Oggi la Ducati ha nel proprio listino solo bicilindriche desmodromiche a 2 e 4 valvole raffreddate ad aria e a liquido, con cilindrate che spaziano dai 400 ai 1300 cc. a cui di recente si è aggiunta la Panigale V4, prima 4 cilindri di serie della Ducati, che apre una nuova era per la casa di Borgo Panigale.
Eppure gran parte della storia della Ducati è fondata sul monocilindrico, a partire dall’iniziale motore ausiliario Cucciolo proseguendo con gli aste e bilancieri e “sforando” incidentalmente anche verso il 2 tempi.
Quando però si parla di mono Ducati il pensiero va istintivamente al motore “coppie coniche” che, a partire dalla 100 GS nota anche come Marianna, nell’arco di circa 20 anni è stato declinato in due grosse famiglie, carter stretti e carter larghi, in diverse cilindrate da 100cc fino ai 436cc del 450, con distribuzione inizialmente solo a molle e successivamente anche desmodromica. Simboli di questa gloriosa stirpe rimangono sicuramente lo SCRAMBLER e le sportivissime DESMO entrambe offerte nelle cilindrate canoniche 250/350/450.
Il mensile Motociclismo, nel 1968, così recensiva il Mark3/D, la prima Ducati di serie dotata di distribuzione desmodromica: “Questa moto non è destinata ad un vasto pubblico, è un raro esempio di ingegneria che solo un’elite di motociclisti merita di possedere. Coloro che ne possiedono una devono mantenerla con cura: in un lontano futuro, quando sarà diventata moto d’epoca, non avrà prezzo in quanto passerà alla storia come una delle più famose desmodromiche mai vendute”.
Il giornalista Marco Masetti così definisce la successiva versione caratterizzata da una livrea metallizzata con pagliuzze d’argento affogate nella fibra di vetro, battezzata dagli inglesi Silver Shot Gun (Pallottola d’argento): “il più alto livello mai raggiunto da una sportiva stradale monocilindrica”. Purtroppo nel 1974, con gran rammarico degli appassionati, la Ducati decise di chiudere col monocilindrico per seguire la strada indicata dai giapponesi del motore bicilindrico parallelo. Il 1974 segna dunque la fine dei monocilindrici Ducati carter larghi: verranno allestiti gli ultimi esemplari con motori prodotti dalla Mototrans, ad eccezione delle versioni 450.
Nel 1975 i monocilindrici escono definitivamente di scena; a dar continuità a queste moto tanto amate ci pensò la Mototrans, consociata spagnola della casa di Borgo Panigale, che mantenne ancora per alcuni anni nel proprio listino i modelli Strada, Forza, e Vento dotate anche di avviamento elettrico.
Da buon nostalgico, nato motociclisticamente in sella ad una Ducati 250 GT monoalbero, sogno sempre che in Ducati decidano a mettere in produzione un moderno monocilindrico di cilindrata medio/bassa che potrebbe costituire, così come nel caso del moderno Scrambler, una famiglia con un proprio brand, ma pur sempre “by Borgo Panigale”. D’altronde dalla proprietà (AUDI) arrivano messaggi che lasciano intendere che si vedrebbe con favore un orientamento della produzione di Borgo Panigale in questa direzione.
Al riguardo riporto un’intervista fatta a Massimo Bordi all’epoca in cui era Direttore Tecnico; siamo all’inizio degli anni ‘80: “… si sarebbe dovuto progettare un monocilindrico per una nuova Scrambler. Sarebbe stato perfettamente in linea con la storia e con le esigenze di gamma. Anzi, non si doveva interrompere la produzione della Scrambler nel ’75. Quel mono doveva avere continuità. Sarebbe stato molto importante per salvaguardare l’Azienda dai contraccolpi che ha subito. Avrebbe fatto da volano, invece abbiamo chiuso col mono, abbiamo fatto un terribile parallelo, poi siamo ripartiti col Pantah, poi abbiamo smesso con le coppie coniche, abbiamo fatto un po’ di confusione …”.
Con l’uscita di produzione della serie carter larghi finisce dunque l’epopea della Ducati sportiva stradale sportiva monocilindrica desmodromica. In seguito – forse ci fu qualche ripensamento – furono approntati alcuni prototipi di motori ma nessuno sfociò mai nella produzione di serie.
Tra i primi tentativi, poi abortiti, di tenere in vita questa tipologia di moto Taglioni sperimentò, nei primi anni ’70, delle testate a quattro valvole comandate con una soluzione molto simile ad un monoalbero sdoppiato, cioè due alberi a camme in testa molto ravvicinati tra loro comandati da alberino e coppie coniche integrato da 3 ruote cilindriche; la testata era destinata ad una evoluzione del motore carter larghi con cambio a 6 marce. Contemporaneamente Taglioni aveva costruito anche un motore monocilindrico partendo dalla base di un 900 SS di cui manteneva il solo cilindro posteriore, quindi un 450 cc, che si stimava in grado di sviluppare 50 CV e che avrebbe potuto costituire la base di un modello concorrente con Honda XL e Yamaha XT, ma il progetto fu abortito.
In seguito furono approntati un paio di prototipi con motore 350 monocilindrico con distribuzione a cinghia disposta sulla sinistra del motore; venne anche annunciato annunciato che la moto sarebbe stata costruita anche dalla Mototrans su licenza, ma non vide mai la luce.
Al Salone di Milano del 1977, accanto al prototipo della 500 Pantah, la Ducati presentò due moto denominate Rollah e Utah entrambe mosse da un 350 monocilindrico simile a quello del Pantah privato del cilindro orizzontale, quindi con cinghia di distribuzione a destra. Entrambi i modelli erano stati disegnati da Leopoldo Tartarini; i colori erano il blu per il Rollah e nero/oro per lo Utah. Ne furono annunciate anche le versioni di 250cc; però poi il Rollah cadde nel dimenticatoio e successivamente al Salone di Parigi nel mese di ottobre 1978, Taglioni annunciò che i due progetti Rollah e Utah erano stati abbandonati.
Nel 1979, la Mototrans presentò il progetto MTV (Mototrans Virgili) Yak 410. Le origini di questo motore sono alquanto vaghe: pur se concepito in Spagna alcune fonti bolognesi riportano che sia stato sviluppato a Borgo Panigale; la testata desmodromica era chiaramente derivata dal motore Pantah; la cinghia di distribuzione era posizionata sul lato sinistro lasciando intendere quindi che il motore fosse ispirato ad uno dei primi prototipi a cinghia della Ducati ma aveva la peculiarità della cinghia che lavorava in bagno d’olio e non a secco. La moto spagnola non ebbe fortuna commerciale ed in seguito la stessa Mototrans chiuse i battenti. Dopo alterne vicende i diritti della YAK passarono alla società spagnola Merlin che ne mise in produzione una versione profondamente aggiornata, sia nella ciclistica che nel motore, denominata DG-11. Ma anche questa iniziativa non ebbe un felice sbocco commerciale. Per inciso vogliamo ricordarvi che dalle ceneri della Merlin nacque poi la GasGas. Uno di questi motori fu montato dall’appassionato restauratore francese Remy Monpezat sul telaio di uno Scrambler, cosicchè la moto fu battezzata MERCATI (MERlin + duCATI); con questa moto Remy disputò le gare per monocilindrici in Francia. Quando anche la Merlin chiuse i battenti le subentrò la ALFER che si rivolse a Francesco Villa per la realizzazione di una moto da cross; le cronache dell’epoca riportarono anche di una vittoria di questa moto in una gara nazionale ma si sono perse le tracce di questa vicenda.
Quando, a metà anni ’80, la Cagiva acquisì la Ducati si provò a montare una testata Desmo del Pantah su di un monocilindrico da enduro di Schiranna. L’operazione non si rivelò difficile e fornì prestazioni interessanti sia al banco che su strada ma fu abbandonata per motivi di immagine ritenendo opportuno lasciare alla Ducati l’esclusiva del Desmo come elemento caratterizzante.
Nel ’90 Massimo Del Biondo, un tecnico esperto conoscitore della Ducati, decise di realizzare una testa a 4 valvole per un mono Ducati 450. Ottenne l’aiuto dell’Ing. Bordi che gli fornì i disegni della testa verticale dell’ 851 di cui Del Biondo mantenne la forma dei condotti e le misure delle testa; modificò invece gli alberi a cammes ed i bilancieri. Il progetto fu apprezzato anche dall’Ing. Taglioni che affermò: “Avrei voluto averti al mio fianco al momento giusto”.