In effetti questo dispositivo, comunemente ma erroneamente menzionato come indicato nel titolo, deve essere più correttamente definito come valvole a richiamo pneumatico, trattandosi infatti delle classiche valvole a fungo azionate da camme e punterie dove però le molle di richiamo in sede sono sostituite da un sistema pneumatico.
Innanzitutto sgombriamo il campo da un equivoco ricorrente e cioè che non si deve confondere il sistema di valvole pneumatiche con il sistema di punterie idrauliche, di cui molti motori moderni sono dotati, il cui scopo non è quello di richiamare le valvole in sede ma è quello di mantenere costante il gioco tra la punteria stessa e la camma.
Nei sistemi tradizionali la chiusura delle valvole è garantita da una molla, un sistema semplice e collaudato ma che, superato un certo regime di giri orientativamente al di sopra dei 10.000 giri con tendenza ad enfatizzarsi oltre i 13-14.000 giri, incomincia a denunciare il fenomeno noto come sfarfallamento cioè la molla a causa delle inerzie entra in risonanza e non riesce più a seguire rigorosamente il profilo di chiusura della camma. Oltre ai danni per martellamento delle valvole sulle sedi che non rientrano più secondo la legge stabilita in fase di progettazione delle camme , si verificano modifiche indesiderate della di fasatura.
Nei motori più sportivi, per ovviare a questo inconveniente generalmente vengono montate molle più robuste o addirittura doppie o triple molle che però generano attriti importanti con effetti negativi sul rendimento meccanico.
Ma nei motori da competizione le leggi del moto delle valvole sono ancor più estreme, con accelerazioni impressionanti e alzate notevoli.
Qualcuno ricorderà che già negli anni ’60 la Honda schierava nelle gare del Motomondiale alcune pluricilindriche che esprimevano la potenza massima intorno ai 18.000 giri con possibilità di fuori giri vicino ai 20.000, eppure utilizzava delle normalissime molle a spirale. Nonostante la tecnologia dell’epoca ciò era possibile perché erano moto dalla cilindrata unitaria ridottissima (dai 25cc delle 50 bicilindriche e delle 125 a 5 cilindri fino ad un massimo di 50cc della 300 6 cilindri) quindi con valvole di piccole dimensioni con alzate di pochi millimetri e di conseguenza con accelerazioni relativamente basse imposte a valvole dalla massa alquanto modesta. Nel caso della MotoGP, come anche della Moto3, la cilindrata unitaria è di 250 cc!!!
Per ovviare allo sfarfallamento, per ridurre le perdite meccaniche e per imprimere alle valvole diagrammi più spinti, notoriamente la Ducati è ricorsa ad un sistema rigorosamente meccanico quale la distribuzione desmodromica, sperimentata già a partire dalla fine degli anni ‘50.
Altri motoristi sono invece ricorsi ad un sistema di richiamo pneumatico delle valvole.
La prima è stata la Renault che ha adottato questo sistema in Formula 1 sul motore 1.500 turbo di Formula Uno del 1986 mentre in campo motociclistico è stata l’Aprilia con la RS cube nel 2002.
In realtà le molle pneumatiche venivano già impiegate da anni su alcuni grossi motori navali.
Il principio di funzionamento è basato su un cilindro di gas che, quando viene compresso in fase di apertura della valvola, accumula l’energia necessaria per chiudere la valvola successivamente.
Rispetto alla tradizionale molla elicoidale la molla pneumatica è esente da problemi vibratori quindi non va in risonanza e non ha massa propria infatti il lavoro di ritorno è svolto dalla massa di gas contenuta all’interno del volume compreso tra il pistone e il cilindretto .
Il sistema è composto da uno scodellino – che in un sistema tradizionale ha la funzione di “spingi-molla” e che nel sistema in esame funge da pistone – direttamente vincolato allo stelo valvola con i classici semiconi e da un cilindro all’interno del quale scorre il pistone con relativo anello di tenuta.
Il cilindretto è collegato a due regolatori di pressione o valvole unidirezionali. Il primo si occupa di regolare la pressione del gas (azoto o semplicemente aria) in entrata; l’altro si occupa di regolare la pressione del gas in uscita; la pressione all’interno della molla, a valvola chiusa, è dell’ordine di 10/15 bar.
L’intero sistema è collegato ad un serbatoio, contenente il gas a una pressione dell’ordine di 150/200 bar, che provvede a compensare eventuali perdite per trafilaggio.
Il principio di funzionamento è estremamente semplice: quando la valvola viene aperta lo scodellino si muove riducendo il volume a disposizione del gas la cui pressione aumenta. Non appena possibile, ovvero dopo che la camma ha impartito alla valvola la massima alzata, il gas torna ad espandersi, spingendo verso l’alto lo scodellino e provvedendo così a riportare la valvola stessa in posizione di chiusura.
Con il sistema pneumatico si possono utilizzare forze di precarico minori essendo minori le masse in gioco.
Il vantaggio di questo sistema rispetto alla distribuzione desmodromica risiede in una minore complessità meccanica e di una certa flessibilità. Infatti, essendo noto che ai bassi e medi regìmi non è necessario lo stesso precarico che è necessario agli alti, un vantaggio delle valvole pneumatiche è quello che, con un sistema di controllo elettronico della pressione, il precarico può essere variato dinamicamente adeguandolo al regime di rotazione del motore. In tal modo si ottiene una importante riduzione della potenza persa per attrito ai bassi e medi regìmi con benèfici effetti anche sul consumo di carburante.
Diversi costruttori hanno sperimentato le molle pneumatiche in previsione di un loro eventuale impiego nella produzione di serie. Per ora permane il problema costituito dalla durata degli elementi di tenuta. Inoltre, se il veicolo dovesse rimanere inutilizzato a lungo, i trafilaggi potrebbero portare allo svuotamento, quantomeno parziale, del cilindretto, inficiandone il funzionamento.