Credendo di esaltarne le gesta, i sostenitori di Valentino Rossi non gli rendono un favore quando enfatizzano le sue “imprese” mettendole in relazione alla sua età.
Ma un pilota può veramente ritenersi vecchio all’età di 36 anni? Secondo me è su questo dato che nasce l’equivoco che dà poi spazio alle critiche dei detrattori.
In realtà la “anzianità” di Valentino non è anagrafica ma agonistica e per di più costellata di successi.
Non dimentichiamo infatti che Rossi è al suo 20° anno di Motomondiale, anni preceduti da una militanza nelle minimoto prima e nelle SP125 dopo, durante i quali ha conquistato 9 titoli iridati ed un numero incredibile di vittorie e di podi e di conseguenza successo e danaro, tanto danaro.
Il fatto di aver subito l’unico incidente grave al Mugello nel 2010 quando era all’apice della carriera ha sicuramente influito sul suo equilibrio psicologico (fino ad allora non aveva saltato una gara) e indubbiamente anche i due anni in Ducati hanno avuto un loro ruolo.
Tutto ciò implica che ha irrimediabilmente raggiunto, anche se inconsciamente, una forma di appagamento (la parabola del campione teorizzata da Enzo Ferrari) mentre, in contrapposizione, un così ampio arco di tempo di partecipazione alle competizioni richiede una forte reattività per la necessità di adattarsi all’evoluzione tecnologica e di controbattere antagonisti più giovani e spesso talentuosi il cui obiettivo primario è quello di scalzare il re dal trono.
Questo strano equilibrio forse può spiegare, almeno in parte, perché non riesce ad esprimersi nel giro “a vita persa” (lui che non è mai stato uno specialista della pole) mentre riesce ad esaltarsi nella gara.
Ma lui non si è addormentato sugli allori e si è rimesso in discussione. Ed è per questo, dunque, che l’impegno di Rossi merita tutta l’ammirazione degli appassionati di motociclismo, tutti senza distinzione alcuna.