La Ducati ha fatto rinascere lo Scrambler, un mito degli anni 60 e 70 il cui successo fu provvidenziale per le incerte sorti del costruttore di Borgo Panigale.
Il termine “scrambler” deriva dal verbo “to scramble” (mischiare). Infatti scrambler indica una motocicletta stradale alla quale vengono apportate lievi modifiche (manubri larghi, ruote semi tassellate e rapporti accorciati) per adattarla a percorsi sterrati di trascurabile difficoltà. Ma “to scramble” ha un doppio significato perché può essere tradotto anche in arrampicarsi e, considerata la destinazione d’uso di questa categoria di moto, forse questa è l’interpretazione più realistica.
Il fenomeno delle scrambler nasce negli Stati Uniti negli anni cinquanta e venne importato in Europa negli anni sessanta, influenzando la produzione soprattutto dei costruttori italiani e inglesi.
Nel 1962, su sollecitazione di Berliner, importatore Ducati per gli USA, la Ducati presentò la prima generazione dello Scrambler; la moto, derivata dalla famiglia “carter stretti”, venne prodotta dal 1962 al 1967 nella cilindrata 250.
Questa prima generazione può essere suddivisa in due serie; la prima, prodotta dal 1962 al 1964 anche nella cilindrata 125, aveva un anonimo serbatoio nei colori azzurro e grigio; telaio verniciato in azzurro; cambio a 4 rapporti, scarico libero. La seconda serie, 1964/67, si distingueva esteticamente per un bellissimo serbatoio nero e grigio e per il telaio verniciato in nero; tecnicamente si differenziava per il cambio a 5 rapporti.
Nel 1968 arriva la seconda generazione dello Scrambler, basata sul motore “carter larghi”.
Alla sua presentazione questa moto colpì l’immaginario collettivo per la sua estetica innovativa ed accattivante derivante principalmente dal serbatoio con le guance cromate e dalla splendida architettura del motore messo in bella evidenza, ma anche per quel fantastico rumore scoppiettante emesso dal corto silenziatore; era insomma una moto dalla personalità unica ed inconfondibile.
Il successo fu notevole, se ne vendettero oltre 30.000 esemplari.
Anche questa può essere suddivisa in due serie, la prima dal 1968 al 1973 e la seconda dal 1974 al 1975, quando lo Scrambler esce definitivamente dal listino Ducati (anche se nel 1976 vennero prodotti una quarantina di Scrambler 450 assemblati con fondi di magazzino).
L’elemento di distinzione più evidente era costituito dalle tinte.
Venne prodotto in 3 cilindrate: 250, 350 e 450 con potenze oscillanti tre i 25 ed i 27 CV e velocità comprese tra i 120 ed i 135 Km/h. Cambio a 5 marce su tutte le versioni. I modelli 350 e 450 erano dotati di alzavalvole per agevolarne l’avviamento a pedale. A partire dal 1971 era possibile ordinare la testata desmodromica.
La prima serie debutta nella sola cilindrata 350; i colori di questa prima versione 350 erano un bellissimo amaranto metallizzato per il serbatoio e parafanghi bianchi. In breve tempo verrà messa in produzione la 250 e verranno introdotte le livree bianca e nera.
Gli esemplari appartenenti a questa serie sono identificabili dai soffietti di gomma applicati a forcella e ammortizzatori, copertura della sella liscia, borse portaoggetti laterali in vilpelle.
Un anno dopo si aggiunge la versione 450 e una scatola filtro cilindrica che occupa lo spazio altrimenti destinato alla borsa portaoggetti destra.
Alla fine del 1969 questa prima serie viene arricchita con una gamma di colori più articolata, la più conosciuta: giallo ocra per il 250, arancione per il 350, giallo acceso per il 450, tutti con striscia nera longitudinale.
Nel 1971 la consociata spagnola Mototrans produce una versione 125 dello Scrambler.
Nel 1972 viene introdotta l’accensione elettronica; gli esemplari prodotti a fine anno montano la sella con copertura rigata destinata alla seconda serie; comincia la produzione dello Scrambler 250 anche in Spagna a cura della Mototrans; gli Scrambler 250 italiani vengono assemblati con motori costruiti dalla Mototrans; la 125 non appare più nel listino a causa dello scarso successo commerciale. Ai motori dedicati al mercato interno la Mototrans applicò sperimentalmente l’avviamento elettrico.
La seconda serie mantiene gli stessi colori della prima serie anche se varia leggermente la tonalità del giallo del 450, proposto anche in nero con strisce gialle.
A richiesta verranno offerti altri colori, alcuni metallizzati: bianco, verde, azzurro, rosso scuro, color ruggine.
Con questa seconda serie oltre alla sella rigata vengono introdotte altre modifiche: le borse ed il “padellone” del filtro aria vengono sostituiti da fiancatine in vetroresina, scompaiono i soffietti, i cerchi sono i Borrani in alluminio. Il 350 ed il 450 adottano il freno anteriore a doppia camma e 4 ganasce.
Anche la versione 350, come la 250, viene assemblata con i motori forniti dalla Mototrans.
Dal 1974 lo Scrambler 250 viene interamente assemblato in Spagna dalla Mototrans che produce anche una versione 239 per la Francia, dove questa cilindrata gode di alcune agevolazioni.
Gli ultimi motori prodotti vengono modificati per ovviare alla scarsa affidabilità dell’imbiellaggio; nasce così il motore noto come “biella larga” la cui larghezza passava da 18 a 22mm.
Con gli ultimi 40 esemplari assemblati nel 1976 finisce l’epopea dello Scrambler.
La decisione di interrompere la produzione fu dettata dal calo delle vendite motivato dal fatto che lo Scrambler rimase sostanzialmente invariato per circa 7 anni mentre avrebbe necessitato di un adeguamento agli standard introdotti dai costruttori giapponesi (avviamento elettrico, accessoristica di qualità superiore, freni a disco idraulici, standard di qualità elevati).
Questo il parere di Massimo Bordi all’inizio degli anni ottanta, quando era Direttore Tecnico: “… si sarebbe dovuto progettare un monocilindrico per una nuova Scrambler. Sarebbe stato perfettamente in linea con la storia e con le esigenze di gamma. Anzi, non si doveva interrompere la produzione della Scrambler nel ’75. Quel mono doveva avere continuità […] invece abbiamo chiuso col mono, abbiamo fatto un terribile parallelo, poi siamo ripartiti col Pantah, poi abbiamo smesso con le coppie coniche …”.
Nel 1976 la Yamaha con la XT500 raccoglierà idealmente l’eredità dello Scrambler Ducati.
Potenziali eredi dello Scrambler possono essere considerati: il prototipo UTAH 350 presentato dalla Ducati al Salone di Milano 1977; la MTV (nuova ragione sociale della Mototrans) Yak 410 del 1979 (le origini di questo motore sono alquanto vaghe: pur se concepito in Spagna alcune fonti riportano che sia stato sviluppato a Borgo Panigale); l’esperimento fatto nel 1983 dalla Cagiva di montare una testata desmo su di un monocilindrico da enduro di Schiranna. L’esperimento fornì prestazioni interessanti ma fu abbandonato per motivi di immagine, riservando alla Ducati l’esclusiva del Desmo.
Nel 1970, alla Conchiglia d’oro Shell di Imola, Spaggiari portò in pista un 450 derivato dallo Scrambler modificato per un assetto di guida da pista. Si piazzò terzo in mezzo ad un folto gruppo di maxi-moto da 750cc.