Confesso che non riesco a comprendere come i problemi di elettronica siano così determinanti per le prestazioni negative della Yamaha. Quantomeno sono indotto a pensare che non siano l’unico problema che affligge le moto di Rossi e Vinales.
Cercherò di darmene una spiegazione molto semplicistica.
Indubbiamente quando l’elettronica era libera la cosa si presentava in tutta la sua problematicità.
Infatti in regime di assoluta libertà ogni costruttore doveva affrontare il tema dell’elettronica in tutti i suoi risvolti e all’epoca non vi è dubbio che fossero avvantaggiate la Honda, da sempre impegnata nella ricerca e sviluppo della robotica, e la Ducati che è stata tra le prime, se non la prima, ad applicare un’elettronica sofisticata nella gestione delle moto da Gran Premio.
La cosiddetta elettronica è fondamentalmente costituita da 2 elementi:
- l’Hardware, cioè la centralina ed i sensori ad essa collegati, che deve fornire caratteristiche di affidabilità e di tempi di risposta;
- il Software, cioè l’insieme degli algoritmi che gestiscono il comportamento del motoveicolo, che deve garantire caratteristiche di efficacia ed efficienza, cioè che faccia esattamente ciò che è richiesto dalle specifiche e che lo faccia al meglio delle risorse tecniche disponibili.
La realizzazione del software è compito di un gruppo di progetto e sviluppo costituito da almeno 3 figure funzionali:
– l’utente, nel nostro caso il pilota ed i progettisti della meccanica;
– l’analista, rappresentato da consulenti informatici;
– lo sviluppatore (noto anche come programmatore) che ha il compito di realizzare il software, cioè tradurre in linguaggio macchina gli algoritmi, nel rispetto delle specifiche definite un fase di analisi.
Il lavoro di questi tecnici viene poi passato al vaglio dei test-team che collaudano e certificano il software.
E dunque se escludiamo errori in fase di programmazione e test, dobbiamo dedurre che, all’epoca dell’elettronica libera, una gestione insoddisfacente del motore era dovuta in buona sostanza ad incomprensioni in fase di analisi.
Ma oggi, a parità di hardware e software, i tecnici esperti di telemetria (termine usato impropriamente perché nella MotoGP i dati non vengono trasmessi ma letti a moto ferme) devono “limitarsi” ad introdurre nel software i valori parametrici che traducono di fatto le esigenze del pilota. In pratica “chiedono” al software, senza poter intervenire sugli algoritmi, di comportarsi in un determinato modo stabilendo momenti e tempi di intervento dell’elettronica.
Certo, detto così appare una cosa semplice e certamente non è così, però sembra strano che piloti e tecnici dalla provata e pluriennale esperienza non riescano a impartire al software i giusti comandi perché la moto si comporti secondo le richieste del pilota.
Verrebbe da pensare che non si riesca ad ottenere la quadratura del cerchio forse perché le richieste dei piloti sono troppo contrastanti con la filosofia di progetto della Yamaha degli ultimi due anni oppure che gli algoritmi standard mal si sposano con le caratteristiche della moto giapponese. Zarco docet.