Ducati e Honda, l’una in continua crescita e l’altra che domina il mondiale da alcuni anni, hanno vinto le ultime 23 gare (sto scrivendo all’indomani del Gran Premio Movistar de Aragón ) della MotoGP lasciando agli altri, Yamaha in primis, le briciole di qualche gradino più basso del podio.
Molti hanno attribuito alla configurazione V4 del motore la loro superiorità; lo stesso Valentino Rossi avrebbe avanzato questa ipotesi.
Ma nelle ultime gare la Suzuki pur con un 4 cilindri in linea non sta facendo forse meglio di Yamaha?
E tempo fa non si diceva che proprio il V4 era la causa di tutti i mali della Desmosedici?
Il tema è sicuramente appassionante e val la pena fare qualche considerazione al riguardo.
Sostanzialmente la domanda è: un motore V4 si sposa meglio di un 4 in linea con i regolamenti e con gli pneumatici attuali?
In base ai risultati delle gare la risposta sembra affermativa ma sorge il dubbio che la spiegazione più logica sia che Honda e Ducati abbiano lavorato meglio di Yamaha sia sulla meccanica che sull’elettronica.
Nelle corse quasi sempre si deve arrivare a soluzioni di compromesso; le due configurazioni di motore hanno sicuramente vantaggi e svantaggi, il compito dei tecnici è quello di enfatizzare gli aspetti vantaggiosi e minimizzare quelli svantaggiosi (facile a dirsi!).
Un 4 cilindri in linea è più corto di un V4, questa caratteristica consente di cambiarne agevolmente la posizione nel telaio al fine di trovare la posizione del baricentro più confacente alle caratteristiche della pista e del pilota. Questa caratteristica spiega la “storica” superiorità della Yamaha in termini di maneggevolezza. Per contraltare il 4 in linea ha un albero motore più lungo il cui effetto giroscopico rende più difficile mettere la moto in piega. Yamaha e Suzuki hanno cercato di ovviare a questo inconveniente alleggerendo l’albero motore e concentrandone la massa in prossimità delle manovelle centrali.
Ma l’introduzione di nuove regole, il software unificato e il monogomma Michelin, hanno reso più complicata la ricerca di un equilibrio tra frenata, sterzata e trazione.
Forse è proprio questo il motivo per cui i risultati di Yamaha sono progressivamente peggiorati a partire dal 2016. Qualcuno ha più semplicemente ipotizzato il mancato apporto di Lorenzo allo sviluppo della moto. Un fatto è obiettivamente certo: nel 2015, quando ancora c’era la massima libertà nel software e si usavano pneumatici Bridgestone, la Yamaha vinse 11 Gran Premi. Da allora, sono passati quasi tre anni, ne ha vinti appena 10 e, come abbiamo detto all’inizio, sta vivendo un digiuno che non accenna a finire, anzi si direbbe che la situazione stia peggiorando.
E’ auspicabile che ormai tutte le risorse siano indirizzate alla M1 del 2019.
Ma perché le nuove regole hanno sovvertito i valori in campo? Per cercare di dare una risposta accentriamo la nostra attenzione sulle caratteristiche, massa ed inerzia, dell’albero motore.
Un albero motore più pesante offre una trazione migliore perché avendo più inerzia in accelerazione il motore spinge progressivamente sulla ruota motrice riducendo così il rischio di spinning ma contemporaneamente la moto ha difficoltà di inserimento perché la maggior massa la spinge ad andare dritta.
Al contrario un albero motore più leggero agevola l’inserimento e agevola il lavoro dei freni ma scarica rapidamente la coppia sulla ruota motrice facendola slittare in accelerazione; altro effetto negativo di un albero troppo leggero è la rapida caduta di giri alla chiusura dell’acceleratore causando pericolosi slittamenti della ruota posteriore in piega.
Nelle ultime quattro stagioni i tre principali costruttori giapponesi hanno sbagliato a deliberare la massa, e quindi l’inerzia, dell’albero motore.
Nel 2015 Honda ha costruito un albero motore troppo leggero per la sua RC213V, presumibilmente alla ricerca di una maggiore potenza. Non è da escludere che senza quell’errore Marquez si sarebbe aggiudicato il titolo anche quell’anno e si sarebbero evitate tante antipatiche polemiche, ma questo è un altro discorso.
La Suzuki a sua volta fece un albero troppo leggero nel 2016 e nel 2017 andò in direzione completamente opposta realizzando un albero troppo pesante; ora sembra aver trovato il giusto equilibrio anche se le manca ancora un po’ di potenza.
In questo 2018 sembrerebbe che Yamaha abbia un albero motore troppo leggero, troppo propenso a salire e a calare di giri.
Il problema sembra dunque individuato, ma la soluzione è praticamente inapplicabile per il vigente regolamento che impone un massimo di 7 motori a stagione da punzonare ad inizio campionato.
Ed il problema è ancor più accentuato perché per esser pronti entro marzo i costruttori devono approntare tutte le componenti, anche quelle ordinate ai fornitori esterni, tre mesi prima, il che significa che devono definire le specifiche del motore entro la fine di novembre, dopo i test di Jerez.
Questo significa prendere delle decisioni fondamentali dopo brevi sessioni di test svolti in condizioni climatiche assolutamente diverse dalle condizioni di gara.
Ci sembra che la penalizzazione per aver sbagliato le specifiche del motore nel corso dell’inverno sia eccessiva, poco sportiva.
Una soluzione potrebbe essere quella di mantenere fisso il numero dei motori consentendo però almeno un aggiornamento nel corso della stagione.
Se la Yamaha avesse potuto intervenire nel corso del campionato probabilmente Rossi e Viñales starebbero in una posizione migliore, forse anche con qualche vittoria all’attivo.
A consuntivo ci sembra quindi di capire che forse il vero vantaggio di un V4 sta nel fatto che Ducati, Honda e KTM usando un volano esterno possono modificarne la massa senza dover rompere i sigilli del motore. Aprilia è l’unico costruttore con un motore V4 che non utilizza un volano esterno, ma potrebbe arrivarci presto.
Ovviamente è facile usare un volano esterno su un V4, perché il motore è più stretto di un quattro in linea. Un 4 in linea con un volano esterno sarebbe ancor più largo ponendo problemi di luce a terra nelle pieghe più estreme.
Per problemi di immagine è improbabile che Yamaha e Suzuki passino al V4, ma se ciò dovesse accadere avremmo una MotoGP omologata dai regolamenti e dalle conseguenti scelte tecniche obbligate; a quel punto come elemento distintivo rimarrebbero solo (fino a quando?) la distribuzione desmodromica della Ducati e il telaio a traliccio della KTM.
Si tornerebbe all’epoca delle 500 2T che erano ormai omologate verso una unica configurazione.