Il 9 luglio 1932, in occasione della 24 Ore di Spa-Francorchamps, sull’Alfa Romeo 8C 2300MM della scuderia Ferrari debuttava l’emblema del Cavallino Rampante.
Quando, nel dopoguerra, Ferrari divenne quello che sarebbe stato il più famoso costruttore di vetture Gran Turismo e da competizione, adottò il Cavallino come logo del suo marchio.
Ma quali sono le origini di questo emblematico logo?
Secondo alcune testimonianze, all’origine della scelta di Enzo Ferrari, vi sarebbero l’amore per la poesia di Giovanni Pascoli e la sua ammirazione per la figura di Baracca, maturata nel corso dell’adolescenza.
Sull’argomento racconta però lo stesso Enzo Ferrari:
<<Quando vinsi nel ’23 il primo circuito del Savio, che si correva a Ravenna, conobbi il conte Enrico Baracca, padre dell’eroe; da quell’incontro nacque il successivo, con la madre, la contessa Paolina. Fu essa a dirmi, un giorno: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”. Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori, in cui mi affidano l’emblema. Il cavallino era ed é rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che é il colore di Modena>>.
Rispetto a quello di Baracca, il cavallino della scuderia aveva la coda rivolta all’insù invece che verso il basso perché secondo il Drake simboleggiava meglio l’ambizione e la vittoria.
L’emblema della Scuderia Ferrari apparve per la prima volta nel 1929 su tutte le pubblicazioni, le insegne e le carte ufficiali della Società, ma non sulle vetture, che erano dell’Alfa Romeo e ne riportavano il simbolo sportivo, un quadrifoglio verde in un triangolo bianco.
L’Alfa Romeo permise a Enzo Ferrari di usare per la prima volta il simbolo del cavallino rampante solo nel 1932.
E infatti, come abbiamo detto nell’introduzione, l’esordio del Cavallino sulle vetture avvenne il 9 luglio 1932, alla vittoriosa 24 Ore di Spa. Lo scudetto rimase sulle vetture della Scuderia Ferrari per tutti gli anni Trenta fino a quando il reparto speciale Alfa Corse, la cui direzione fu affidata sempre ad Enzo Ferrari, subentrò alla Scuderia nella gestione delle vetture milanesi.
Il debutto italiano del Cavallino Rampante su una vettura della Scuderia Ferrari avveniva il 24 luglio 1932 quando la Scuderia schierava al via della quinta edizione del “Circuito Principe di Piemonte” ad Avellino l’Alfa Romeo 8C 2300 #16 della Scuderia Ferrari affidata alla guida di Tazio Nuvolari; il leggendario mantovano si imporrà sui 249,51 Km della pista irpina percorrendo 10 giri del circuito alla media record di 94,750 km/h.
Dopo una discreta e fugace apparizione sul cofano della 815 nel 1940, ritroveremo il glorioso Cavallino l’11 maggio 1947 sulla Ferrari 125 di Franco Cortese nel giorno del debutto della Casa di Maranello in gara, sul circuito di Piacenza,
Lo scudetto con il Cavallino, disegnato dall’Ufficio Tecnico della Ferrari e realizzato dalle ditte Castelli e Gerosa di Milano e Cristiglio di Bologna, rimase inalterato fino al 1950. Nel 1959 appare come fregio della maschera del radiatore; prodotto dal torinese Cerrato per le vetture di Pininfarina e dall’incisore Incerti per le vetture Scaglietti, era ritagliato da lastre di ottone di 3 mm. E’ rimasto inalterato fino al 1962; ne esisteva una versione speciale utilizzata per qualche vettura esclusiva e per le vetture destinate a mostre e saloni.
Ma un Cavallino Rampante pressoché identico a quello della Ferrari ha trovato posto anche sulle carene delle Ducati da Gran Premio tra il 1956 ed il 1961, un involontario “trait d’union” tra le “rosse“ a due e a quattro ruote. L’emblema del Cavallino Rampante sulle Ducati fu voluto dall’Ingegner Taglioni; perché abbia fatto questa scelta è presto detto: Fabio Taglioni scelse l’emblema del Cavallino di Baracca in onore del suo illustre concittadino, essendo nati entrambi a Lugo Di Romagna, un paese distante circa 35 Km da Bologna.
La prima moto con questo simbolo è stata la 125 Trialbero Desmo del 1956, che debuttò e vinse al Gran Premio di Svezia di quell’anno. Successivamente altre moto quali alcune versioni della 175 F3, la famosissima 250 bicilindrica di Mike Hailwood e una versione stradale di 98 cc. (denominata “Cavallino” in Europa e “Bronco” negli Stati Uniti) sfoggiarono il famoso cavallino. Poi, la decisione della direzione generale di ritirarsi dalle competizioni e la scarsa considerazione dell’aspetto storico del simbolo fecero sparire il Cavallino dalle fiancate delle Ducati.
Una curiosità: il cavallino della Ducati ha la coda rivolta verso l’alto come quello della Ferrari, mentre quello originale di Baracca aveva la coda rivolta verso il basso.
Rimanendo in ambito automobilistico è curioso notare che anche la Porsche, grande avversaria della Ferrari nelle gare Endurance, ha adottato un cavallino rampante come simbolo delle proprie autovetture anzi per la precisione si tratta di una giumenta, perché é tratto dal simbolo della città di Stoccarda, il cui nome significa “giardino delle giumente”.
Infine consentitemi una citazione campanilistica: anche la Provincia di Napoli ha adottato il cavallino rampante come logo sul proprio gagliardetto.
E adesso mi sembra giusto ricordare colui che per primo adottò l’emblema del cavallino.
Francesco Baracca (Lugo di Romagna, 9 maggio 1888 – Nervesa della Battaglia, 19 giugno 1918) è stato un asso dell’aviazione italiana nella Prima Guerra Mondiale.
Era un ufficiale di cavalleria; allo scoppio della guerra, nel 1915, si arruolò nel corpo dell’aeronautica e quando gli fu affidato il suo aeroplano decise di personalizzarlo dipingendo sulla fusoliera un cavallo nero su una nuvola bianca.
Molti storici ritengono che Baracca dipinse il Cavallino per ricordare il Corpo di Cavalleria alla quale apparteneva, il 2° Piemonte Cavalleria. Infatti, lo stemma di questo Corpo mostra un cavallino rampante argentato su campo rosso.
Baracca disputò a 63 combattimenti aerei, abbattendo 34 velivoli nemici, il primo nei cieli di Gorizia l’ultimo a Borgo Malanotte nei pressi di Tezze di Piave.
Il 19 giugno del 1918 la 91° squadriglia aerea cui apparteneva Baracca, ricevette l’ordine di uscire per una missione di mitragliamento a bassa quota, sopra Colle Val Dell’Acqua, sul Montello (tra Nervesa della Battaglia e Giavera del Montello). Nel corso di quella azione Baracca morì abbattuto probabilmente da un colpo di fucile sparato da terra, mentre con il suo SPAD S.XIII sorvolava le trincee austriache.
Il suo corpo fu ritrovato lungo le rive del Piave.
Una copia dello Spad XIII di Francesco Baracca è esposta nel museo in memoria di Francesco Baracca a Lugo di Romagna.
In realtà esistono diverse versioni sull’abbattimento di Baracca: recentemente è stata avanzata una tesi secondo la quale Baracca piuttosto che bruciare con il velivolo o essere fatto prigioniero abbia preferito suicidarsi (il corpo, ustionato in più punti, presentava una ferita di pallottola sulla tempia destra), mentre da tempo esiste la rivendicazione dell’abbattimento da parte di un pilota austriaco; altri ritengono che un tiratore austriaco appostato su un campanile lo abbia colpito; infine secondo un autorevole storico anglosassone, da ricerche nei registri austro-ungarici risulterebbe che Baracca venne ucciso dal mitragliere di un biposto austriaco che l’asso italiano stava attaccando dall’alto e alle spalle.