Quando, nel 1964, la Honda debuttò in Formula 1 vigeva il regolamento tecnico che imponeva una cilindrata massima di 1.500cc.
La casa giapponese si presentò con un 12 cilindri a V disposto trasversalmente, uno schema tipicamente motociclistico che perciò, nell’immaginario collettivo, fece pensare ad una soluzione esclusiva merito della ricaduta delle esperienze motociclistiche della casa dell’Ala Dorata i cui motori già in quegli anni raggiungevano regimi vertiginosi grazie principalmente alle ridotte cilindrate unitarie (ricordiamo qui che la Honda si spingerà fino a cilindrate unitarie da 25cc con quattro valvole per cilindro che consentivano regimi vicini ai 20.000 giri/min).
Innegabilmente l’esperienza dei plurifrazionati motociclistici fu sfruttata dai tecnici giapponesi, ma in realtà un tale frazionamento, pari ad una cilindrata unitaria di 125 cc, non era una novità assoluta in campo automobilistico.
Tra i precedenti più blasonati ricordiamo l’Alfa Romeo 512 sovralimentata del 1940 progettata da Wilfredo Ricart che però non scese mai in competizione per grossi problemi di telaistica; ovviamente non possiamo non citare la prima Ferrari della storia, la 125 nata nel 1947; anche la Cisitalia, nel 1949, tentò l’impresa della Formula 1 con la 360 sovralimentata progettata da Ferry Porsche che però, per problemi finanziari, non riuscì a debuttare nel mondiale; ed infine ricordiamo che nello stesso 1964 anche la Ferrari realizzò una monoposto 12 cilindri da 1500 cc, denominata anch’essa 512 come l’Alfa Romeo d’anteguerra (e forse questa similitudine fu voluta dallo stesso Ferrari perché la 512 di Ricart fu uno dei motivi della rottura tra Ferrari stesso e l’Alfa).
Per “inquadrare” l’aspetto tecnico di questa nota vi ricordo che la cilindrata unitaria dei motori 1000 4 cilindri previsti dal regolamento della MotoGP e che vengono adottati dalla maggior parte delle maxi sportive attuali è di 250cc.
Rimanendo sul tema dei plurifrazionati e delle ridotte cilindrate unitarie, vorrei ricordare due espressioni estreme di questa tecnica: la Moto Guzzi 500 8 cilindri del 1956 (cilindrata unitaria circa 62cc) e la Suzuki 50 3 cilindri del 1967 (cilindrata unitaria circa 16,5 cc!!!)
Entrambi, per motivi diversi non ebbero fortuna nelle competizioni.
Infatti la Guzzi era ancora in fase di sviluppo quando, nel 1957, la casa di Mandello si ritirò dalle competizioni mondiali mentre la Suzuki 50 fu bloccata dai regolamenti tecnici che limitavano la classe 50 ad un solo cilindro.
In questo contesto non potevamo non citare l’inglese BRM che, in epoche diverse, si è cimentata nella costruzione di un motore da Formula 1 a 16 cilindri; in un caso era addirittura un 1.500cc per una cilindrata unitaria di poco inferiore ai 100cc.:
- la BRM debuttò nel primo Gran Premio valido per il Campionato Mondiale, a Silverstone nel 1950, con un 1500cc a 16 cilindri disposti a V di 135° sovralimentato con un compressore centrifugo che erogava circa 600 CV a 12.000 giri/min; a causa di seri problemi di affidabilità il propulsore inglese fu ben presto sostituito da un 4 cilindri in linea da 2.500cc aspirato, come consentito dal regolamento allora vigente;
nel 1966 fu varato un nuovo regolamento che prevedeva motori 3.000cc aspirati o 1.500cc sovralimentati; la BRM presentò un motore aspirato da 3.000cc con i 16 cilindri disposti ad H (praticamente due motori 8 cilindri piatti sovrapposti da 1.500cc) che si rivelò potente ma anche molto pesante, pertanto ben presto sostituito da un più ortodosso 12 cilindri a V di 60° (in questo caso, che ho citato solo per l’ardita ed inconsueta architettura, la cilindrata unitaria, di circa 190cc, non risulta particolarmente ridotta).