Il tema richiamato nel titolo di questa nota ricorre spesso nelle discussioni degli appassionati.
Ovviamente i più nostalgici, o i giovani ammaliati dagli enfatici racconti dei più anziani, propendono per le “vecchie” 500.
Premesso che, come in tutte le discussioni che mettono a confronto uomini e macchine di epoche diverse, non ha molto senso fare questi paragoni, io penso che il periodo delle 500 2T è rimasto particolarmente impresso nella mente degli appassionati per una serie di eventi particolarmente cari a noi italiani:
– il passaggio vincente di Agostini dalla MV 4 tempi ad, appunto, la Yamaha 2 tempi:
– i mondiali di Lucchinelli ed Uncini,;
– l’epopea degli americani;
– gli anni del dominio di Doohan, esaltati dal grave incidente alla gamba che sembrava avergli troncato la carriera;
– il primo mondiale in top class di Valentino Rossi.
Ma, a prescindere da queste romantiche nostalgie, molti sostengono la maggiore difficoltà di guida delle 500 attribuendola al ben noto carattere “scorbutico” di quei motori e alla totale assenza di elettronica in grado di “addomesticarli”.
Il mio punto di vista è diverso: ricordando in primis che questi “mostri” moderni ormai superano abbondantemente i 250 CV da scaricare su 5 centimetri quadrati di pneumatico, io ritengo che la consapevolezza dei piloti di disporre di tanti aiuti elettronici li spinge ad innalzare sempre più l’asticella cercando limiti più elevati e pertanto, essendo sempre più ristretto il margine di miglioramento, emerge ancor di più il talento e la sottile sensibilità dei più bravi.
A dimostrazione di quanto sostengo si può osservare dalla tabella riportata qui affianco (ricavata da un articolo di Motosprint) che le cadute in MotoGP sono aumentate quasi in misura esponenziale, a dimostrazione del fatto che i piloti si spingono sempre più alla ricerca del limite.