Nel 2015 il ritorno alla competitività della Ducati con la GP15 ha risvegliato l’interesse degli appassionati italiani sulla partecipazione delle case nazionali alla top class del motomondiale nata come classe 500 e convertita poi, nel 2002, nella MotoGP a 4 tempi (990, 800, 1000).
Nel 1949 la Gilera non si fece trovare impreparata schierando la poderosa 500 4 cilindri seguita a breve dalla MV Agusta con una moto dalle caratteristiche non molto differenti visto che il progettista, l’ing. Remor, era lo stesso.
La Moto Guzzi inizialmente era più defilata con una bicilindrica a V di 120°, il cui progetto risaliva all’anteguerra, ed una fallimentare 4 cilindri in linea longitudinali; ma poi sbalordirà il mondo del motociclismo con la straordinaria 8 cilindri affiancata da una moderna monocilindrica bialbero da schierare nei circuiti lenti. Ma nel 1957 Gilera e MotoGuzzi, unitamente alla Mondial, si ritireranno dalle competizioni lasciando campo libero alla MV Agusta. Un piccolo aneddoto sulla Guzzi monocilindrica che ne dimostra il potenziale inespresso: nel 1967, undici anni dopo la realizzazione di questa moto, il pilota privato Giuseppe Mandolini per intercessione del padre, dipendente della Moto Guzzi, chiese ed ottenne di portarla in gara. Al GP delle Nazioni a Monza Mandolini conquistò il quinto posto battendo tutte le monocilindriche in gara; fu il canto del cigno della Moto Guzzi nel motomondiale.
Negli anni ’60, non essendoci costruttori disposti ad investire per contrastare il dominio della MV, fu un fiorire di moto artigianali destinate ai privati: tra queste si distinsero con discreti risultati la Paton bicilindrica, dalle vaghe discendenze Mondial, e la Linto, progettata dall’ing. Lino Tonti ottenuta unendo due termiche dell’Aermacchi Ala d’Oro 250. Con risultati meno importanti ci piace ricordare anche la italo-svizzera Maltry dell’importatore svizzero di MotoBi che, con una operazione analoga a quella della Linto, costruì una 500 ricavandone il motore dall’unione di due termiche MotoBi 250.
Un’altra realizzazione artigianale fu la CARDANI, finanziata da Carlo Savarè e costruita dal mago dei freni a tamburo Daniele Fontana; la moto, costruita nel 1967 con il contributo dell’esperto pilota Jack Findlay che ricoprì anche il ruolo di tecnico e di collaudatore, si ispirava con il suo tre cilindri 4 tempi alla imperante MV Agusta. La moto venne portata in pista solo 2 volte nelle prove del GP di Monza e del GP del Montjuich nel 1968; in entrambi i casi la moto ebbe problemi di surriscaldamento e lubrificazione. L’insuccesso fu determinato da continui problemi economici che convinsero Fontana e Findlay a mettere da parte il progetto per dedicarsi ad una più economica bicilindrica a due tempi, la JaDa, motorizzata con un Suzuki bicilindrico 2 tempi con quale colsero discreti risultati. Il telaio era costruito da Belletti a Milano, quello stesso che costruì un telaio per la Honda 500 di Hailwood.
Alla fine degli anni ’60 registriamo qualche sporadica apparizione della Benelli 4 cilindri con Pasolini oltre quella con Hailwood al GP delle Nazioni del 1968 e della Guzzi monocilindrica di cui abbiamo appena accennato. Qualche anno dopo la Benelli metterà in campo una versione totalmente aggiornata delle sue 4 cilindri, quelle note come versione “Saarinen” che avrebbe voluto affidare a piloti quali Hailwood, lo stesso Saarinen o addirittura Agostini ma il rifiuto di questi per motivi diversi e la nota ritrosia di De Tomaso per le competizioni fecero abortire il progetto, privando il motomondiale di una moto che si era già dimostrata molto promettente quando era stata affidata occasionalmente a Saarinen.
Alla fine degli anni ’60 anche la Aermacchi approntò una moto per la classe 500: era una monocilindrica aste e bilancieri, una 350 di cilindrata maggiorata a poco più di 400cc, che seppe distinguersi nelle mani di Gilberto Milani e Angelo Bergamonti.
All’inizio degli anni ’70 la Ducati, dopo qualche puntatina con la monocilindrica di Spaggiari, ebbe i suoi primi approcci alla classe 500 con la bicilindrica che introduceva lo schema ad L. Non vennero adottati né la distribuzione desmodromica né le 4 valvole. La moto fu offerta, tra gli altri, anche ad Hailwood. Il progetto purtroppo fu poi abortito per volontà della dirigenza EFIM che all’epoca gestiva la casa di Borgo Panigale. Come fu abortito il progetto della 350 3 cilindri, realizzato con la consulenza della inglese Ricardo, che non si esclude sarebbe potuto evolvere verso un 500 a 3 o 4 cilindri.
In quegli stessi anni la Paton incominciava a dedicarsi al 2 tempi ma contemporaneamente iniziava la sua parabola discendente non potendo competere con le incombenti giapponesi a 2 tempi.
A metà degli anni ’70 l’Aermacchi ritentò l’avventura della classe 500 questa volta partendo dalla base molto competitiva delle sue vincenti 250/350 bicilindriche; la moto aveva anch’essa 2 cilindri ed era caratterizzata dall’alimentazione con ben 4 carburatori (2 per cilindro); erogava la buona potenza di 90CV per un peso contenuto in 120 Kg ma l’impegno nelle classi inferiori e la scarsa disponibilità finanziaria ne bloccarono lo sviluppo.
Arrivano infatti gli anni ’80, periodo in cui dominavano i giapponesi con le 4 cilindri 2 tempi; l’Italia è presente, oltre che con la Paton, con due realizzazioni semi-artigianali come la Morbidelli che non avrà fortuna per mancanza di fondi e di sviluppo e la Sanvenero protagonista di una fortunosa vittoria al GP di Francia, disputatosi sul circuito di Nogaro il 9 maggio 1982, favorita dalla astensione dei piloti ufficiali per protesta contro la pericolosità del circuito. La Sanvenero riportava così sul gradino più alto del podio una moto italiana interrompendo un digiuno che durava dal GP di Germania del 1976, quando a vincere era stato Agostini con la MV Agusta, e anticipando la storica vittoria di Eddie Lawson con la CAGIVA C592 al GP di Ungheria, il 12 luglio 1992.
La Cagiva inizia la sua avventura nel Motomondiale nel 1977 come sponsor del Team Life. Nel 1980 debutta come costruttore con la 1C2 (un ibrido su base Yamaha TZ 500); il 1981 è l’anno della 2C2, la prima moto interamente costruita dalla Cagiva, seguita dalla 3C2 e dalla 4C3. Nel 1985 la C10 adotta un motore V4 di 90° con alimentazione a lamelle invece dei dischi rotanti delle versioni precedenti, mentre il telaio segue lo schema Deltabox. Ma è dal 1987, con la C587, il nuovo 4 cilindri ha la V da 58°, che avvenne una vera e propria rivoluzione che portò agli splendidi risultati dei primi anni novanta, con la prima vittoria di Eddie Lawson sulla C592 fino all’ultima evoluzione C594 del 1994. La Cagiva si ritirerà a fine 1994, con un’ultima presenza al Gran Premio d’Italia nel 1995 con Pierfrancesco Chili, con un consuntivo di 3 vittorie, 11 podi, 6 pole position e 3 giri veloci.
Altri piccoli e validi artigiani affrontarono la sfida della classe regina; tra questi citiamo la Librenti e la VRP di Carlo Verona, due 4 cilindri 2 tempi. Entrambe ebbero scarso successo per la cronica mancanza di fondi e quindi di sviluppo.
Nel 1994 si presentava alla ribalta del Motomondiale l’Aprilia, con la RSW 400/500, una moto che, nella mente del suo progettista, Jan Witteven, avrebbe potuto giocarsela con le potentissime 4 cilindri giapponesi affidandosi alle doti di agilità e peso ridotto, pur con una potenza inferiore. Inizialmente la RSW-2 era una versione maggiorata della 250 poi, dopo un 1998 assente dalle piste, ritornò ai Gran Premi con un motore dalla cilindrata piena. La RSW-2 non ebbe molto successo perché lo scarso spunto in partenza e la modesta velocità di punta la relegavano sempre dietro al gruppo dei primi non consentendole di esprimersi nella sua caratteristica peculiare, la velocità di percorrenza delle curve. Nel 2000 fece la sua ultima apparizione sulle piste. In seguito l’Aprilia tenterà la via del 4 cilindri 2 tempi ma il progetto non vedrà mai le piste del Mondiale. Ma nel 2002, con l’avvento della MotoGP, l’Aprilia si ripresenta nella classe regina con la RS Cube. Un progetto sfortunato forse perché, come a volte accade, troppo in anticipo sui tempi con un motore 3 cilindri, commissionato alla Cosworth, con valvole pneumatiche e gestione elettronica molto avanzata. La RS Cube non riuscì mai ad essere competitiva e così nel 2004 l’Aprilia abbandonò la MotoGP. Nel 2015 l’Aprilia si riaffaccia timidamente sullo scenario del motomondiale con la RS-GP, una moto laboratorio in ottica 2016 derivata dalla ART/CRT, poco più di una SBK anabolizzata.
Nel 2003, incomincia l’avventura della Ducati con la GP3.
Il resto è cronaca.