Vogliamo parlarvi di due moto semi artigianali che, nelle intenzioni dei loro realizzatori, si volevano misurare con la Ducati sul suo stesso piano tecnico anticipando anche alcune soluzioni che ritroveremo anni dopo sulla Ducati GP09 e sulla Panigale.
Per molti anni la Ducati ha dominato nel mondiale SBK con le sue bicilindriche; sono tanti coloro che ritengono che sia stata favorita dalla concessione di una cilindrata maggiore rispetto alle 4 cilindri anche se è bene ricordare che a volte le ha battute anche a parità di cilindrata.
Qualche costruttore, quando il regolamento lo consentiva, ha provato a battere la Ducati con soluzioni alternative come le tre cilindri di Benelli e Petronas che però, per motivi vari, mancarono l’obiettivo.
La supremazia della Ducati ha indotto perciò altri costruttori ad intraprendere la strada del bicilindrico, a volte con successo, altre volte no.
Ricordiamo infatti l’Aprilia che si cimentò con la configurazione del bicilindrico a V, anche se nel suo caso la V era ristretta a 60° rispetto ai “canonici” 90° di Ducati. I risultati della RSV 1000 furono modesti rispetto alle attese, il miglior risultato fu il 3° posto in classifica di Troy Corser nel campionato del 2000 nonostante l’avessero guidata piloti di rango come appunto Corser ma anche Goddard, Laconi, Haga che portarono ad appena 7 vittorie in 4 anni di partecipazione al campionato tra il 1999 ed il 2002.
Anche la Bimota nel 2000 partecipò al WSBK con la SB8K, spinta dal bicilindrico a 90° della Suzuki TL1000R, avvalendosi addirittura della assistenza tecnica del grande Franco Farnè; la moto si aggiudicò una vittoria di manche già alla seconda gara in calendario a Phillip Island con Tony Gobert, ma poi non terminò la stagione per difficoltà economiche dell’azienda tanto che nell’aprile del 2001 la Bimota dichiarò fallimento.
L’unica bicilindrica che riuscì a contrastare e battere la Ducati sul suo stesso campo fu la Honda con la VTR SP1 nel 2000 e con la sua evoluzione SP2 nel 2002 laureando Campione Mondiale Colin Edwards in entrambi i casi.
Fin qui i nomi dei costruttori più conosciuti di livello industriale medio/alto.
La BRITTEN
La storia di John Britten e della sua moto sembra quasi una favola dei tempi moderni; infatti la moto di Britten, praticamente un prodotto artigianale, riuscì spesso a battere le superbike italiane e giapponesi.
Nato e vissuto a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel 1986 John (1 Agosto 1950 – 5 Settembre 1995) pensò di apportare alcune modifiche alla propria Ducati avendo individuato alcuni difetti sia nel motore che nella ciclistica; dopo una serie di tentativi decise di costruire tutto ex novo. Nel 1992 fonda la Società Britten Motorcycle e a quarant’anni realizza nel garage di casa, con la collaborazione di un gruppo di tecnici-amici, una moto rivoluzionaria: la BRITTEN V1000.
Rivoluzionaria perché la Britten sfruttava il suo motore bicilindrico a V stretta di 60° in funzione portante e ad esso erano ancorati i telaietti supplementari in fibra di carbonio che sostenevano l’avantreno e il codone.
E non solo. La sospensione anteriore verteva su una forcella Hossack i cui bracci discendenti erano realizzati in fibra di carbonio come il forcellone posteriore, il cui leveraggio si allungava sotto al motore fino a raggiungere l’ammortizzatore fissato davanti al motore.
Quando le Ducati ufficiali erogavano circa 150CV, il motore della Britten ne erogava quasi 170 a 12.000 giri/min; la gestione del motore era computerizzata con hardware e software realizzato in proprio da Britten risultando così una delle prime moto da corsa ad utilizzare la registrazione dei dati; radiatore orizzontale integrato nella struttura reggisella, air box pressurizzato integrato nel serbatoio, cambio proveniente da una Suzuki, il tutto per un peso di 140Kg.
Al debutto in gara, Daytona ’91, fu privata della vittoria per un banale guasto elettrico ad un giro dal termine; per la cronaca la vittoria andò alla Ducati 888 Factory di Doug Polen.
Purtroppo nel 1995, quando le moto neozelandesi si stavano ormai affermando nelle gare di tutto il mondo, John morì a soli 45 anni a causa di un melanoma e nessuno dei suoi tre figli ha proseguito l’attività del padre.
Dopo la morte di Britten, la sua moto ha continuato a gareggiare vincendo, per cinque anni consecutivi, la Sound of Thunder a Daytona, così come ha registrato vittorie in Europa, in Australia e in casa in Nuova Zelanda.
La rivista di settore Cycle World titolò la copertina del numero di Giugno ’92 che riproduceva la foto della Britten V1000 a tutta pagina: “La moto più evoluta del mondo? Non è Giapponese, Tedesca, Italiana o Americana, è stata realizzata in Nuova Zelanda, si chiama Britten”.
Il Guggenheim Museum l’ha esposta nella rassegna “The Art of The Motorcycle”, catalogandola tra le dieci realizzazioni motociclistiche più innovative di tutti i tempi.
Sono state costruite in totale dieci Britten V 1000. La famiglia Britten non ha mai voluto cedere i diritti del marchio.
Come sia stato possibile che Britten abbia realizzato con pochi mezzi e con metodi artigianali una moto vincente in grado di battere le grandi della SBK?. Ce lo dice lui stesso con questa sua dichiarazione del 1993: “Credo di essere semplicemente privo di vincoli. Posso guardare con occhi nuovi le cose, a differenza di un designer che lavora per, ad esempio, la società Jaguar, che è obbligato a continuare il look Jaguar.” Nelle sue ricerche Britten sperimentò anche l’uso dei flap.
La HUNWICK HALLAM
Nel 1997 Rod Hunwick, uno dei più grandi rivenditori di auto e moto australiani, e Paul Hallam, un ingegnere specializzato in motori da competizione fondano una società a Sydney; il loro progetto è quello di mettere in produzione tre modelli di moto il cui concetto di base prevede il motore come elemento stressato del telaio, quindi una struttura non convenzionale.
Il motore è un possente bicilindrico a V di 90 gradi dotato di iniezione e doppio albero a camme in testa, il cui sviluppo è durato circa tre anni, prodotto in tre cilindrate: 1000cc, 1100cc e 1350cc. Mentre le versioni stradali da 1100/1350cc utilizzano una convenzionale distribuzione a molle, la SBK da 1000cc avrà il sistema a valvole pneumatiche. Il motore dispone inoltre di un rivoluzionario sistema di smorzamento delle vibrazioni torsionali che utilizza una pompa olio motore secondaria che attiva un ammortizzatore meccanico.
Nel 1998 vengono annunciati tre modelli di cui due già pronti ed uno in arrivo nel corso del 1999.
Dopo il primo modello, la Boss V-Power Cruiser da 1250cc, arriverà quello più atteso, la X1R, una supersportiva da 1000cc che costituirà la base su cui sviluppare la moto destinata a competere nel Mondiale Superbike nel 2000 o forse nel 2001 per la quale si prevede una potenza di circa 160CV. Seguirà la Rage (rabbia) 1100, dalle linee molto simili a quelle del Monster Ducati.
Quindi, a differenza della Britten che si limita alla produzione di moto da competizione, la Hunwick-Hallam punta ad una produzione di 500 moto l’anno.
La X1R Superbike viene presentata a sorpresa in pubblico in occasione della gara del Mondiale 1997 Superbike a Phillip Island. La moto, che non aveva mai girato in pista, viene affidata al pilota Malcom Campbell, l’unico ad aver vinto una gara con la Honda NR750; al termine del secondo giro Campbell, secondo le istruzioni di Hallam, rientra ai box ed esprime le sue prime impressioni “La potenza è tanta, ha bisogno di qualche aggiustamento sulla sospensione posteriore.”.
In seguito la X1R stradale venne provata dalla stampa che espresse critiche assolutamente positive.
Per il resto dell’anno la X1R scese in competizione in una speciale classe “prototipi”, fuori classifica, della serie australiana Superbike non avendo ancora prodotto il numero minimo necessario per l’omologazione.
Ma nel 2000 Hunwick e Hallam si separano a causa della divergenza di vedute tra Hallam che era orientato alle moto da competizione e Hunwick che invece era maggiormente orientato alle moto di serie.
Hunwick forma una nuova società, la Hunwick-Harropp, unendosi con la società di ingegneria automobilistica di proprietà della famiglia Harrop con sede a Melbourne, un importante fornitore di Ford e Holden.
Ben presto della nuova HH, orientata alla produzione di serie secondo il dettato di Hunwick, si perderanno le tracce.