L’ing. Giuseppe Remondini era un brillante ingegnere che si distinse particolarmente in campo motociclistico. Scarse le notizie anagrafiche su di lui; la più accreditata è quella che sarebbe nato a Castel d’Ario (Mantova) nel 1895 mentre sarebbe morto in Francia a Torfou (Seine-et-Oise) nel 1959.
Iniziò a lavorare all’Alfa Romeo per passare poi alla casa motociclistica Frera, dove rimase fino al 1924. Lasciò la Frera per partecipare alla nascita di un nuovo marchio motociclistico: la Nagas & Ray. Qui ebbe modo di dare sfogo al suo estro di progettista. Ne rilevò l’attività per disinteresse dei fondatori ma a seguito del crollo della borsa di NY rischiò il fallimento da cui fu salvato per l’ingresso in società di Tito Rodolfo Jonghi, un industriale multiforme (forse oggi l’avremmo definito un faccendiere) argentino originario della Val d’Ossola (Piemonte). Dall’incontro tra Jonghi e Remondini, nel 1930 nacque dalle ceneri della Nagas&Ray la Jonghi. Nella foto di copertina vediamo l’ing. Remondini dietro una Jonghi 350 da record
Nel 1932, per una motivi sconosciuti, Jonghi trasferì la fabbrica in Francia ma volle Remondini ancora con sé. Dopo alterne vicende, sia in campo industriale che agonistico, alla fine del 1932, Tito Jonghi lasciò la società, che navigava in cattive acque. Alla fine del 1933 l’azienda ebbe una crisi finanziaria e ancora una volta Remondini volle rilevare l’attività rivolgendosi al padre perché lo finanziasse. Fondò la Construction Mechaniques Remondini Pere et Fils per poi passare la proprietà e l’amministrazione ad altri volendosi lui occupare solo di progettazione. Poi arrivò la seconda guerra mondiale; i proprietari dell’azienda, di origini ebrea, furono deportati e giustiziati. Nel dopoguerra subentrò la Satam con la quale l’attività della ex Jonghi proseguì fino al 1959, anno della chiusura definitiva a seguito della morte del suo progettista.
Erede delle sue doti di progettista fu il figlio Arrigo che alla fine degli negli anni ’60 partecipò allo sviluppo del motore Matra 12 cilindri di Formula1.
LA NASCITA DEL CUCCIOLO
Tra le sue tante idee progettuali Remondini aveva pensato anche ad un motorino ausiliario.
Nell’autunno del 1943, con grande lungimiranza, la SIATA (Società Italiana Applicazioni Tecniche Auto-Aviatorie) pensò ad un motore ausiliario per biciclette, che sarebbe dovuto servire ad avviare il processo della motorizzazione di massa. Per accelerare i tempi la direzione aziendale decise di realizzare un propulsore ispirato a quello di Remondini, a quei tempi considerato il migliore esempio di motore ausiliario. A guerra ancora in corso ebbero un incontro clandestino nel corso del quale Remondini consegnò alla SIATA i disegni del suo motore. In realtà il motore originario fu profondamente rivisto. Verrà messo in vendita con la denominazione Cucciolo il 26 luglio 1945 con la formula della “scatola di montaggio”. Era prima realizzazione motoristica europea del dopoguerra.
Poi incomincia la storia che ben conosciamo: il successo fu tale che la SIATA, non avendo la capacità produttiva per rispondere alle numerose richieste, si rivolse alla CANSA Aeronautica di Cameri (NO) e alla SSR Ducati per incrementarne la produzione. Alla fine del 1946, la Ducati si aggiudicò la produzione del Cucciolo in esclusiva, facendolo diventare, di fatto il primo prodotto motociclistico della Ducati. Al Salone di Milano, nel settembre del 1946, viene presentato il T1, che continuerà ad essere prodotto anche dalla CANSA fino al 1948.