Questa nota apparirà dissacrante e sicuramente impopolare agli occhi dei sostenitori più “sfegatati” della Ferrari (tra i quali ritengo di potermi annoverare), ma credo di esporre fatti oggettivamente non confutabili.
La Ferrari si sta avviando ad attraversare l’ennesimo lungo periodo a digiuno di titoli mondiali.
Ricordiamo infatti che l’ultimo titolo risale orma a 13 anni fa (siamo agli inizi del 2020), nel 2007 con Raikkonen che fu vinto con un risicatissimo punto di vantaggio su Hamilton e Alonso.
Certamente nella mente dei più giovani appassionati di formula 1 nonché sostenitori del Cavallino è ancora vivido il ricordo dei 5 titoli consecutivi di Schumacher.
Ma l’albo d’oro della Ferrari è nutrito solo se valutiamo i numeri assoluti, ma questi si ridimensionano significativamente se consideriamo che la Ferrari è l’unica scuderia presente in tutte le edizioni del Mondiale di Formula 1, che è poi uno degli elementi su cui si basa il suo mito.
Infatti se ripercorriamo la storia del Campionato del Mondo ci rendiamo conto che in 50 anni – dal 1950 al 2000, primo mondiale conquistato da Schumacher – la Ferrari ha conquistato solo 9 dei suoi 15 titoli e che ha già avuto lunghi periodi di vacatio. Ricordiamo infatti gli 11 anni trascorsi tra il titolo conquistato da Surtees (1964) ed il primo di Lauda (1975); oppure i 21 anni che dovemmo attendere per il primo titolo di Schumacher nel 2000 dopo quello del 1979 di Scheckter.
In estrema sintesi nell’arco di tempo di 35 anni, dal 1965 al 1999, la Ferrari ha conquistato appena 3 titoli mondiali, direi poco per mantenere in vita un mito.
E arriviamo ad oggi; son trascorsi già 13 anni e direi non solo che dobbiamo ancora una volta sperare in una ripresa sul piano della competitività nei confronti della Mercedes e guardarci da un ritorno della Red Bull.
Ripercorriamo allora la storia della Ferrari in Formula 1 per capire il perché del mito.
Dopo il giusto apprendistato del biennio 1949/50 dominato dall’Alfa Romeo, la Ferrari, beneficiando del ritiro della Casa del Portello, conquista incontrastata i titoli del 1952 e del 1953 con Alberto Ascari. Poi prende il sopravvento la Mercedes che si accaparra i titoli del 1954 e del 1955. Ferrari ritorna al titolo con Fangio nel 1956 con una monoposto che non è una Ferrari “pura”, è infatti la 8 cilindri ereditata dalla Lancia che si è ritirata dalle competizioni. Dopo un intermezzo della Maserati (1957) arriva il titolo di Hawthorn.
Ma poi arriva l’era delle monoposto a motore posteriore e delle monoscocche; il vantaggio tecnico è tale che, nonostante la superiorità motoristica della Ferrari, la Cooper motorizzata Climax (un motore di derivazione industriale di gran lunga inferiore ai sofisticati motori Ferrari) si assicurerà i titoli del 1959 e del 1960.
Inizialmente, prima del lungo intervallo di 11 anni, la Ferrari riuscirà a seguire gli inglesi su questo indirizzo tecnico e anche a superarli tanto che conquisterà due titoli nel quinquennio della Formula 1500 cc con Phil Hill nel 1961 e Surtees nel 1964.
Dunque 6 titoli nell’arco di 15 anni, compreso il biennio di esordio, quasi un buon 40%. Se proprio vogliamo attribuire le origini del mito Ferrari alla Formula 1 dobbiamo risalire a questo periodo ormai lontano che vedrà poi una ripresa nell’era Schumacher, ma solo 36 anni dopo.
Ma forse nell’immaginario collettivo il mito nasce anche dal fatto che, a prescindere dai risultati, all’inizio la piccola industria artigiana di Maranello si batteva contro grandi costruttori come Alfa Romeo, Lancia, Maserati, Mercedes; ma poi venne il lungo periodo delle scuderie inglesi quelle che Ferrari stesso dispregiativamente appellava come garagisti. Tra questi ricordiamo BRM, Lotus e Brabham prima e McLaren, Williams e Benetton poi.
Questi, ricchi di idee ma poveri di risorse finanziarie, dovettero inventarsi gli sponsor mentre Ferrari, che inizialmente finanziava l’attività sportiva con la vendita di vetture GT e Sport/Prototipi, già dal 1969 riuscì a coinvolgere la FIAT, entrando così a far parte di un gruppo industriale.
E non dimentichiamo che anche la tradizione che vuole riconoscere alla Ferrari una supremazia nel campo dei motori viene messa in discussione dall’avvento del Cosworth prima e poi da Porsche, Honda, Renault, Bmw e Mercedes, per non dimenticare il REPCO del 1966/67. Vero è che questo argomento non può darci verità assolute perché nel tempo la componente motoristica ha assunto un peso sempre meno importante ai fini della performance superato dalla componente telaistica prima e aerodinamica poi.
E allora su cosa si fonda realmente il mito Ferrari?
A mio parere nasce dai risultati del Mondiale Marche ed in particolare dalle vittorie alla 24 ore di Le Mans, se non altro perché tra le macchine partecipanti a queste competizioni e le GT di Maranello c’era uno stretto legame “filosofico”. E per quanto mi riguarda è proprio in questo ambito che nasce la mia passione ferrarista.
Nel periodo che va dagli anni cinquanta alla metà degli anni settanta la rinomanza del Mondiale Marche superava quella della Formula 1.
All’epoca si sfidavano costruttori come Alfa Romeo, Aston Martin, Ferrari, Ford, Jaguar, Maserati, Mercedes e Porsche; i piloti erano i migliori, compresi quelli di Formula 1 che all’epoca offriva un calendario meno fitto di quello dei nostri tempi.
Inizialmente il Campionato era piuttosto variegato giacchè comprendeva gare di durata, gare in linea e gare in circuito.
In quel periodo il palmarès della Ferrari si arricchì consistentemente con tantissime vittorie alla Targa Florio (7), Mille Miglia, (8), Carrera Panamericana (2), 12 ore di Sebring (9), Tourist Trophy (5), 1000 Km Nurburgring (5), 1000 Km Buenos Aires (4) e 9 vittorie alla 24 ore di Le Mans, compresa la prima edizione del dopoguerra nel 1949.
E poi 12 ore di Reims, 1000 Km di Monza, 1000 Km di Spa, 24 ore di Daytona.
Mi piace qui ricordare particolarmente il trionfo alla 24 ore di Daytona del 1967 con tre macchine in parata al traguardo.
Queste vittorie fruttarono 15 titoli alla Ferrari tra il 1953, primo anno della istituzione del Campionato, ed il 1972. Una gran bella percentuale!
Impossibile citare le splendide vetture che “produsse” questo campionato; ne citerò solo alcune emblematiche tra cui tre italiane della categoria GT, Fiat Abarth 1000 bialbero, Alfa Romeo Giulia TZ, Ferrari 250 GTO, e tre prototipi che ancora oggi tutti ricordano: Ferrari P4, Ford GT40, Porsche 917.
Ma le gare di auto stavano diventando sempre più un prodotto televisivo cui si prestavano meglio le brevi gare di Formula 1 che perciò assunse il ruolo di categoria automobilistica per eccellenza.
E così nel 1974, forse anche per non subire lo strapotere Porsche dopo gli anni di sconfitte ad opera di Ford e Matra, la Ferrari prese la decisione di dedicarsi esclusivamente alla Formula 1.
Probabilmente tutta questa lunga (e discutibile) nota è influenzata dal fatto che sono un nostalgico della 24 ore di Le Mans, nella quale anche una GT poteva dire la sua, quella degli equipaggi di due soli piloti, dove i prototipi rispettavano abbastanza lo spirito del regolamento ed erano appunto dei prototipi di quelle che sarebbero diventate le GT e, essendo organizzata per classi di cilindrata, era aperta a costruttori dal target diverso come Abarth, Alfa Romeo, Alpine, Porsche. Alla guida si alternavano piloti ufficiali quali Amon, Andretti, Ascari, Bandini, Castellotti, Collins, Fangio, Hawthorn, Graham Hill, Phil Hill, Ickx, McLaren, Moss, Musso, Rindt, Rodriguez, Scarfiotti, Surtees, Taruffi e Vaccarella che gareggiavano anche in Formula 1. Accanto a loro potevano correre piloti non professionisti, i cosiddetti gentlemen driver.