Si discute molto sul fatto che Valentino, a 36 anni, partecipi ancora al Campionato del Mondo della MotoGP.
La storia del motomondiale ci ricorda di piloti che hanno corso, e a volte anche vinto, pur avendo superato i 40 anni, gareggiando spesso in più classi, almeno 2. Pertanto i detrattori sostengono che i 36 anni di Valentino non appaiono una particolare impresa e non meriterebbe il clamore e l’ammirazione che ha suscitato nei suoi sostenitori.
In realtà oggi, performance del genere sono molto difficili, se non impossibili, da mettere in campo. Già nel 1985 l’impresa di Freddie Spencer, iridato sia nella 250 che nella 500, veniva portata quale esempio di prestazione psico-fisica al di sopra della norma, addirittura attribuendo ad essa la fine della carriera del pilota americano.
Le condizioni di impegno agonistico dei primissimi Campionati del Mondo erano sostanzialmente diverse da quelle attuali.
L’età innanzitutto; nei primi anni del dopoguerra i Costruttori ingaggiavano necessariamente piloti che avevano maturato esperienze agonistiche di livello internazionale almeno 5 anni prima, cioè prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Al riguardo vi ricordo che il primo Campionato del Mondo si disputò nel 1949 mentre le gare, per ovvi motivi di natura bellica, avevano subito una pausa a partire già dal 1939 per riprendere solo nel dopoguerra.
Ma non era solo questo il fattore facilitava l’impegno ad alti livelli di piloti che già avevano maturato gli “anta”.
In quegli anni nel migliore dei casi si iniziava a gareggiare a 18 anni, le tappe del mondiale erano meno di una decina e si disputavano esclusivamente in Europa; lo stress psico-fisico era quindi decisamente inferiore a quello imposto dagli odierni calendari.
La tecnica di guida che inizialmente imponeva uno stile di guida pulito tutt’uno con la moto (di cui forse il miglior interprete fu Tarquinio Provini) a partire dagli anni ’80 ha incominciato a richiedere un maggiore impegno fisico perché le caratteristiche tecniche delle moto portano a muoversi molto in sella per “collaborare” all’assetto della moto (basta osservare la posizione di guida che inizialmente vedeva il pilota in posizione molto arretrata e distesa mentre oggi la posizione del pilota è fortemente caricata sull’avantreno).
Lo stress che si accumula nel corso delle prove durante le quali, man mano che la tecnica diventa sempre più specializzata e sofisticata (si pensi che prima su utilizzavano pneumatici uguali per tutti e per tutte le situazioni, per passare poi a pneumatici slick, da prova, da bagnato, per differenti asfalti e condizioni meteo, bimescola, ecc.) in brevi sessioni il pilota è impegnato nella messa a punto di motore, cambio e sospensioni, nella scelta delle gomme e, a partire dagli anni più recenti, nella definizione delle varie mappature elettroniche.
Non trascurabile è l’evoluzione della tecnica e dei regolamenti; in regime di regolamenti sostanzialmente immutati la prima vera evoluzione fu l’avvento della Yamaha 500 2 tempi nel 1973 quando in precedenza, la Gilera 500/4 “ripescata” nel 1966, nata alla fine degli anni ’40 e ritirata dalle competizioni nel 1957, dimostrava ancora un discreto livello di competitività. Un po’ come immaginare che oggi la Ducati GP7 potrebbe dimostrarsi ancora competitiva nei confronti di Honda e Yamaha,
E’ quindi evidente che con l’aumentare dell’impegno psico-fisico prolungato nel tempo si è sempre più abbassata l’età oltre la quale è difficile esprimere un tale dispendio di forze e pertanto quando si discute sull’anzianità di un pilota ci si dovrebbe riferire alla sua anzianità agonistica, ovvero agli anni di militanza ad alto livello, piuttosto che alla sua anzianità anagrafica.
Ed infine non dimentichiamo l’effetto psicologico di quella che Enzo Ferrari definiva la “parabola del Campione” indotta da una carriera costellata di successi, titoli e lauti guadagni.
Ecco perché la partecipazione al mondiale su buoni livelli di competitività di Valentino Rossi che calca le piste del motomondiale da 20 anni, sorprende e merita rispetto, tanto più che tanti anni di militanza lo hanno costretto ad adeguarsi alle diverse evoluzioni della tecnica e dei regolamenti ed a scontrarsi con 3 generazioni di piloti (uno dei suoi primi avversari di rango nella 125 fu Jorge Martinez) e lo spinge ancora oggi a confrontarsi con piloti che hanno dai 10 ai 15 anni meno di lui.
E, a dimostrazione del suo amore per questo sport, non ha esitato ad investire il patrimonio accumulato in attività inerenti questo mondo, certamente per un lecito profitto ma anche con una punta di mecenatismo. E sono così nati il Ranch, l’Academy ed il team VR46, tutte attività rivolte alla scoperta e alla valorizzazione dei giovani.