In termini estremamente semplici e sintetici a parità di cilindrata con un frazionamento maggiore otteniamo una riduzione della cilindrata unitaria e quindi delle masse in moto alterno, il che consente il raggiungimento di un più elevato regime di giri, di conseguenza il motore produrrà un maggior numero di fasi utili nell’unità di tempo e quindi un aumento della potenza erogata.
Possiamo ancora ricordare che:
1) sapendo che la potenza è il prodotto della coppia per il numero di giri, a parità di coppia erogata un motore che gira più “in alto” erogherà una maggiore potenza;
2) l’esperienza ha dimostrato che si ottiene un miglior rendimento volumetrico con cilindrate unitarie comprese tra i 250 ed i 350cc; nella fattispecie 1000/4=250 contro i circa 600cc della Panigale R V2 (o i 500cc di un ipotetico 1000 V2).
Ma volendo approfondire il tema possiamo rifarci alle considerazioni che portò la Ducati alla realizzazione della Desmosedici GP03 per la MotoGP.
Quando la Ducati decise di affrontare l’impegno in MotoGP, che poi nel 2007 la porterà al titolo mondiale con Casey Stoner, la prima decisione da prendere fu quella sul frazionamento del motore.
Si dovette decidere se correre con un motore bicilindrico, come in Superbike, rispettando così una tradizione della casa di Borgo Panigale oppure con un tre od un quattro cilindri, come consentito dal regolamento (che all’epoca si spingeva fino al 6 cilindri).
E nell’analisi delle opportunità, ovviamente, oltre al frazionamento entrava in ballo anche quello della disposizione dei cilindri: in linea o a “V” e, in questo secondo caso, dell’eventuale angolo fra le bancate.
Le vittorie a raffica nel Mondiale Superbike avevano confermato l’estrema competitività del bicilindrico Testastretta ed i tempi fatti registrare dalle Ducati 998F ufficiali, prima ancora delle 1098 R facevano pensare che una bicilindrica, con i 30 kg in meno permessi dal regolamento MotoGP, sarebbe stata immediatamente competitiva anche nella nuova categoria.
Perché non bicilindrico
Come si arrivò dunque alla scelta del 4 cilindri a V di 90°?
Non certo con dei ragionamento astratti, bensì con degli opportuni calcoli. Data una potenza massima richiesta, infatti, attraverso formule adeguate si può comprendere che tipo di motore sarebbe necessario per ottenerla.
Nel caso di un bicilindrico per arrivare alla potenza di 230 CV, stimata per assicurare una buona competitività, con velocità media del pistone di 25 metri/secondo a circa 16.000 giri sarebbe stato necessario ricorrere ad un alesaggio elevatissimo che fra le contropartite negative avrebbe originato grossissimi problemi di combustione con conseguente scarso rendimento. Oltre a ciò, un alesaggio molto elevato avrebbe comportato l’aumento del peso delle masse in moto alterno (in particolare i pistoni), sottoponendo organi come l’albero motore ed i cuscinetti di banco a sollecitazioni sempre maggiori con il salire del regime di rotazione, vanificando così di fatto i vantaggi che in questo senso venivano dalla riduzione del rapporto corsa/alesaggio. Ricordando che il regolamento della MotoGP vietava l’uso di materiali leggeri come il berillio, vietato in quanto nocivo, mentre con le leghe d’alluminio non si poteva scendere troppo con il peso senza compromettere l’affidabilità, apparve chiaro che un bicilindrico con le caratteristiche richieste sarebbe risultato un motore troppo sollecitato, perciò poco affidabile.
Perché a V di 90°
La conseguenza di quanto detto sopra portò, attraverso altri calcoli, a scegliere non solo il frazionamento a quattro cilindri bensì anche il suo disegno, a “V” di 90°. La scelta di una tale configurazione, cioè con bancate a 90°, ha infatti il vantaggio di portare alla realizzazione di un motore equilibrato, minimizzando le vibrazioni ed aumentando quindi efficienza meccanica ed affidabilità agli alti regimi. Inoltre, rispetto ad un 4 cilindri in linea, un 4 a V ha un albero motore più corto e quindi più rigido a parità di peso e meno ingombrante in senso trasversale, con minore effetto giroscopico.
Già all’epoca la scelta si rivelò giusta visti i risultati raggiunti in pochissimo tempo, già dal primo anno.