Personalmente ho notizie di sole quattro moto che si fregiano di questo nome.
1) Una di queste non ha nulla in comune con la casa di Maranello (Ferrari è un cognome molto comune in Emilia); era un costruttore degli anni ’50 di cui non ho trovato molte informazioni se non che nel 1955 aveva in produzione una 125 ed una 175 entrambe bicilindriche a 4 tempi ed una foto pubblicata su Facebook che però mi sembra inequivocabilmente una monocilindrica 2 tempi.
2) Ricordiamo poi il prototipo Cagiva F4, il cui nome deriva dalla “F” di “Ferrari” perché il motore fu realizzato dalla HPE di Piero Ferrari, e dal “4” riferito al numero dei cilindri.
Inizialmente questa moto era destinata al mondiale Superbike. Dopo aver conquistato numerosi titoli SBK con le bicilindriche desmodromiche di Borgo Panigale, Claudio Castiglioni (che all’epoca era alla guida del gruppo Cagiva/Ducati) voleva affrontare la sfida di realizzare una moto che potesse combattere le giapponesi nel loro campo, quello del 4cilindri.
Esteticamente il prototipo richiamava la Cagiva C594, dalla quale riprendeva carenatura, cupolino, sella e coda.
Il motore, un 4 cilindri da 750 cm³, era caratterizzato da alcune esclusive soluzioni come le valvole radiali ed il cambio estraibile, derivato dalla tecnica da Gran Premio
Il telaio era un classico doppio trave in alluminio sviluppato dall’esperienza maturata nella 500 GP, ma molto diverso da quello della C594; 186 kg di peso.
La moto, che incominciò a circolare per i primi collaudi nel 1995, rimase allo stadio di prototipo a causa delle difficoltà finanziarie del gruppo, ma anche per alcune divergenze con la HPE sullo sviluppo del motore.
Rivista radicalmente da Massimo Tamburini direttore del Centro Ricerche Cagiva in tutte le sue componenti (motore, telaio ed estetica) diede origine, nel 1998, alla fantastica MV Agusta F4, il prestigioso brand che nel frattempo era stato aggiunto agli altri due marchi del gruppo.
3) La terza moto, la Ferrari V4 Superbike Concept, non ha mai toccato l’asfalto essendo appunto un concept disegnato dall’israeliano Amir Glinik.
La motorizzazione prevede un propulsore derivato da quello della Ferrari Enzo; i comandi deriverebbero addirittura da un aereo militare F-16, mentre i pulsanti da una monoposto della Formula 1.
L’idea di questa realizzazione venne nel 2005 al designer israeliano il quale si chiedeva come mai la Ferrari non producesse motociclette. La moto è stata interamente sviluppata in 3D ispirandosi alle linee e alla tecnologia tipiche della tradizione Ferrari.
Il propulsore, un V4 incastonato in un telaio in alluminio, basato sul blocco motore della Enzo, ovviamente modificato. È dotato di trombette d’aspirazione attive, controllate da servomotori che ne modificano l’inclinazione per regolare l’accesso dell’aria e ottimizzare la combustione alle basse andature.
E’ prevista la trasmissione finale a doppia cinghia. La geometria della forcella presenta una struttura interna in alluminio a “U”, rivestita in materiale composito. Il sistema frenante vanta tre dischi radiali, ciascuno dotato di doppia pinza frenante; l’impianto frenante integrale è gestito da una complessa elettronica derivata dalla Formula Uno.
Il pannello della strumentazione è composto da un touch screen tramite il quale si agisce su tutte le regolazioni possibili, dalle sospensioni alla radio, al GPS.
4) Ma l’unica moto che può fregiarsi ufficialmente del logo di Maranello è la Ferrari 900, un progetto dell’ingegnere inglese David Kay, titolare della David Kay Engineering, che vanta anche un passato alla MV Agusta.
La storia di questa moto inizia in Inghilterra quando, alla fine degli anni ottanta, l’ing. Kay decide di realizzare una moto come tributo alla memoria di Enzo Ferrari. Nel 1990 Kay ottenne il permesso di realizzare il suo progetto da Piero Ferrari in persona, come poi certificato da una lettera autografa dello stesso Piero Ferrari.
Per realizzarla ci sono volute 3000 ore di lavoro in un arco di tempo di circa 5 anni ed è stata terminata nel 2005.
La Ferrari 900, con telaio e motore siglati “SF-01M”, è una quattro cilindri 16 valvole in magnesio e alluminio da 900 cc, 105 cv ad 8800 g/min, 265 km/h, cambio a cinque marce. Il motore è disposto trasversalmente sul telaio, realizzato con tubi Reynolds 531; freni Brembo e cerchi Astralite da 17″. Il peso, abbastanza contenuto, è di 172 chilogrammi. Nel maggio del 2012 la moto è stata venduta all’asta da Bonhams, in Inghilterra, per 85.000 sterline, poco meno di 105.000 euro.
Ma la presenza della Ferrari nell’ambito motociclistico non finisce qui.
5) Troviamo infatti tracce del Cavallino Rampante anche nelle prime MBA 125 da Gran Premio, quelle prodotte nel triennio 1976/78.
La MBA (sigla di Morbidelli-Benelli Armi, divenuta poi Moto Benelli Armi in seguito all’uscita di Morbidelli dalla società ) era stata fondata nel 1975 al fine di produrre le repliche delle Morbidelli 125 da Gran premio.
I fondatori furono Giancarlo Morbidelli (patron della Morbidelli), Paolo Benelli (titolare della Benelli Armi e nipote dei fondatori della Benelli) e il cognato di quest’ultimo Innocenzo Nardi-Dei (ex Direttore Sportivo della Benelli).
All’inizio della produzione la fusione dei carter venne commissionata alla Ferrari che li marchiava con il simbolo del cavallino rampante riportato di fusione sopra l’alloggiamento della pompa dell’acqua.
Per questo motivo le prime serie erano note come “carter Ferrari”.
La Terra Modena è stata fondata a Reggio Emilia nel 2003 da Dario Calzavara, classe 1953, personaggio noto nel campo dei motori che vanta trascorsi nella Renault 5 Cup, Ferrari Formula 1, Ferrari North America, Pirelli.
Per la realizzazione della 198, una motard estrema, si è avvalso della consulenza della HPE (High Performance Engineering) di Piero Ferrari.
Ne è scaturito un prodotto che nel DNA conserva molti tratti dei bolidi rossi di Maranello, anche se ha solo due ruote.
Ma perchè questo nome “Terra Modena 198”? Terra Modena perché è un’azienda nuova che ha aggregato competenze, intelligenze e tecnologie che caratterizzano il tessuto industriale, ma non solo, anche la storia e la cultura delle province di Modena e Reggio. 198 perchè 1 sta per monocilindrico, 98 per l’alesaggio (lo stesso della Ferrari Formula 1).
Il motore, un monocilindrico leggero e potente, molto fluido nell’erogazione, è un 450cc con un contralbero efficiente che annulla le vibrazioni, 2 assi a cammes in testa e 4 valvole in titanio. L’albero motore è componibile, il pistone è forgiato in alluminio con un segmento ed un raschiaolio: la biella non ha bronzine, ma un cuscinetto a rulli. La canna del cilindro ha un riporto in Nikasil. Basamento, cilindro e testata sono fusi in terra, il cambio è estraibile e il comando della distribuzione è a cascata di ingranaggi. La lubrificazione ha una pompa di mandata e due di recupero. L’avviamento è elettrico e a pedale.
Il telaio in alluminio è a doppia trave perimetrale a sezione ellittica. Di alluminio anche il serbatoio da 8,5 litri. Per la componentistica si è andati sul sicuro scegliendo il meglio disponibile sul mercato: Ohlins per forcella e ammortizzatore, Brembo i freni con pinza radiale, Marchesini per i cerchi in alluminio forgiato.
Livrea unica: rosso il motore, un richiamo abbastanza esplicito al rosso Ferrari; argento per telaio e serbatoio; il nero delle sovrastrutture in carbonio.
7) Infine non tutti sanno che la Scuderia Ferrari ha avuto un breve periodo di attività anche nelle competizioni motociclistiche.
Siamo agli inizi degli anni ’30. Enzo Ferrari, che si è sempre contraddistinto per avere un grande intuito, non è particolarmente interessato a questo tipo di competizioni, ma gli interessa emergere, gli interessa vincere, gli interessa diventare il Mito di se stesso. È per questo che Ferrari aveva preso dentro la Scuderia anche le motociclette: perché in quel momento gli potevano servire per impressionare pubblico e critica e gettare così le fondamenta del futuro “mito” della Scuderia.
In quell’inizio ancora per lui incerto degli anni Trenta coglie tre successi consecutivi nei Campionati Italiani del triennio 1932-34 con i piloti Giordano Aldrighetti, Carlo Baschieri, Vittorio Fieschi, Mario Ghersi, Francesco Lama, Aldo Pigorini, Aldo Rebuglio, Guglielmo Sandri, Federico Susini .
Gli era capitata, in particolare, l’occasione costituita dalle fenomenali moto inglesi Rudge, il costruttore che forniva anche le ruote a raggi alle Alfa Romeo gestite dalla Scuderia.
Una volta raggiunta la notorietà decise di dedicarsi esclusivamente al suo primo amore, l’automobile, e così per motivare la sua rinuncia alle competizioni motociclistiche si inventò la storia (del tutto ingiustificata perché proprio in quel periodo i motori motociclistici italiani stavano emergendo anche nel campo delle grosse cilindrate) che la produzione motociclistica italiana aveva poco da offrire nel settore delle grosse cilindrate.
In effetti Ferrari si ritirò dal motociclismo anche per altri motivi; primo fra tutti perché la Rudge interruppe la produzione di moto da corsa, per cui in Italia non c’era più disponibilità di moto competitive ma anche per la sempre più impegnativa attività nelle competizioni automobilistiche che vedevano le Alfa da lui gestite contrapporsi alle poderose formazioni tedesche di Mercedes e Auto Union.
Ferrari aveva già tentato in precedenza, nel 1931, la via del motociclismo quando aveva fatto un accordo con Vittorio Guerzoni, noto produttore modenese delle biciclette a motore Mignon, per la costruzione di un motore da 500cc progettato dal tecnico modenese Vittorio Bellentani (con un futuro in Ferrari e Maserati) che si sarebbe dovuto chiamare “Dux” (ricordate il periodo in cui si svolgono i fatti).
Poi Ferrari si ritirò dall’affare probabilmente per mancanza di fondi non avendo trovato chi sponsorizzasse l’attività sportiva.