Iniziamo questa storia facendo notare ai lettori che la sigla 815 appare come un anagramma di 158, la sigla che identificava la gloriosa monoposto dell’Alfa Romeo, nota come Alfetta, che si aggiudicherà i primi due campionati del mondo di Formula 1 nel 1950 e nel 1951, rispettivamente con Nino Farina e Manuel Fangio.
Probabilmente la circostanza non è casuale perché le origini di questa monoposto risalgono al 1937 quando, sulla base di un progetto di Gioacchino Colombo e di Alberto Massimino, venne costruita nelle officine della Scuderia Ferrari che a quei tempi fungeva da reparto corse dell’Alfa Romeo.
La sigla 158 sintetizzava le principali caratteristiche del motore, un 1.500cc ad 8 cilindri. E difatti anche l’auto di cui vogliamo narrarvi la breve storia aveva una motorizzazione con le stesse caratteristiche di base.
Nell’autunno del 1929 Enzo Ferrari maturò l’idea di gestire lo sviluppo delle vetture da competizione dell’Alfa Romeo tramite una struttura esterna alla casa milanese sollevandola così dagli oneri e dai costi organizzativi, trasferendoli sui gentlemen driver e principalmente sugli organizzatori delle varie competizioni che sarebbero stati disposti a pagare sostanziosi ingaggi pur di avere piloti celebri in grado di attirare numeroso pubblico pagante.
L’idea piacque ai vertici dell’Alfa e così fu fondata la Scuderia Ferrari. Per dare una significativa impronta tecnica alla scuderia il Drake aveva convinto il grande progettista Vittorio Jano a lasciare la FIAT per affiancarlo in questa avventura.
Però nel 1933 la crisi economica indusse l’Alfa Romeo a ritirarsi dalle competizioni e cedette totalmente le sue vetture a Ferrari.
Ma poi, visti gli ottimi risultati conseguiti dalla Scuderia, l’Alfa ci ripensò e decise di ritornare ufficialmente alle competizioni. In seguito a tale decisione il 30 dicembre 1937, la S.A. Scuderia Ferrari venne liquidata ed Enzo Ferrari venne assunto come direttore sportivo della neonata Alfa Corse.
Ma in seguito, a causa di numerosi contrasti con il direttore tecnico Wilfredo Ricart, il rapporto di Ferrari con i vertici dell’Alfa si deteriorò e nel 1939 il Drake lasciò la casa del Biscione. Ottenne una lauta liquidazione ma fu costretto a firmare un accordo con cui si impegnava a non utilizzare il marchio della Scuderia con il suo nome prima che fossero trascorsi 5 anni dal congedo.
Ferrari allora, il 1° settembre 1939, fondò a Modena una propria società, la Auto Avio Costruzioni; l’oggetto sociale era la costruzione di rettificatrici e parti di velivoli, ma ben presto Ferrari ritornò all’antico amore per le 4 ruote da competizione e l’anno successivo realizzò un’autovettura destinata a partecipare alla Mille Miglia del 1940, denominata appunto Auto Avio Costruzioni 815 (o Tipo 815).
L’intero progetto venne ultimato in appena quattro mesi perché i lavori iniziarono nell’inverno del 1939, quando Alberto Ascari chiese a Ferrari di approntargli due vetture per la Mille Miglia.
Il poco tempo a disposizione fece prendere all’ing. Alberto Massimino la decisione di partire dalla base tecnica della Fiat 508C Balilla; il motore fu ottenuto dall’unione di due motori 4 cilindri ottenendo così un 8 cilindri da 1500 cc (da cui la sigla 815) accoppiati ad un cambio a 4 marce mentre la Carrozzeria Touring disegnò una aerodinamica spider due posti dotata di un rastremato parabrezza in plexiglass, materiale allora quasi sconosciuto.
Anche il telaio a longheroni era di derivazione FIAT.
Il 28 aprile 1940 le due vetture presero il via della XIII° edizione della Mille Miglia con gli equipaggi Ascari-Minozzi e Rangoni-Nardi.
Quell’anno, dopo la soppressione avvenuta nel 1939 (a seguito dei gravi incidenti accaduti nel corso della gara dell’anno precedente, quando una Lancia Aprilia era uscita di strada finendo sulla folla uccidendo dieci spettatori, tra cui sette bambini, con altre ventitré persone ferite) la Mille Miglia fu disputata su 9 giri del triangolo stradale Brescia, Cremona e Curtatone (Mantova) per un totale di 1486 chilometri.
Per l’occasione fu cambiata anche la denominazione della gara in “1º Gran Premio Brescia delle Mille Miglia”.
La vettura di Ascari dominò la categoria sport fino a 1.500 cc, ma dovette ritirarsi a causa di un cedimento del motore; Rangoni invece si ritirò per rottura della trasmissione.
Per la cronaca, la gara fu vinta dall’equipaggio tedesco von Hanstein-Baumer che, alla guida di una BMW 328, coprì la distanza in 8 ore 54 minuti 46 secondi 6 centesimi alla velocità media di 166,723 chilometri orari.
La 815 rimase l’unica vettura costruita dalla Auto Avio.
Otto anni dopo, nel 1947, veniva presentata la prima Ferrari, la 125 S, una 1500 a 12 cilindri, dove la sigla identificava la cilindrata unitaria (125 x 12 = 1500).
La 815 partecipò anche ad alcune gare al termine della seconda guerra mondiale senza ottenere particolari risultati.
Il nome Auto Avio Costruzioni rimase attivo fino al 1957, quando cambiò in Auto Costruzioni Ferrari; nel 1960, avvenne la trasformazione in Società per Azioni, con la nuova denominazione SEFAC, acronimo di Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse.
Delle due 815, una sola è stata ritrovata e restaurata ed è quella che pilotò Alberto Ascari; l’attuale proprietario la espone spesso al MEF (casa Museo Enzo Ferrari) a Modena.
L’altra vettura sembra che sia andata distrutta ma probabilmente (le notizie al riguardo sono alquanto vaghe) il motore fu montato sulla vettura sport Nardi-Danese del 1947, vettura che sarà protagonista di un successivo “amarcord”.