Nei primi anni ’90 quasi tutti i Campionati nazionali europei per vetture della categoria Turismo adottavano il regolamento FIA Classe 2 per berline con motore 2 litri, conosciuto anche come D2.
Nel DTM, il campionato tedesco per vetture turismo, venne invece adottato il regolamento FIA di classe 1 (D1) che prevedeva vetture con cilindrata massima di 2,5 litri con un frazionamento massimo di 6 cilindri, derivate da modelli omologati e prodotti in almeno 25.000 esemplari; il regolamento permetteva di modificare radicalmente le vetture con il vincolo di mantenere, pur con qualche concessione, la linea esteriore del modello stradale.
Grazie al regolamento molto permissivo le vetture esprimevano il livello tecnico più elevato nel panorama mondiale delle corse turismo, e non solo; infatti alcune raffinate soluzioni erano all’altezza, se non superiori, a quelle della Formula 1.
Nel 1993, l’Alfa Corse, all’epoca gestita Giorgio Pianta, il direttore del reparto corse del gruppo FIAT, decise di sfidare i costruttori tedeschi a casa loro nel DTM.
Audi, BMW, e Opel non aderirono al nuovo regolamento, lasciando la sola Mercedes, campione in carica, a contrastare la debuttante Alfa Romeo.
La casa tedesca schierava una nuova 190 DTM a trazione posteriore da 375 CV; nelle fasi finali della stagione l’Opel rientrerà nel DTM con la debuttante Calibra V6.
L’Alfa schierò la 155 V6 TI, realizzata come da regolamento, sulla base dell’omonimo modello di serie, un mostro da 420 CV a trazione integrale. I due migliori interpreti di questa favolosa vettura furono Nicola Larini e Alessandro Nannini.
Al debutto Larini dominò il campionato vincendo 11 gare su 20. In particolare ricordiamo il trionfo del Nurburgring dove Larini, vincendo entrambe le manche, non avrebbe potuto trovare modo migliore per rievocare la storica vittoria di Nuvolari del 1935.
L’avventura del DTM per la 155 durò fino al 1996, anno in cui il campionato si trasformò in ITC (International Touring Car Championship), un cambiamento solo di facciata.
A consuntivo della sua partecipazione al DTM l’Alfa 155 V6 TI fece registrare un totale di 38 vittorie (più altre 3 in gare non titolate).
Le vittorie furono ottenute da sette diversi piloti; oltre ai già citati Larini e Nannini ricordiamo Stefano Modena, Christian Danner, Michael Bartels, Kris Nissen, Gabriele Tarquini.
La 155 V6 TI era un vero e proprio prototipo.
Il telaio era di tipo tubolare; la carrozzeria in carbonio riprendeva fedelmente le linee originali anche se, come concesso dal regolamento, al di sotto della linea immaginaria che congiunge i mozzi delle ruote era tutto un fiorire di prese d’aria, sfoghi, appendici varie; le carreggiate potevano essere allargate di 10 centimetri. Le sospensioni erano a quadrilateri deformabili del tipo push-rod con il motore che fungeva da elemento portante per la sospensione anteriore.
Dal punto di vista aerodinamico erano consentiti spoiler ed alettoni ma veniva imposto il fondo piatto.
Il peso era probabilmente vicino a quello minimo prescritto dal regolamento pari a 1060 Kg.
La trasmissione era assicurata da un cambio sequenziale a 6 rapporti di tipo semiautomatico elettroidraulico comandato da bilancieri al volante; la trazione era integrale permanente con tre differenziali.
L’impianto frenante era dotato di un sofisticato ABS della Bosch; l’impianto frenante adottava soluzioni da Formula 1.
Il motore V6 2,5 litri aspirato, con lubrificazione a carter secco, era montato in posizione anteriore longitudinale; dalla potenza iniziale di 420 CV si arrivò ai 490 della sua massima evoluzione; la potenza era espressa a circa 12.000 giri.
Le testate a 24 valvole a richiamo pneumatico, doppia accensione, erano state realizzate con la consulenza specialistica della Cosworth.
Inizialmente venne utilizzato un 6 cilindri a V di 60° derivato dal V6 montato sulle Alfa Romeo di serie; in questa versione arrivò ad erogare fino a 470.
A metà della stagione 1996, per recuperare competitività, si ritenne più favorevole allo sviluppo di maggiori potenze un angolo tra le bancate di 90°.
Da una corretta interpretazione del regolamento tecnico che prevedeva per il motore una cilindrata massima di 2500cc nonché la sua derivazione da un’unità di serie rispettando solo l’angolo della V e la distanza d’interasse tra i cilindri, inizialmente si pensò di sviluppare il nuovo V6 derivandolo dal V8 della Montréal cui, in estrema e semplicistica sintesi, sarebbe stata eliminata una coppia di cilindri (qualcosa di simile a quello che aveva fatto l’ing. Alfieri per realizzare il motore della Citroen SM e tutti i suoi derivati fino alla famiglia Biturbo e che furono anche fonte di ispirazione per il V6 1000 della Laverda).
Ma poi i tecnici si resero conto che l’interasse tra i cilindri del motore della Montreal era troppo ridotto per arrivare a valori di alesaggio ottimali.
A questo punto si ricorse ad un escamotage: in quel periodo l’Alfa Romeo non esisteva come casa costruttrice ma solo come marchio dell’Alfa-Lancia Industriale che in quel periodo produceva una versione della Lancia Thema equipaggiata con il V6 PRV – un motore frutto della collaborazione tra Peugeot, Renault e Volvo – che rispondeva alle caratteristiche richieste.
Il nuovo lay-out offriva il vantaggio di una struttura semplificata dell’albero motore; mentre nella versione a V di 60° vi era un perno di biella per ogni cilindro, nella V90° le bielle erano affiancate a due a due sul medesimo perno di manovella; l’albero motore risultava più corto e quindi doveva sopportare ridotte sollecitazioni torsionali. Fu con questa unità che si raggiunsero i 490 CV.
La componente più avanzata ma anche la più costosa, era l’elettronica (si stimava che costituisse la metà del valore della vettura che era valutato in circa 900 milioni di lire). Era costituita da tre centraline elettroniche ognuna delle quali gestiva, rispettivamente, motore, trasmissione e ABS ma in perfetta sintonia tra loro.
Le prestazioni erano stimate in una velocità massima di 300 km/h ed una accelerazione da 0 a 100 km/h in 2.5 secondi probabilmente superiore a quella di una Formula 1 grazie alla sofisticata trazione integrale che consentiva di scaricare la potenza a terra in maniera ottimale.
Dopo la soppressione del campionato ITC, diverse 155 V6 TI vennero cedute a team privati e utilizzate con successo prevalentemente nelle cronoscalate del Campionato Italiano Velocità Montagna.