesso sul primo gradino o a un pilota che, dopo i tanti successi in moto, abbia tentato anche l’avventura delle 4 ruote, ottenendo un titolo di campione europeo di Formula 2, due podi in Formula 1, un podio alla 24 ore di Le Mans dimostrando così di essere uno dei pochi piloti in grado di competere nelle serie maggiori sia sulle due che sulle quattro ruote.
Solo John Surtees riuscì nell’impresa di conquistare il titolo iridato sia con le due che con le 4 ruote, ma non riuscì ad eguagliare le imprese motociclistiche del grande Mike.
Addirittura, nel 1964, Mike partecipava contemporaneamente sia a 3 classi del Motomondiale (250, 350 e 500) che all’intero Mondiale di Formula1.
A 38 anni, a 4 anni dall’ultima gara di Formula 1 e dopo circa 7 anni dall’ultima gara in moto, con le gambe malandate per un incidente subito in Formula 1 nel 1974, rientra nelle competizioni motociclistiche e va a vincere con una Ducati una prova del TT nel 1978, conquistando il titolo di Campione del Mondo TT F1, e la Senior 500 con una Suzuki nel 1979.
Ha conquistato titoli mondiali in tre classi diverse (250, 350, 500) per un totale di 9 (che lo pongono al terzo posto nella classifica di tutti i tempi alla pari di Ubbiali e Rossi alle spalle di Agostini e Nieto) in appena 7 anni da professionista. E tutto ciò avendo come avversari campioni del calibro di Agostini, Ivy, Pasolini, Read, Redman nel corso di una carriera bloccata a soli 27 anni da un contratto vincolante con la Honda che, presa la decisione di ritirarsi temporaneamente dalle competizioni iridate, gli impedì di impegnarsi con altri costruttori nel motomondiale nell’attesa che la stessa Honda ritornasse alle corse (cosa che avvenne poi solo nel 1979). D’altronde, con il ritiro dell’Honda, con la Benelli in difficoltà economiche e con la MV feudo di Agostini, il panorama tecnico non gli offriva moto competitive
Ed è giusto abbinare a questo palmarès anche il titolo della TTF1 conquistato nel 1978 e il titolo Europeo di Formula 2 automobilistica del 1972.
Nel 1971 avrebbe potuto aggiudicarsi (qualche anno prima dell’epica impresa di Agostini) la mitica 200 Miglia di Daytona in sella alla BSA 750 3 cilindri. Per nulla intimorito da uno spettacolare volo subito ad oltre 230 Km/h nel corso delle prove ufficiali, Mike in gara dimostrò ancora una volta la sua grande classe: dopo aver distaccato gli avversari nelle prime fasi della gara e aver amministrato successivamente il suo vantaggio, fu purtroppo costretto al ritiro a causa di un inconveniente tecnico.
Se ci focalizziamo sulla sua capacità di vincere più gare nel corso dello stesso Gran Premio scopriamo che Hailwood è stato capace di vincere tre classi nella stessa giornata in cinque occasioni. In realtà nulla di straordinario per “the bike” che nelle gare nazionali inglesi, sia pure contro avversari di altra caratura, ottenne per ben dieci volte quattro vittorie in una sola giornata ed in una occasione addirittura cinque (Biggin Hill 4/10/59 nelle classi 125, 250, 350, 500, 1000).
Suo è un primato che pochi altri piloti possono vantare nella storia della Top Class di motociclismo: vincere la prima gara della classe regina disputata dopo essere passato sotto i colori di un nuovo marchio quando lasciò la sua Norton per salire in sella alla MV Agusta. Dopo di lui ci riusciranno solo altri 5 piloti: Alberto Pagani, Luca Cadalora, Valentino Rossi, Casey Stoner e Maverick Vinales.
Tra gli altri detiene, in comproprietà con Lawson, Mamola e Capirossi, il singolare record di aver vinto almeno un Gran Premio della Top Class con moto di 3 marchi diversi, nel suo caso Norton, MV Agusta, Honda (forse ci potrebbe riuscire Lorenzo).
E’ lecito quindi chiedersi quanti titoli avrebbe potuto aggiungere ai suoi 9 se nel 1968 la Honda non si fosse ritirata dalle competizioni del motomondiale vincolandolo a sé.
Potrei ricordarvi che Hailwood ha sfiorato addirittura due triplette iridate nel biennio 1966/67 con i titoli della 250, della 350 e i due secondi posti nella 500. Sarebbe stato un record unico ed assoluto e contemporaneamente sarebbe entrato nell’olimpo dei migliori della top class, cioè di quei pochi in grado di conquistare almeno un titolo della classe regina con moto di due diversi costruttori. Nei quasi 70 anni di Motomondiale solo cinque piloti ci sono riusciti: Geoff Duke (Norton e Gilera), Giacomo Agostini (MV Agusta e Yamaha), Eddie Lawson (Yamaha e Honda), Valentino Rossi (Honda e Yamaha), Casey Stoner (Ducati e Honda).
Gli manca il record della vittoria in tutti i Gran Premi di un intero Campionato della top class: in realtà nel 1963 e nel 1964 si laureò campione imbattuto con la sua MV 500 ma non vinse tutte le gare perché subì un ritiro nel 1963 e, avendo già matematicamente conquistato il titolo, non si presentò al via di due Gran Premi del 1964. D’altronde questo record, stante la netta superiorità tecnica della MV, nulla avrebbe aggiunto al suo mito.
Per meglio comprendere la grandezza di Hailwood è bene ricordare che nel biennio 1966/67 nelle classi 350 e 500 gareggiava anche il plurititolato Agostini con la favolosa MV 3 cilindri. Nel 1966 i due Campioni terminarono il Campionato entrambi con 3 vittorie; il titolo andò ad Agostini in base agli scarti. Nel 1967 la storia si ripetè questa volta con 5 vittorie a testa.
E’ presumibile che se la Honda avesse meglio curato la sua moto sotto il profilo dell’affidabilità e avesse dato credito alle critiche di Hailwood sulle carenze telaistiche, oggi il palmarès di Mike vanterebbe almeno un titolo in più della classe 500.
E’ d’obbligo ribadire la versatilità di Hailwood: ha corso e vinto in tutte le classi, con tante marche, con moto dalle caratteristiche totalmente differenti tra loro sia per quanto riguarda i motori che le ciclistiche: oltre ad MV e Honda, anche MZ, Benelli, Ajs, Itom, Norton, Ducati, Paton, Nsu, Emc, Mondial, Triumph. Lasciate le moto passò alle 4 ruote arrivando sino in Formula 1 e alla 24 ore di Le Mans ottenendo anche qui risultati di prestigio.
Infine vogliamo ancora ricordare che Hailwood si è distinto anche per la sua precocità; l’inglese infatti appartiene ad un’epoca in cui si debuttava in gara verso i 18 anni, o anche più tardi. Lui ha disputato la sua prima gara di moto a 17 anni, ha debuttato nella classe regina con una Norton Manx al Tourist Trophy che si disputò il 6 giugno 1958 classificandosi tredicesimo quando aveva 18 anni e 2 mesi, ha vinto il suo primo Gran Premio a 19 anni e a 21 ha conquistato il primo titolo mondiale; ha vinto la sua prima gara nella Top Class a 21 anni e 63 giorni, dopo soli 4 anni dal debutto nelle gare in pista.