Talento purissimo ma dedito all’autodistruzione. Gare, droga e donne hanno dominato la storia della sua vita privata e agonistica.
In tempi recenti è stato arrestato per furto agli anziani.
Classe 1975, australiano di Greenacre (Sidney) dove è nato il 5 marzo, Gobert ha attraversato come una meteora la scena del motociclismo da competizione degli anni ’90. Una carriera che si può riassumere in cinque anni ad alto livello, poi solo fugaci apparizioni, non prive di qualche prova d’orgoglio.
Una vita costellata di cadute, risalite, fino alla caduta definitiva come sportivo prima, come uomo poi.
“Go show”, come veniva chiamato, faceva parte di quella ristrettissima categoria (sarei tentato di dire razza) di piloti dotati di un misto di classe e di talento.
Ernesto Marinelli, congedandosi dalla Ducati al termine della stagione 2017 del mondiale Superbike, alla domanda su quale pilota da lui gestito lo avesse maggiormente impressionato non ha avuto esitazioni nel dichiarare: «Anthony Gobert aveva un talento fuori dal comune.»
Inizia con il motocross ma ben presto passa alla velocità; nel 1995 conquista il titolo di campione australiano della Superbike.
Ma già nel 1994 si era fatto notare, appena diciannovenne, partecipando come wild card alle gare di Sugo (Giappone) e di Phillip Island (Australia). Nella gara di casa la sua performance fu sbalorditiva: pole position, terzo nella prima manche, vittoria trionfale nella seconda.
Ma fu il sodalizio con il team Kawasaki gestito da Rob Muzzy, dove fu chiamato a sostituire Scott Russell, che nel biennio 1995/96 lo portò alla ribalta internazionale dimostrandosi praticamente imbattibile nella “sua” Phillip Island.
Muzzy era convinto del talento di Gobert tanto da dichiarare: «Eddie Lawson e Doug Chandler sono stati eccezionali nell’aiutarci a settare la moto, capivano al volo se le modifiche che apportavamo funzionavano oppure no. Gobert, perlomeno quando era con noi, aveva un talento incredibile, un’enorme energia, ma quasi nessuna esperienza sul comportamento dinamico della moto. Si limitava a pensare: “io aggiro il problema”. Forse è per questo che ha imparato a pilotare al massimo livello, perché ha provato a guidare sopra ad ogni problema invece di provare a sistemarlo. Un altro approccio mentale, all’estremo opposto del perfezionismo. Gobert era capace di cose che non ho mai visto fare a nessun altro, su una moto.»
Ma l’amore tra Gobert e Muzzy non sbocciò mai; il team manager alla fine perse la pazienza: «era difficile lavorare con lui, perché non apprezzava lo sforzo che la squadra faceva: su questo era molto esplicito. È sempre difficile lavorare con un ragazzo che ti dice che sei uno stupido stronzo.»
Tony era un cavallo pazzo; tutti ricordano i suoi capelli colorati, il peso forma inadeguato, uno stile di vita assolutamente sopra le righe, le sue memorabili sbornie.
Il passaggio dalla SBK alla 500.
Nel 1997 passa al motomondiale con la Suzuki RGV Gamma 500 del team ufficiale Lucky Strike.
Quando circolavano le prime voci sul suo ingaggio nel Team Factory Suzuki in sostituzione (ancora una volta) di Scott Russell, il pensiero diffuso era: «se Russell è stato un tipo difficile, non è niente in confronto a Gobert.».
Dopo la prima presa di contatto con la RGV Gamma, gli ingegneri giapponesi erano pronti ad ascoltare le impressioni di Gobert: lui si limitò a lamentarsi che nel box non ci fossero una gabbia con una ragazza in costume che ballava e della birra ghiacciata nel frigo dopodiché si allontanò lasciando interdetti i tecnici giapponesi.
Garry Taylor, il manager del team Suzuki, provò tutti i sistemi per “recuperare” Gobert; arrivò addirittura a chiedere l’intervento di Uri Geller, famoso all’epoca perché sosteneva pubblicamente di avere poteri paranormali.
Geller si propose di dimostrare ad Anthony quello che si può ottenere con la sola forza di volontà. Si chiuse perciò con lui in una stanza per parlargli a quattr’occhi. Uscendo dalla stanza Anthony commentò seccamente: «che razza di coglione.»
A questo punto Taylor obbligò Gobert a sottoporsi ad un test antidoping; l’esito fu la goccia che fece traboccare il vaso e Gobert fu licenziato dalla Suzuki.
Il ritorno alle derivate di serie
Nel 1998 viene ingaggiato dal team Vance & Hines per guidare la Ducati 996 nel campionato AMA Superbike ma purtroppo il 12 luglio incappa nuovamente in una vicenda di droga: iscritto come wild card alla prova statunitense del mondiale Superbike sul circuito di Laguna Seca viene nuovamente trovato positivo al controllo antidoping. Perde così ancora una volta una grande occasione per rilanciare la sua carriera essendo in quel momento secondo nel campionato AMA con tre vittorie.
Venne squalificato per tutta la stagione agonistica, pena poi ridotta a sole tre gare di stop.
La stagione successiva è ancora nel campionato AMA ancora con la Ducati; viene nuovamente iscritto come wild card nella gara mondiale di Laguna Seca e questa volta ottiene la vittoria in Gara 1; nello stesso anno disputa anche 3 gran premi con la Muz Weber 500.
Ma la inevitabile fase discendente della sua carriera era comunque cominciata.
Infatti il lupo perde il pelo ma non il vizio e a fronte dei suoi atteggiamenti strafottenti e le frequenti misteriose “sparizioni” viene nuovamente sottoposto a test antidroga che cerca di eludere, vanamente, nascondendo sacche di urina “pulita” nel bagaglio.
Poi arrivò il canto del cigno: a Phillip Island nel 2000, in sella Bimota SB8R spinta dal bicilindrico Suzuki, preparata da Farné per il team gestito da Virginio Ferrari, disputa forse una delle sue gare più belle e vince la prima manche; ma sarà l’ultima volta: la Bimota in difficoltà finanziarie si ritira a metà stagione costringendo anche Gobert a ritirarsi dal campionato.
Riesce comunque a partecipare con la Modenas KR3 del team Proton KR di Kenny Roberts Sr al GP di Gran Bretagna sul circuito di Donington Park e a 3 gare del campionato britannico SBK con una Yamaha.
Nel biennio 2001/2002 ritorna negli USA prima in Superbike e poi in Supersport, con la Yamaha.
Negli anni successivi torna a gareggiare nella Superbike australiana, ma fa anche qualche apparizione nel mondiale per le derivate di serie, come nel 2006, quando sostituisce per 2 gare della Supersport David Checa ed ottiene una wild card per la gara di Valencia del mondiale Superbike.
Nel 2007 infine disputa il campionato australiano superbike in sella ad una Kawasaki.
Ma poi si perde definitivamente.
Dopo una vita spesa in dissipazione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e lavoretti precari finisce a derubare gli anziani. Quando lo hanno arrestato, al giudice che gli chiedeva che mestiere facesse, ebbe un ultimo impeto d’orgoglio dichiarando: «sono un pilota professionista.»
Stuart Shenton, storico Crew Chief del Team Suzuki, lo ricorda così: «se ragioniamo in termini di fantastico talento naturale, a costo di apparire controverso posso affermare che il campione che ne aveva di più era Gobert, ma era una completa perdita di tempo perché non riusciva a rendersi conto di quanto ne avesse e non era in grado di applicarlo. Uno con la sua capacità, avrebbe potuto diventare campione del mondo, ma sapevamo altrettanto bene che non sarebbe mai successo. Con lui abbiamo visto le più incredibili temperature dei freni. Se fosse stato capace di dedicarsi con costanza alle corse, impegnandosi tutte le settimane, restando in forma e in salute, con la giusta concentrazione, sarebbe sicuramente diventato qualcuno.»